ARCHEOASTRONOMIA
LIGUSTICA
Pubblicato
in: Astronomia culturale in Italia, ed.
Società Italiana di Archeoastronomia, Milano, 2011, pp. 177-185, ISBN
978-88-904402-1-2.
L'OSSERVATORIO
IN PIETRA DI BRIC PIANARELLA (SV)
Mario Codebò, Henry De Santis, Gianluca
Pesce
Abstract.
In the region of Finale Ligure (Savona, Italy) was found a stone, crumbling,
construction in which two stones mark on purpose the local meridian and
another, no far, stone with a natural hole marks on purpose the aequinoctial
sunrising. The age of the stone construction is unknown, but its function as an
rough astronomical observatory is clear.
Riassunto.
Nel
Finalese (SV) venne rinvenuta negli anni '60 del XX secolo una diruta
costruzione in pietra isolata nel folto del bosco. Indagini svolte nei primi
anni del XXI secolo hanno dimostrato trattarsi di un vero e proprio osservatorio
astronomico in pietra destinato alla misurazione del mezzogiorno locale e
dell'inizio dell'anno, grazie, rispettivamente, a due pietrefitte definenti il
meridiano del luogo e ad un foro di mira in pietra indicante il sorgere del
Sole agli equinozi.
Nonostante
le indagini archeologiche finora condotte, non è stato possibile datare la
costruzione.
1) Descrizione del sito. (Henry De Santis).
Negli anni '60
dell'appena trascorso XX secolo, a seguito di un incendio, il Gruppo Ricerche della
Sezione Finalese dell'I.I.S.L. rinvenne nel folto del bosco che copre le
pendici del Bric Pianarella (SV) una costruzione quadrangolare in pietre a
secco, di dimensioni maggiori rispetto a quelle di analoghe caselle -
dette anche capanne di pietra - locali (foto n. 1).
A
circa m. 60 di distanza in direzione SE (ma che in linea d'aria si riducono
almeno alla metà), là dove il bosco si apre improvvisamente, si trova un vasto
affioramento di roccia interamente attraversato da una frattura trasversale larga
pochi centimetri e piuttosto profonda. In essa è stato artificialmente
piantato, come dimostra l'inzeppatura basale con piccole pietre e schegge
litiche, un pilastrino naturale di roccia munito al vertice di un piccolo foro
naturale (foto n. 2).
Foto n. 1. Il muro orientale dall'esterno. (Foto Mario Codebò) |
Foto n. 2. Il pilastrino-mira. (Foto Mario Codebò) |
Formazioni
di questo genere - fratture, sfaldamenti della roccia in forma di parallelelpipedi,
fori passanti naturali prodotti dall'azione erosiva della poggia sul calcare -
sono comuni nella Pietra di Finale, una roccia sedimentaria fossilifera
miocenica.
Due diverse
ricognizioni geologiche, effettuate rispettivamente dai geologi Giuseppe
Vicino, all'epoca conservatore del Civico Museo Archeologico del Finale, e
Davide Gori, hanno confermato l'origine naturale di queste formazioni e quella
artificiale dell'inzeppamento del pilastrino-mira.
Nel punto più declive
dell'interno della casella, dove si sarebbero raccolti più facilmente materiali
di deposito, a cura della Soprintendenza per i beni Archeologici della Liguria
e per iniziativa del direttore-archeologo Angiolo del Lucchese, la ditta
Viarengo & Tiscornia, coadiuvata da alcuni volontari - fra cui gli
scriventi Codebò e De Santis, Pino Piccardo e Giuseppe Vicino - ha condotto
fino al piano roccioso un sondaggio che ha dato esito completamente negativo,
in quanto non è stato rinvenuto alcun materiale antropico. Di conseguenza non è
stato possibile datare, neanche approssimativamente, la struttura.
Un'analisi delle
murature, parimenti infruttuosa dal punto di vista della datazione, è stata
fatta dall'architetto Gianluca Pesce.
