ARCHEOASTRONOMIA LIGUSTICA

 

 

Pubblicato in: Atti dell’VIII Seminario A.L.S.S.A. di Archeoastronomia, Genova 22-23 aprile 2005, pp. 82-94.

 

 

CONSIDERAZIONI ASTRONOMICHE SULLE ASPETTATIVE MESSIANICHE GIUDAICO-CRISTIANE

 

Ettore Bianchi, Mario Codebò

 

 

Abstract. (M. Codebò).

Since about the second century b. C. to about the second century a. C. several eschatological hopes spread over the Asiatic, African and European Mediterranean area among Latin, Greek, Jewish, etc. peoples, sometimes being the cause of rebellions too: peoples were waiting for a new age!

When Jesus Christ was born, an unknown star guided the Magi to Bethlehem. An accurate reading of the second chapter of the Gospel according to St. Matthew shows that this unknown star was seen only by Magi. In fact king Herod was obliged to ask them explanations. But who were the Magi? They were not wizards; they were astronomers and astrologers. Therefore the unknown star which only they saw either it was a St. Matthew’s lie or it was a heaven phenomenon or body which only professional astronomers could see. Such a kind of heavenly phenomenon or body are both the equinoctial points – vernal equinoctial point γ and autumnal equinoctial point Ω – and their precessional movement. Just at the end of the first century b. C., the two equinoctial points went into the new zodiacal constellations Pisces and Virgo respectively; they had been in Aries and in Libra respectively for 2147,5 years. We suggest that the unknown star that only Magi saw it was the new precessional positions of vernal point γ and autumnal point Ω in Pisces and in Virgo respectively.

But another rare and meaningful heavenly phenomenon took place in 7 b.C.: planets Jupiter and Saturn got their least angular separation three times in the same constellation, which was just Pisces! We agree with people who suggest that this threefold least angular separation between Jupiter and Saturn is the David Star with six tips which got its previous threefold least angular separation in Pisces in 980 b. C. But a more rare circumstance happened in 7 b. C.: the threefold least angular separation of Jupiter and Saturn happened in the same constellation where the Sun began to rise at the vernal equinox. The last time it happened a similar heavenly circumstance was about 4100 b. C. in Taurus! We suggest that the peoples of the first century b. C. thought that this very very rare heavenly phenomenon was the beginning of a new era. We suggest that this idea was strengthened by the entry of autumnal point Ω in Virgo constellation, because according to the Greek-Latin mythology Virgo was the goddess of Justice who was living with mankind on the Earth during the Golden Age but who flew to the Heaven when mankind worsened from the Silver Age onwards; at the end of the first century b. C. Virgo was coming back and a son of hers, the Sun, was born, that is it rose in September (autumnal equinox), in her: a new Sun for a new age. We suggest that this birth in Virgo was the origin or the heavenly mark of some ancient myths and religious beliefs: the child referred to by Virgil in his fourth Bucolica, the child born by a virgin in Isaiah 7,14, the maidenly birth of Jesus.

We suggest that the contemporaneity of all these heavenly events – equinoctial Sun entry in Pisces and in Virgo after 2147,5 years; the threefold least angular separation of Jupiter and Saturn in Pisces after 854 years; the concomitance of the threefold least angular separation of Jupiter and Saturn in the same constellation in which one of the two equinoctial points has just arrived after about 4100 years; the return of Virgo constellation and the birth=rising of autumnal equinoctial Sun in her – was the factor of the eschatological hopes for a new age at the beginning of the Christian era.

 

 

1. Introduzione. (M. Codebò).

Scopo del seguente contributo è di presentare una nuova, suggestiva ipotesi sul tema della cosiddetta Stella di Betlemme. La dissertazione è articolata in tre parti: nella prima si evoca la comparsa, in Italia e in Oriente, nel pieno del crollo della Repubblica Romana, di speranze che prossimamente, dall’alto, sarebbe stata instaurata in mezzo agli uomini una nuova e durevole Età dell’Oro. Nella seconda parte si discutono criticamente le varie e interessate supposizioni, formulate già in antico, intorno alla vera natura dell’astro che avrebbe accompagnato la nascita del Salvatore. Nella terza e ultima parte si ricostruisce la straordinaria concomitanza, nel cielo di quel tempo, fra una triplice congiunzione di Giove e Saturno e l’epocale passaggio del Sole, all’equinozio primaverile, dalla Casa dell’Ariete a quella dei Pesci. La nostra conclusione è che vaste fasce popolari, munite di fervida immaginazione e animate da grandi speranze, abbiano trasfigurato un rarissimo e per certi versi inquietante fenomeno naturale, segnalato con buon anticipo dagli astronomi, nel clamoroso annuncio del Regno di Cristo.