H. d. S.
2) L'analisi
archeologica delle murature. (Gianluca Pesce).
La
struttura è realizzata in pietre a secco, con un muro perimetrale a diretto
contatto del terreno, così come capita frequentemente nelle costruzioni
edificate lungo i versanti collinari e montuosi. Dalla lettura dei reperti
ancora visibili è possibile verificare come le porzioni di muratura fuori terra
che si sono conservate, circoscrivono un vano di forma rettangolare di circa
8,02 x 4,04 metri di spazio utile (10,14 x 6,08 metri di ingombro esterno),
disposto parallelamente alle curve di livello. La pianta di tale ambiente è
fortemente caratterizzata da una smussatura degli angoli adiacenti il muro
contro terra (perimetrale Ovest; fig. 1)
Fig. n. 1. Pianta schematica della costruzione presa in esame.
La freccia sul perimetrale Sud è posta a indicare l'unico rapporto
stratigrafico osservato nelle murature. Gli elementi circolari di colore
scuro indicano la posizione di alcuni alberi. La presenza di crolli o di
porzioni di muratura non visibili al momento del sopralluogo è, invece,
indicata dal tracciamento di una linea singola al posto delle canoniche linee
affiancate. (Disegno di G. Pesce) |
Lo
spessore murario delle singole opere, valutate sulla cresta delle stesse,
risulta di circa 85 centimetri nei perimetrali Nord ed Est, e di circa 110
centimetri nel perimetrale Sud (lo spessore del perimetrale Ovest, dato lo
stato di conservazione, non risulta misurabile).
In
adiacenza a quest’ultimo muro, ma esternamente all’ambiente sopra descritto,
sono presenti altre due opere murarie di circa 65 centimetri di spessore,
erette perpendicolarmente al suddetto perimetrale, in modo da racchiudere
un’ulteriore piccola area di forma rettangolare di circa 1,85 x 2,42 metri di
spazio utile che risulta confinante con il vano precedentemente detto. Tale
spazio appare però isolato, non collegato al vano principale, dato che l’unico
accesso è aperto sul lato Sud (attualmente solo intuibile grazie alla presenza
di alcune pietre che affiorano dal terreno), dove - in particolare - sono
presenti due elementi litici di forma parallelepipeda che, infissi
verticalmente nel terreno, lasciano aperta una luce alquanto ridotta: 44
centimetri circa (pietre A e B in fig. 1).
Dal
punto di vista stratigrafico, ferme restando le difficoltà di lettura date
dalle cattive condizioni di conservazione della struttura, è interessante
osservare come, in prossimità dell’angolo formato dai perimetrali Ovest e Sud
del vano principale (pressappoco all’incrocio del perimetrale di minore
sviluppo con uno dei muri che delimitano lo spazio esterno precedentemente
detto), sia presente una chiara stratificazione che sembra documentare
l’esistenza di un’apertura, forse una porta attualmente tamponata e di cui non
è possibile stabilire l’originaria larghezza (fig. 2).
Fig. n. 2. Eidotipo di un particolare del prospetto interno
del perimetrale Sud del vano principale, che documenta la stratificazione
riportata in pianta e descritta nel testo. Le tre pietre allineate verticalmente
sembrano costituire lo stipite di una porta o, meno probabilmente, gli
angolari di una muratura (Disegno di G. Pesce) |
Lo
studio dei paramenti esterno e interno del perimetrale Est che delimita il vano
di maggiori dimensioni, permettere di valutare la tecnica con cui è stato
edificato il muro e, verosimilmente, anche buona parte dell’intera costruzione.
Da ciò che è possibile osservare, le porzioni centrali delle murature sono
state realizzate con pietre locali di media pezzatura non lavorate, mentre gli
elementi angolari, per quanto anch’essi non lavorati, sono caratterizzati da
dimensioni nettamente maggiori. I corsi, anche se il litotipo utilizzato
avrebbe permesso una maggiore regolarizzazione della tessitura, non risultano
mai ben definiti ma, al contrario, sono caratterizzati da una forte
irregolarità, con ampi vuoti e frequenti sovrapposizioni di giunti verticali.
Elementi, questi, che inducono a valutare la tecnica come non particolarmente
raffinata e, comunque, non databile direttamente.
Date
le condizioni di conservazione dell’edificio e le modalità di sviluppo del
sopralluogo (alquanto rapido), allo stato attuale delle conoscenze non è
possibile stabilire se il piccolo spazio esterno al vano principale sia nato
contemporaneamente a questo, o se sia stato aggiunto in un momento successivo,
come sembra testimoniato dalla presenza della porta tamponata e dal notevole
spessore murario del perimetrale Sud (che potrebbe essere stato rinforzato
successivamente alla sua edificazione).
Un
approfondimento degli studi sulle murature risulta, dunque, necessario per
definire tale aspetto, ed anche per giungere al riconoscimento della
destinazione d’uso degli spazi sopra descritti, poiché nella configurazione
attuale, la mancanza di un’apertura di accesso al vano principale non permette
di ricondurre con certezza l’opera sopra descritta alla tipologia delle caselle,
presenti in elevato numero nell’area in oggetto.
Anche
la limitata ampiezza dell’apertura del piccolo spazio adiacente il vano
principale risulta alquanto anomala e d'incerta interpretazione; è verosimile
comunque ipotizzare che tale spazio fosse funzionale alle attività che si
svolgevano nel vano adiacente.
Dai
dati attualmente a disposizione è, invece, possibile stabilire come il vano di
maggiore volume dovesse svilupparsi in altezza per, al massimo, un solo piano
fuori terra, poiché lo spessore dei perimetrali Nord ed Est, e la tecnica
costruttiva, che non prevede l‘uso di leganti, non avrebbero permesso ulteriori
sopraelevazioni dei muri.
Solo
con il prosieguo delle indagini, dunque, e in particolare con la realizzazione
di una documentazione più dettagliata delle murature, nonché con eventuali
saggi di scavo all’interno del vano principale e dello spazio chiuso esterno a
questo, sarà possibile ottenere maggiori informazioni non solo sulla funzione
degli spazi sopra descritti, ma forse anche sulle date di edificazione e
sull'uso dell’edificio, nonché sull’uso di tutta l‘area circostante questo.
G.P.
3) Le funzioni astronomiche. (Mario Codebò).
Il primo a segnalare
l'esistenza di un allineamento astronomico fu Pino Piccardo, collaboratore del
Civico Museo Archeologico del Finale. Egli si accorse alcuni anni fa che il
foro del pilastrino inquadrava il punto ortivo equinoziale del Sole. Fu deciso
perciò di eseguire una ricognizione astronomica completa del sito per
accertarne le potenziali funzioni. Il survey, effettuato da Codebò, richiese
tre giorni e due notti, dal 21 al 23 marzo 2003.
Furono misurati gli azimut
dei muri della casella che risultarono, rispettivamente:
346°↔171° il lato
Est;
346°↔173° il lato
Ovest;
243°↔61° il lato
Nord;
235°↔78° il lato
Sud
a dimostrazione del
fatto che la struttura della casella è piuttosto rozza ed irregolare.
3.1) Le due pietrefitte.
Dalle misure risultò
però evidente il diverso orientamento del breve corridoio definito dalle due
pietrefitte del piccolo vano rettangolare esterno (visibili in fig. 1
all'estrema sinistra - lato Sud - come due piccoli rettangoli affiancati).