 

 

2. Il Millenarismo: una concentrazione di timori e speranze. (E. Bianchi).

Nella Storia, esistono “epoche d’angoscia”, nelle quali il sangue scorre a fiumi, e più generazioni di uomini hanno da temere per sé e per i propri beni; nel prolungato clima d’insicurezza, nasce una logorante preoccupazione escatologica: gli sforzi individuali non sembrano più garantire il successo o la sconfitta nella vita quotidiana, così come i riti della tradizione e persino le preghiere personali sembrano non commuovere più gli Dei; viceversa, viene spontaneo di collegare il destino dell’Umanità nel suo insieme a un dramma cosmico, le cui cause ultime sfuggono alla comprensione, ma che certamente prevede la fine del mondo attuale, irrimediabilmente corrotto, e la promessa di un avvenire migliore, foriero di godimento materiale e/o di beatitudine spirituale per tutti. Si suole definire Millenarismo la fervida credenza che, prossimamente, per volere divino, la terra sarà purificata dai malvagi e rimarrà incontaminata per un lungo arco di tempo, ad es. per mille anni. Un corollario, all’idea di un rinnovamento prossimo venturo, è che i buoni sapranno intravedere, da inequivocabili segni, quando l’ora fatale starà per scoccare; tali segni saranno di vario genere: fulmini, terremoti, pestilenze, inondazioni, etc. e soprattutto insoliti movimenti degli astri visibili, comunemente considerati quali privilegiati messaggeri degli Dei.

 

 

2.1 Aspettative neo-pitagoriche. (E. Bianchi).

L’ultimo secolo della Repubblica Romana fu precisamente una di queste epoche cariche d’angoscia, che vide, in tutto il mondo mediterraneo, un’ondata di violenza politica su proporzioni oceaniche. A Roma, cuore dell’Impero, il confronto fra optimates e populares, vale a dire fra esponenti della grande proprietà fondiaria e rappresentanti dei cittadini a basso reddito, degenerò in ripetuti scandali, minacce di colpi di stato e soprattutto in tremende guerre civili, con le loro orribili scie di espropri, esecuzioni, rappresaglie. Approfittando dei torbidi, gli schiavi rusticani insorsero in gran numero, guidati dal famoso gladiatore Spartaco, mentre molti di quelli impiegati nelle città costiere dettero vita a gravi fenomeni di pirateria marittima. Dal canto loro, i popoli italici, che da tempo prestavano servizio militare nelle legioni ma rimanevano politicamente discriminati, domandarono giustizia, e si sollevarono in armi contro i Romani. Tuttavia, ciò che in questa sede è di somma importanza, milioni di contribuenti greci e orientali, esasperati dal gravame fiscale e dalle sopraffazioni degli esattori, tentarono più volte di recuperare la loro libertà, appoggiando dapprima le micidiali avventure di Mitridate, re del Ponto, e poi le spedizioni dei lontani ma indomiti Parti.

Molti di coloro che vissero nel I secolo a.C., disgustati per le odiose sopraffazioni intorno a loro, le ingiustizie lampanti, l’orgia di saccheggi e massacri, furono sollecitati a una riflessione in senso lato millenaristica. In effetti, come poteva durare per sempre il deplorevole stato di cose, per il quale una piccola parte dell’umanità, prospera, istruita ed influente, sfruttava e umiliava la maggioranza dei suoi simili? Era inevitabile che gli Dei preparassero una generale resa dei conti, a cui avrebbe fatto seguito una radicale trasformazione del mondo. Per di più, l’osservatore perspicace avrebbe potuto collegare due ordini di fatti: l’ineluttabile deterioramento dei rapporti sociali su scala mediterranea con l’esaurimento di una vecchia configurazione della volta celeste, e l’avvento di una nuova era per l’umanità, che s’auspicava migliore, con l’inizio di una nuova fase astronomica di lunga durata. Si attuò, in altre parole, un complesso gioco di analogie e di paragoni che confusero non poco le idee, sia di chi cercava la salvezza a portata di mano, sia di chi indagava i segni celesti. Il mutamento superno era la causa della trasformazione sociale? Oppure era un sintomo della benedizione divina ai cambiamenti in atto sulla terra? In entrambi i casi, il legame era stretto e necessario.

Codesta miscela concettuale, fatta di attese millenaristiche e predizioni astronomiche, si può rintracciare in una particolare corrente del pensiero dominante, il quale, va da sé, era quello della classe dominante dell’epoca. La venerazione per Apollo, il Dio che personificava Helios, “il Sole”, costituiva, da tempi remotissimi, il maggior nesso religioso fra tutti i Greci, che periodicamente venivano convocati presso il Santuario di Delfi, a pregare e discutere insieme. Col procedere degli eventi storici, malgrado il suo carattere pan-ellenico, il culto apollineo mise profonde radici nella coscienza dei Romani, così che, nell’avanzato I sec. a.C., il Dio del Sole era divenuto quasi simbolo d’ecumenismo, vale a dire nume della fratellanza che avrebbe dovuto ispirare, una volta accantonati gli attuali dissidi, i vari popoli viventi sotto le insegne di Roma.

Alla progressiva affermazione di Apollo nel Pantheon antico corrispose, sul piano delle mentalità, il rilancio di oscure teorie, elaborate dai filosofi della scuola neo-pitagorica, su un periodico rivolgimento che l’Universo avrebbe dovuto subire ogni mille anni; la transizione fra un ciclo cosmico e il successivo sarebbe incominciata sotto la signoria di Apollo stesso. Senza entrare qui nei dettagli, si ricordano due figure emblematiche del millenarismo greco-romano: il primo è il senatore Publio Nigidio, noto per i suoi studi di numerologia e astrologia, il quale, nel 49 a.C., allorché il suo nemico Giulio Cesare varcò in armi il Rubicone, paventò l’imminenza di una catastrofe della vecchia civiltà; infatti, egli avrebbe affermato: «O questo mondo vaga senza alcuna regola nell’eternità e gli astri scorrono di moto casuale, oppure, se determinano i destini, si sta preparando la completa decomposizione dell’Urbe e del genere umano!» (Lucano, Phars.,I, vv. 642-645). La seconda personalità interessante è quella del poeta Virgilio, che, in un componimento giovanile, pubblicato nel 40 a.C., salutò con entusiasmo il ritorno della pace e della giustizia sulla terra, scrivendo: « la generazione del Ferro giungerà alla fine e un’aurea prole crescerà in tutto il mondo: ormai regna il tuo Apollo.» (Virgilio, Ecl., 4, vv. 8-10). L’autore, per fondare la sua inebriante certezza, che l’era apollinea fosse appena cominciata, richiamò due fonti degne di fede: da un lato, i vaticini di alcune misteriose fattucchiere, invasate dal Dio, che erano chiamate Sibyllae; dall’altro, come si vedrà più sotto, una serie di fortunate previsioni astronomiche, relative agli spostamenti del Sole sullo sfondo delle principali costellazioni.

 

 

2.2 Aspettative ebraiche. (E. Bianchi).

Il pessimismo di Nigidio e l’esultanza di Virgilio furono le due opposte modalità con cui i circoli dirigenti romani immaginarono che, sullo scorcio del I sec. a.C., grandi mutamenti su scala globale fossero in vista. Una diversa ma convergente ideologia, che contribuiva ad animare le speranze nell’avvento di una nuova epoca per l’Umanità, fu rappresentata dal Messianesimo ebraico.

Nella tarda età repubblicana, gli Ebrei avevano poco a che spartire con l’immagine di loro che circolava in Europa fino a cinquant’anni fa. Intanto, essi erano moltissimi, in tutte le metropoli ellenistiche che s’affacciavano sul Mar Mediterraneo e nell’Urbe stessa, e non costituivano affatto minoranze chiuse e guardate a vista nei ghetti. Inoltre, essi erano animati da un vivace spirito missionario e praticavano il proselitismo apertamente, non costretti nei limiti di sinagoghe autorizzate. Infine, essi avevano fama di elementi sediziosi, tutt’altro che timidi e passivi esecutori delle volontà dei potenti: tale opinione derivava dal fatto che essi, nel recente passato, guidati dalla casata dei Maccabei, avevano difeso con accanimento la loro libertà, battendosi contro i feroci eserciti mercenari dei re di Siria; e persino nei confronti della super-potenza romana non s’erano mostrati affatto arrendevoli, ottenendo che la Giudea fosse inquadrata in un reame vassallo semi-indipendente, piuttosto che in una provincia come le altre. In altre parole, nel I sec. a.C., gli Ebrei erano numerosi, motivati e irrequieti a sufficienza, per influenzare con le loro credenze vaste fasce popolari delle grandi città mediterranee, cioè modesti artigiani, minuscoli bottegai, manovali salariati, poveri nullatenenti, schiavi domestici, e tutta la negletta plebe, che le rispettive borghesie municipali, e l’arrogante nobilitas di Roma, sfruttavano e opprimevano quotidianamente.