La funzione di queste
due pietre rimase da principio enigmatica, finché l'osservazione mostrò che il
loro corridoio ha un azimut di 360°↔180° e che pertanto esse definiscono
il tracciato del meridiano locale. Infatti il 23/03/2003 fu possibile seguire lo
spostamento dell'ombra di uno gnomone (ricavato da un bastoncino da trekking
verticalizzato mediante filo a piombo) tra le ore 12:03 e le ore 13:10 (foto
nn. 3, 4, 5).
Foto n. 3. Prima del mezzogiorno vero locale. (Foto Mario Codebò) |
Foto n. 4. Il mezzogiorno vero locale. (Foto Mario Codebò) |
Foto n. 5. Dopo il mezzogiorno vero locale. (Foto Mario Codebò) |
Alle ore 12:33,
corrispondenti al mezzogiorno vero locale preventivamente calcolato alle ore
12:33:22, essendo la costante locale del sito 12:33:19,73, l'ombra si pose
parallela al corridoio definito dalle due facce interne delle pietrefitte.
Alla stessa ora il Sole
apparve sulla verticale del corridoio. Il calcolo ha dimostrato che l'astro è
visibile alla sua culminazione in meridiano tutto l'anno, nonostante la
presenza verso Sud di un rilievo collinare di altezza poco maggiore.
3.2) Il pilastrino-mira.
Dopo due mattine di
foschia, il 23/03/2003 alle ore 06:31 fu possibile osservare e fotografare
attraverso il foro del pilastrino sorgere il Sole sull'orizzonte dell'altopiano
delle Mànie (foto n. 6).
Foto n. 6. La levata del Sole all'alba del 23/03/2003
attraverso il foro del pilastrino-mira (altezza di circa 1° sull'orizzonte visibile). (Foto Mario Codebò) |
L'astro aveva già
un'altezza apparente di circa 1° sull'orizzonte visibile al momento in cui uscì
dalla bruma. Alle ore 06:57:17 il Sole scomparve dal campo del foro.
Poiché l'ampiezza di
quest'ultimo copre un campo di 74°↔93° magnetici¹, ne risulta che esso
mostra la levata del Sole da circa la metà di marzo/settembre alla metà di
aprile/ottobre.
M.C.
4) Il contesto archeologico ed
astronomico circostante. (Mario
Codebò).
La casella di
Bric Pianarella sorge sulla dorsale che congiunge, con direzione monti-mare, il
Ciappo de Cunche con l'abitato di S. Bernardino.
Questa dorsale
costituisce uno dei resti dell'antico penepiano calcareo conchiglifero emerso
da un mare caldo nel Miocene e subito eroso dagli agenti meteorici che vi hanno
scavato tre principali solchi vallivi (del Pora, dell'Aquila e dello Sciusa),
alcune vallette pensili ed un intricato sistema di acque ipogee da cui derivano
le oltre quattrocento grotte oggi esistenti nel Finalese, tutte più o meno
abitate dall'uomo fin dal Paleolitico Inferiore.
La dorsale Ciappo de
Cunche - S. Bernardino, in particolare, è stata interessata da
un'antropizzazione molto intensa².
La grotta degli Zerbi,
intorno alla quale si concentrano numerose strutture rustiche in pietre a secco
di probabile età medioevale o post-medievale, sta restituendo materiali fin dal
Musteriano, oltreché faune fossili.
Il riparo Fascette I
(Maggi e Pastorino 1984, pp. 171-174) e la grotta I del Vacché (Odetti 1987,
pp. 129-130) hanno restituito materiali dell'Età del Rame
Il riparo del Bric
Reseghe è stato utilizzato come deposito principalmente durante la fase del
Vaso a Bocca Quadrata del Neolitico Medio Ligure.
L'abitato di Bric
Reseghe ed il Castellaro di S. Bernardino appartengono all'Età del Bronzo (Del
Lucchese 1987, p 133 e comunicazioni personali).