Com’è noto, a differenza dei Gentili, loro vicini, gli Ebrei seguivano una religione monoteistica, basata su Yahweh, Dio unico e onnipotente; inoltre, mentre per la concezione greco-romana la vita dei popoli si svolgeva su orbite cicliche, per gli Ebrei la Storia aveva una traiettoria unidirezionale: il Signore aveva realizzato un dì il Paradiso Terrestre per gli uomini, ma costoro, ingrati, avevano ceduto alle tentazioni maligne, col risultato che erano decaduti sempre di più dalla primigenia condizione di purezza d’animo e salubrità di corpo; per fermare il degrado, Yahweh aveva mandato loro atroci punizioni, eloquenti profeti e saggi sovrani, tutti usciti dalla fidata stirpe di Israele, ma ogni sforzo era stato vano; l’ultima speranza di salvezza per l’Umanità, abbruttita e sofferente, stava nell’invio dal cielo di un Messia, cioè di un “Unto del Signore”; costui, personaggio di genuina stirpe davidica, con la parola e all’occorrenza con la spada, avrebbe dovuto raddrizzare i torti mondani e aprire ai giusti, una volta per tutte, le porte dell’Eden. Se è vero che simili idee escatologiche erano patrimonio comune a tutto l’antico Ebraismo, tuttavia è innegabile che, nei secoli II e I a.C., per l’urgenza delle necessità politiche, si intensificò via via la speranza di vedere, nell’immediato futuro, l’arrivo in Palestina di un Salvatore, che fosse o un audace riformatore dei costumi o un capace condottiero d’eserciti. L’attesa era fondata su alcuni testi “apocalittici”, cioè imperniati su rivelazioni prodigiose, tra i quali il più letto era il Libro di Daniele; in esso si narrava di come, nel lontano VI sec. a.C., il re babilonese Nabuchodonosor avesse fatto un sogno spaventoso: tutti i grandi Imperi, uno dopo l’altro, sarebbero stati destinati alla perdizione; l’ultimo sarebbe andato in rovina subito prima dell’instaurazione del Regno di Dio (Dan., 2, 1-49). In un altro celebre passo, si prevedeva che la venuta del Messia sarebbe caduta 69 settimane settenarie, cioè 483 anni, dopo la fine della cattività babilonese (Dan., 9, 24-27 ); a seconda dell’evento preciso dal quale si faceva decorrere il tempo pre-fissato, si poteva trovare uno spettro di date comprese fra il 54 a.C. e il 77 d.C. Soprattutto gli anni di regno di Erode il Grande, fra 37 e il 4 a.C., furono caratterizzati da un vero e proprio parossismo messianico, che generò avventurieri politici come Ezechia e Giuda di Gamala; bizzarri eremiti come Giovanni Battista; briganti come Atroneo, Simone lo Schiavo e Bar-habba, che in Aramaico voleva dire “(figlio) del Padre”; astuti taumaturghi come Simone il Mago; e altri personaggi affini, che potrebbero aver dato origine alla composita leggenda di Gesù il Nazareno.

Comunque, non bisogna credere che, per fissare la data d’avvento del Messia, gli Ebrei si affidassero solo o prevalentemente alle indicazioni scritturali, come quella sopra evocata; un ulteriore strumento di previsione erano i calcoli astronomici e le relative speculazioni teoriche. Va sfatato il pregiudizio in merito alla presunta estraniazione degli Ebrei dallo studio del cielo: è vero che, presso di loro, le pratiche di “astrologia genetliaca”, con le loro vane capacità di pronosticare i successi o le sconfitte individuali, erano condannate senza appello; tuttavia, un tipico tema di “astrologia universale”, come la visione di un mirabile segno celeste, che avrebbe annunziato la nascita o il pronunciamento del Messia, era perfettamente accettabile; in particolare, si nota come il Sole avesse un ruolo ricorrente e significativo nella Bibbia: si va dal Sole che brillerà come non mai (Isaia, 30, 26), illuminando a giorno la notte (Zaccaria, 14, 7), al Sole della Giustizia che rifulgerà nel giorno del Giudizio Universale (Malachia, 4, 2). Analogamente, ma con un ruolo più tecnico, il moto del Sole ritorna nella letteratura “intertestamentaria”, collocabile cioè a cavallo fra Antico e Nuovo Testamento: ad es., il Libro dell’Astronomia, risalente circa al 200 a.C., svolge una dura polemica contro chi pretendeva di adottare le fasi lunari, piuttosto che i mesi solari, nella determinazione delle Pasque e delle altre ricorrenze festive (Enoc Etiopico, 72-82). A parte la complessa questione della precedenza, presso gli Ebrei, del calendario lunare su quello solare, o viceversa, si deve ammettere che i loro sapienti avevano, quanto meno, una buona dimestichezza con i moti planetari.

 

 

2.3 Aspettative zoroastriane. (E. Bianchi).

Forti spinte escatologiche, nel I sec. a.C., si avvertirono anche in un'altra religione monoteista, e precisamente nel Mazdeismo, che era la fede dominante tra le popolazioni dell’altopiano iranico, delle montagne che s’ergevano ai suoi margini, nonché di parte della Mesopotamia. Codesto Mazdeismo era sorto nel VI sec. a.C., quando un maestro eccelso di nome Zarathushtra, riflettendo sul Fuoco e sul Sole, che illuminavano e scaldavano il mondo, si convinse che essi erano null’altro che le apparenze sensibili di un Essere Supremo, altrimenti infinito, invisibile ed ineffabile, chiamato Ahura Mazda, “il Signore Saggio”. Secondo gli insegnamenti di Zarathushtra, nei pensieri, nelle parole e nelle opere degli uomini s’esprimeva una perpetua dialettica degli opposti: Spenta Mainyu contro Angra Mainyu, Luce contro Tenebre, Bene contro Male. A questo proposito, sappiamo che i teologi persiani erano divisi in almeno due correnti: da una parte c’era chi pretendeva che il Bene e il Male fossero manifestazioni gemelle ma speculari della stessa volontà di Ahura Mazda: Dio aveva rimesso la scelta fra il Bene e il Male al libero arbitrio di ciascun uomo, che così veniva messo alla prova nel corso della sua vita terrena. In contrasto con tale visione “esistenzialista”, riservata ai circoli colti, la moltitudine e il basso clero, in modo assai semplicistico, credevano che il Bene fosse frutto del luminoso Ahura Mazda, mentre il Male fosse opera di una divinità antagonista, il tenebroso Ahreman, “il Diavolo”.

La concezione dualistica, popolaresca, del Mazdeismo implicava che la storia dell’Umanità fosse stata la storia della strenua lotta che il Bene e il Male avevano ingaggiato fra loro ai primordi del mondo; prima o poi, il titanico duello fra gli Dei sarebbe arrivato ad una soluzione definitiva: un giorno, che si sperava non lontano, il Signore Saggio avrebbe inviato sulla terra una creatura sovrumana, lo Saoshyant, “il Redentore Universale”; costui sarebbe riuscito a distruggere Ahreman, a resuscitare i morti, e a decretare il Giudizio Finale; dopo che i meriti e i torti di ciacun uomo fossero stati divisi, contati e pesati, si sarebbe finalmente instaurato lo Khshatra, il millenario Regno di Dio (Yasna , 34, 13-18.).

Gli Zoroastriani, e in particolare i Magi, vale a dire i loro sacerdoti specializzati nella osservazioni astronomiche e nella divinazione, erano certi che, in concomitanza con l’evento straordinario della nascita del Salvatore, si sarebbe prodotto in cielo un fenomeno mai visto prima, probabilmente, più che la comparsa di una stella, un’anomalia nel corso del Sole, l’astro prediletto dal Signore Saggio, che avrebbe così dato un inequivocabile segnale della consumazione di un intero ciclo cosmico.

Le tendenze millenaristiche fra i seguaci di Zarathushtra, piuttosto contenute finché sulla Persia regnarono gli Achemenidi, si rafforzarono dopo le conquiste di Alessandro Magno, e, più ancora, dopo l’ascesa al trono della dinastia partica degli Arsacidi, i quali non sempre rifuggivano dal fanatismo religioso. Alla fine del I secolo a.C., dal punto di vista romano, il Mazdeismo radicale era un pericolo da non sottovalutare, perché esso era protetto dai Parti, i quali potevano dirsi l’ultimo avversario, degno di questo nome, che Roma avesse ancora nel Vicino Oriente. Chiaramente, i sovrani partici miravano ad espandere il proprio regno a spese delle contermini province imperiali di Armenia, Cappadocia e Siria; dunque s’intuisce quale insidia rappresentasse, per il morale e la lealtà dei provinciali, tartassati e umiliati dall’odioso sistema tributario, un ben studiato messaggio di salvezza, propagandato direttamente da predicatori mazdeici, miranti a suscitare adepti e simpatizzanti entro i confini del nemico. Non può essere casuale se, a un certo punto, persa la pazienza, le autorità romane fecero bruciare, in un sol fascio con i Libri Sibillini apocrifi e con la letteratura apocalittica giudaica, gli Oracoli di Istaspe (Giustino, Apol., 1, 44, 12); di costui si sa poco o nulla, ma sembra che fosse stato un discepolo o commentatore di Zarathushtra e che avesse predetto l’imminente arrivo del Redentore Universale.

Una possibile alternativa di diffusione, per il Millenarismo mazdeico, era che esso fosse raccolto dalle vivaci comunità giudaiche di Babilonia, Seleucia al Tigri e Ctesifonte, e rilanciato fra gli Ebrei sparsi per tutto il bacino mediterraneo, che già vivevano in un’atmosfera satura di tensione messianica; dopotutto, il celeberrimo racconto evangelico sui Magi, andati presso la culla di Gesù Bambino, se riletto in termini politici, potrebbe adombrare un intento filo-partico, nella misura in cui rievoca l’obiettiva convergenza che, allo scadere del I secolo a.C., fu raggiunta fra gli Ebrei messianici dentro l’Impero romano ed autorevoli esponenti del clero mazdeista oltre frontiera.

 

 

3. Considerazioni astronomiche. (M. Codebò).

 

3.1              Magi e magia. (M. Codebò).

Come esposto nella precedente relazione di Giuseppe Veneziano, si è evinto come la stella di Betlemme fu visibile per i soli Magi. La fonte evangelica è l’unica e la più antica in nostro possesso sulla loro visita al Divino Bambino, mentre tutte le altre le sono posteriori e dipendenti (Centini 1997).

Sappiamo da fonti extrabibliche (Erodoto I,101.107.120.128.132.140; III,60.63-69.71.74-80.88.118.126.140.150.153; IV,132; VII,19.37.43.113.191; crf. anche Panaino 2005, pp. 84-101) che i Μάγοι erano i componenti di una popolazione meda particolarmente versata nelle conoscenze astrologico-astronomiche e che operarono presso i re persiani come sapienti e consiglieri, talora non alieni da intrighi di palazzo. La μαγεία era esattamente la loro scienza, ossia quel complesso di dottrine e di conoscenze astronomiche alla base delle religioni iraniche che trovò la sua più completa formulazione nello Zoroastrismo, il cui testo sacro – l’Avesta – andò quasi completamente perduto nel II secolo a.C. durante la conquista macedone, tranne circa un quarto dell’originale che sopravvive ancora oggi come testo sacro del Parsismo, che dello Zoroastrismo è l’evoluzione.