Due chiese romaniche,
S. Lorenzino e S. Cipriano, sono ubicate rispettivamente all'estremo Nord e
Sud-Est di questa dorsale. In particolare S. Cipriano, in evidente connessione
con l'abitato medioevale oggi abbandonato di Lacremà, ha restituito un'abside
paleocristiana (Frondoni 1990, pp. 423-426); la chiesa doveva essere sul
percorso della Via Julia Augusta che, valicata l'altura di Perti tra Castel
Gavone e la chiesa romanica di S. Eugenio, attraversata la valle del
Pora-Aquila, qui confluiti, all'altezza della Pieve del Finale, risaliva poi il
colle di S. Bernardino e, passando davanti a S. Cipriano, scendeva nella valle
dello Sciusa per risalire poi nella confluente Val Ponci che percorreva anche
mediante cinque ponti augustei, rifatti in età adrianea e tutt'oggi visibili³.
Di datazioni assai più
incerte sono le vaste concentrazioni di petroglifi del Ciappo de Cunche, del
Ciappo dei Ceci o Le Conchette (Priuli e Pucci 1994, pp. 35-43) e del M. Cucco
(Codebò 1996, pp. 138-141) ed altre sparpagliate.
Su questa dorsale si
trovano alcune strutture d'interesse archeoastronomico (Codebò 1997, pp.
735-751; 1999):
1) alcuni petroglifi
cruciformi del Ciappo de Cunche e del Ciappo dei Ceci sono orientati sui
quattro punti cardinali;
2) la Pietra di
Marcello Dalbuono presenta due orientamenti solari: uno verso il tramonto
equinoziale ed uno verso quello solstiziale estivo;
3) il cromlech di
Camporotondo ha tre angoli che interrompono il suo profilo circolare, due dei quali
orientati rispettivamente verso il punto cardinale Nord e verso quello Sud.
La casella di
Bric Pianarella si colloca in questo contesto.
M. C.
5) Conclusioni. (Henry De Santis).
La casella ha caratteristiche
costruttive che la pongono in posizione separata dalle altre caselle
della regione con funzione abitativa temporanea: essa non sembra avere avuto
questa funzione.
Non sono finora emersi
elementi di alcun genere che permettano di datarla. Sembra soltanto costruita
con una tecnica piuttosto semplice.
Essa si trova in una
posizione isolata nel bosco, relativamente lontana da altre strutture
dell'area.
Tutta la dorsale su cui
essa si trova è caratterizzata da un'intensa antropizzazione, dalla presenza di
parecchi siti archeologici e da altre tre strutture con connotazione
archeoastronomica. Sembra perciò che sulla dorsale Ciappo de Cunche - S.
Bernardino qualcuno in un periodo non ancora precisato abbia sviluppato una
particolare attenzione verso i rudimenti dell'astronomia, al punto di costruire
strutture dedicate anche di notevoli dimensioni (Camporotondo ha un diametro di
circa m. 150).
L'unica certezza sulla casella
di Bric Pianarella è la sua funzione di misuratore dei due principali marcatori
del tempo: l'inizio dell'anno ed il mezzogiorno. Di fatto essa è un primitivo e
rudimentale osservatorio astronomico.
H. d. S.
6) Ringraziamenti.
Si ringraziano:
Il Civico Museo
Archeologico del Finale, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria,
Angiolo Del Lucchese, Davide Gori, Pino Piccardo, Giorgio Viarengo, Giuseppe
Vicino.
7) Bibliografia.
Note.
¹ Il foro è irregolare ed ha un diametro di cm. 2-3. Pertanto è stato possibile misurare l'amplitudine ortiva da esso sottesa solo con la bussola prismatica.
² Il Finalese fu feudo dei marchesi Del Carretto, che ne ricevettero l'investitura da Federico Barbarossa e lo conservarono, con alterne vicende al secolo XVII, quando la Repubblica di Genova se ne impadronì definitivamente.
³ Il più meridionale, detto Ponte delle Fate, è tutt'oggi in esercizio.