Trascurando per motivi di spazio una disamina sul vocabolo e sui suoi sinonimi, ci basti qui rilevare che nel mondo latino l’equivalente della moderna magia era espresso prevalentemente con il vocabolo veneficium = avvelenamento e che solo in epoca cristiana la μαγεία ed il veneficium furono assimilati fino all’identificazione, in quanto opera demoniaca. A tal proposito è interessante notare come talune formule medioevali di veleni usati a scopo omicida (Bertol e Mari 2001) riproducano quei supposti intrugli magici, a base di vari prodotti vegetali ed animali, talora anche fantasiosi, che secondo la voce popolare erano fabbricati da fattucchiere, streghe, maghi, ecc.

I Magi di Matteo 2 erano dunque esperti astronomi, non stregoni, e ciò spiega perché poterono capire o addirittura vedere quanto agli inesperti ed ai profani era precluso.

 

 

3.2              Il testo di Matteo capitolo 2. (M. Codebò).

Il testo greco che per noi è l’originale, perché un precedente in aramaico, molto probabilmente esistito, non ci é pervenuto ammette con riferimento alla stella due interpretazioni ugualmente corrette.

Mt 2,2 <…ε̉ίδομεν γάρ αυ̉του̃ τόν α̉ςτέρα ε̉ν τη̣̃ α̉νατολη̣̃ ̣̃…>¹ può tradursi sia come stato in luogo <…vedemmo in oriente la sua stella…>, sia come complemento di tempo <…vedemmo la sua stella al sorgere…>. Il testo latino della Vulgata geronimiana traduce il testo greco come complemento di luogo.

Mt 2,9 <…καί ι̉δου̃ ‘ο α̉στήρ, ‘ό́ν ει̉̃δον ε̉ν τη̣̃ α̉νατολη̣̃ προη̃γεν αυ̉τοὺς ‘έως ε̉λθών ε̉̀στάθη ε̉̀πάνω ού ὴ̃̉ν τὸ̀ παιδίον…> è tradotto nella Vulgata nel modo seguente: <...et ecce stella, quam viderant in oriente, antecedebat eos, usquedum veniens staret supra, ubi erat puer…> (Nestle & Aland 1963).

Tuttavia, poiché il vocabolo greco ‘έως può ugualmente significare tanto l’avverbio temporale “finché” quanto il sostantivo “aurora” entrambi scritti esattamente nello stesso modo, con le stesse lettere e gli stessi accento e spirito la frase del testo greco può parimenti tradursi correttamente e letteralmente, ancorché un pò forzatamente, come segue:

 

«…ed ecco la stella, che avevano visto al sorgere, li precedeva; l’aurora, sopraggiunta, si fermò sopra il luogo ove era il bambino…»,

 

ad indicare che i Magi arrivarono presso il bambino quando sorse l’aurora. Ammettendo che la stella vista dai Magi fosse il sorgere del Sole agli equinozi nelle allora nuove costellazioni dei Pesci e della Vergine, Mt 2, 9 significherebbe che essi riconobbero il luogo dove era il bambino perché vi giunsero da Gerusalemme giusto all’alba.

 

 

3.3 Le due nuove costellazioni equinoziali dei Pesci e della Vergine. (M. Codebò).

Com’è noto i punti equinoziali γ e Ω rispettivamente primaverile ed autunnale sono i due luoghi puntiformi dell’intersezione dell’eclittica con l’equatore celeste. Essi sono dotati di movimento precessionale retrogrado complessivo annuo pari a 0°00'50,290966" (al 2000.0J), che permette ad essi di percorrere:

a) l’intera eclittica in senso retrogrado in circa 25770 anni;

b) ciascuna stazione zodiacale (di 30°) in circa 2147,5 anni;

c) 1° in circa 71,6 anni.

Essi sono impercettibili ad occhio nudo e rilevabili solo strumentalmente ed a causa della loro natura puntiforme e del loro moto sono spesso assimilati ancora oggi a due stelle reali ma invisibili. Proprio intorno agli anni in cui nacque Gesù, dopo circa 2147,5 anni la precessione generale li aveva spostati dalle precedenti costellazioni dell’Ariete e della Bilancia a quelle nuove in cui si trovano tutt’oggi: i Pesci e la Vergine. Era così praticamente finita un’era e ne stava cominciando un’altra. Dal punto di vista astrologico era quindi lecito attendersi l’avvento di un mondo nuovo.

La Vergine in particolare, identificata principalmente con Δίκη = Αστραία = Iustitia = la Giustizia, con la nascita di una nuova serie di grandi secoli <…magnus ab integro saeclorum nascitur ordo…> “ritornava” sotto forma di costellazione <…iam redit et Virgo…> dopo essersi volontariamente esiliata dal mondo terreno fin dall’Età dell’Oro, secondo quanto tramandato dalla mitologia greco-romana. Riteniamo che sia stato questo ingresso del Sole autunnale nella costellazione della Vergine ad ispirare a Virgilio i versi 4-7 della sua IV Bucolica:

«Ultima Cymaei venit iam carminis aetas,

magnus ab integro saeclorum nascitur ordo;

iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna,

iam nova progenies caelo demittitur alto»

 

e la data d’inizio di tale Era, indicata ai vv. 11-12 – il consolato di Asinio Pollione, nel 40 a. C.:

 

«Teque adeo decus hoc aevi, te consule, inibit,

Pollio, et incipient magni procedere menses: »

(Carea 1971, pp. 98-101)

coincide piuttosto bene con lo spostamento del punto equinoziale autunnale: stimando in 30° l’ampiezza di ogni segno zodiacale, nella seconda metà del I secolo a. C. il punto Ω aveva ormai attraversato l’intero segno della Bilancia ed entrava in quella della Vergine.

Ecco che allora può diventare riconoscibile il puer ivi citato nei versi 8-10:

 

«Tu modo nascenti puero, quo ferrea primum

desinet ac toto surget gens aurea mundo,

casta fave Lucina; tuus iam regnat Apollo»

 

può essere il Sole stesso che nasce nuovamente nella Vergine dopo 25770 anni e che nella mitologia greco-latina era associato ad Apollo, dio della luce. Del resto il topos del parto miracoloso di una vergine era molto comune nelle mitologie antiche; forse qui Virgilio riecheggia, secondo una consuetudine orientaleggiante divenuta ormai di moda nella Roma imperiale, un antico mito egiziano già messo in evidenza da Nedim Vlora (per sua cortese comunicazione verbale al convegno SIA del 2005) – ed è plausibile che il poeta pensasse ad un ignoto paredro umano del Sole sulla Terra.

Riteniamo altresì che l’ingresso del punto γ nella costellazione dei Pesci ed i miracoli terreni di moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 14,13-21; 15,32-39; Mc 6,30-44; 8,1-10; ; Lc 9,10-17; Gv 6,1-13) siano all’origine del primo e più antico simbolo cristiano a noi noto i pesci appunto, successivamente sostituito con la croce quasi che l’evento miracoloso terreno che è fra i più impressionanti dei Vangeli sinottici, tanto da essere menzionato pure in quello di S. Giovanni, notoriamente più incline alla teologia cristologica che alla narrazione trovi la sua ratifica nel cielo, come Gesù aveva detto (Mt 16,19; 24, 30).

Ciò concorda con il fatto assodato che solo più tardi il simbolo del pesce fu interpretato, nella sua dizione greca ’̉ιχθύς, come acrostico della formula confessionale <’Ιησούς = Gesù, Χριστός = Cristo, Θεου ̃= di Dio, ̉’Υιός = figlio, Σωτήρ = salvatore>.

Questo simbolismo dei pesci è ricorrente e notevole nella teologia biblica:

a) essi sono miracolosamente moltiplicati con i pani a loro volta simbolo dell’Eucarestia per nutrire il popolo di Dio (passi sopra citati);

b) il Risorto appare agli Apostoli e mangia con essi pesce arrostito, a dimostrazione della Sua esistenza in vita (Lc 24,42);

c) quattro dei dodici apostoli sono pescatori. Ad essi Gesù aveva promesso di farli diventare “pescatori di uomini” quando li aveva chiamati al proprio seguito (Mc 1,17; Lc 5,10);

d) Gesù preannuncia la sua resurrezione (Mt 12,39-40; Lc 11,29-30) rifacendosi espressamente alla permanenza del profeta Giona nel ventre di un enorme pesce (Gn 2,1-11);

e) infine Tobia usa un pesce come rimedio farmacologico per guarire suo padre Tobi dalla cecità e come rimedio esorcistico contro un demonio (Tb 6,1-19);

Ma dal punto di vista astronomico vi è anche una seconda coincidenza forse non casuale:

a)      nel 55 a.C. (De Cesaris 2001) il punto γ era ancora, secondo noi, al limite tra l’Ariete ed i Pesci, circa tra β Arietis e ξ Piscium;

b)      nel 1 a. C. esso era tra ο Piscium e ξ Piscium, non molto distante da γ Arietis;

c)      ma nel decennio 30-40 d. C. esso era tra ο Piscium ed η Piscium, ormai lontano da qualsiasi stella dell’Ariete: quel decennio è proprio quello in cui Gesù morì in supplizio inaugurando, secondo la visione cristiana, la Nuova Alleanza.

Ci pare perciò difficilmente obiettabile che, qualunque fosse l’anno esatto dell’ingresso del punto γ in Pesci (il discorso è più complesso per l’ingresso del punto Ω in Vergine, costellazione che misura ben 45° contro i poco più di 30° dei Pesci), questo ingresso fosse considerato come l’inizio di una nuova era e fosse contestualmente caricato di forti aspettative e speranze, sia in ambiente giudaico-cristiano che pagano.

 

 

3.4 Congiuntura di eventi astronomici all’inizio dell’Era Cristiana. (M. Codebò).

Posto che la stella che “...sorge da Giacobbe ...” (Nm 21,17) e la Stella di Davide sembrano identificabili con la triplice congiunzione apparente di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci durante l’anno 7 a. C. (De Cesaris 2001), per i motivi sopra discussi riteniamo che le aspettative escatologiche, che abbiamo visto essere così forti nel mondo mediterraneo agli inizi dell’Era Cristiana, siano state in sostanza alimentate dalla singolare concomitanza non di uno solo ma di più eventi astronomici cui vennero attribuite valenze profetiche:

1) l’inizio, dopo oltre duemila anni, di una nuova era zodiacale con l’uscita del Sole equinoziale dalle precedenti costellazioni dell’Ariete e della Bilancia ed il suo ingresso in quelle dei Pesci e della Vergine;

2) il fatto che Pesci e Vergine fossero costellazioni così dense di significato sia per il mondo giudaico-cristiano che per quello pagano;

3) il ripetersi l’anno 7 a. C., dopo circa novecento anni, della triplice congiunzione apparente di Giove e Saturno (De Cesaris 2001);

4) il fatto che questa triplice congiunzione apparente si sia verificata proprio nella costellazione dei Pesci in cui il Sole aveva appena cominciato a sorgere all’equinozio di Primavera;

5) il fatto che la seconda di queste tre congiunzioni del 7 a. C. si sia verificata nel mese di settembre, quindi mentre il Sole cominciava a sorgere nella Vergine all’equinozio di autunno (De Cesaris 2001, p. 324);

6) il fatto che l’ultima volta in cui si verificò la concomitanza di una triplice congiunzione apparente di Giove e Saturno in una costellazione – il Toro – in cui era appena entrato uno dei punti equinoziali, risaliva circa al 4100 a.C. (e precisamente al 4098 a.C. secondo il programma Skyglobe36, con i limiti di precisione che questi programmi commerciali hanno): ossia erano trascorsi più di 4000 anni dall’evento precedente. E non ci pare del tutto casuale che appena qualche secolo dopo le letterature rabbinica e cristiana abbiano anticipato a circa quattromila anni addietro la creazione biblica che fino ad allora era stata datata a circa cinquemilacinquecento anni addietro.

Ricordiamo qui che le numerose rappresentazioni ideografiche di bovidi, soprattutto sotto forma di bucrani, così frequenti nel IV e nel III millennio a.C. potevano forse rappresentare la costellazione del Toro nella quale si trovava allora il punto vernale (Codebò e Felolo i.. r.) e che le molteplici citazioni dell’ariete o del capro o del montone (in campo biblico per brevità citiamo solo, tra i tanti passi, Gen 22,13 e Lv. 16,1-34 come i più significativi) potevano forse simboleggiare la Costellazione dell’Ariete in cui si trovava il punto vernale durante il II ed il I millennio a.C. Ciò ci sembra in buon accordo con il fatto che, con il passare del tempo, il capro, animale in origine espiatorio (Lv 16, 1-34) sia divenuto, fino ai giorni nostri, un simbolo del Maligno: l’Antica Alleanza, stabilita sotto il segno dell’ariete (Gen. 22,13) è soppiantata dalla Nuova Alleanza sotto il simbolo dei Pesci.

 

 

4. Conclusioni. (M. Codebò).

Nel presente lavoro abbiamo analizzato e confrontato tra loro le forti aspettative escatologiche sorte nel mondo mediterraneo tra il I secolo a.C. ed il I secolo d. C. e la singolare concomitanza di eventi astronomici coevi. Abbiamo concluso che tra queste due realtà vi sono rapporti assai più stretti di quanto fin’ora ipotizzato ed abbiamo sviluppato una tesi sull’identità della stella di Betlemme – i punti equinoziali γ ed Ω – fino ad oggi, a quanto ci risulta, mai avanzata. Nel fare ciò abbiamo dovuto addentrarci nella lettura di svariate fonti giudaico-cristiane extrabibliche e pagane, nelle quali abbiamo con sorpresa trovato frequenti e talora consistenti riferimenti astronomici. Tutto ciò ci ha ulteriormente convinti – sostanzialmente in accordo con De Santillana e von Dechend (De Santillana G., von Dechend H. 2004) – che il peso e l’importanza dell’astronomia nelle culture del mondo classico e forse anche pre-classico sia stata in gran parte sottovalutata. Questo sarà l’oggetto di una o più nostre future pubblicazioni.

 

 

Nota.

1) Poiché il nostro programma informatico di scrittura non supporta il Greco antico, non è stato sempre possibile scrivere spiriti e pedici correttamente. Di ciò ci scusiamo vivamente con i lettori e li rimandiamo a Nestle e Aland.

 

 

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