ARCHEOASTRONOMIA LIGUSTICA

 

 

Pubblicato in: Mondo Ladino, 32/2008, anno XXXII (2008), Istitut Cultural Ladin, Vigo di Fassa (TN), novembre 2009, pp. 163-184, ISSN 1121-1121.

 

 

STUDI DI ARCHEOASTRONOMIA IN VAL DI FASSA (TN)

 

Mario Codebò

Henry De Santis

 

 

Nel presente articolo descriveremo i risultati degli studi – presentati al IV Convegno della Società Italiana di Archeoastronomia nel 2004 [Codebò 2006] ed al convegno “Astronomia e Archeologia a confronto” svoltosi a S. Flavia-Solunto (PA) in data 20-21/03/2004 [Codebò e De Santis c.s.] – relativi alle sette cime meridiane e ad alcune chiese orientate della Val di Fassa.

I risultati completi di tale indagine sono disponibili all’indirizzo http://www.archaeoastronomy.it/valdifassa.htm

 

1. Le sette cime meridiane della Val di Fassa negli studi di M. Codebò (di Henry De Santis).

Le sette cime indagate sono:

 

Come è evidente, alcuni toponimi appaiono ladini ed altri italiani, mentre uno (Sasso Vernale) è, come vedremo, una voce dotta dal latino. Le ricerche di Codebò hanno dimostrato che alcuni di essi erano già presenti nell’Atlas Tyrolensis di Peter Anich e Blasius Hueber, pubblicato nel XVIII secolo [Anich 1981, foglio XIV] o erano comunque presenti nella parlata ladina, mentre altri li troviamo riportati nelle mappe militari austro-ungariche ottocentesche. In particolare, l’Atlas Tyrolensis riporta già i toponimi Sasso Vernale e Sas da Mesodì (o da Mesdì), mentre il Sas da le Doudesc è chiamato Sas da Aloch, che P.Frumenzio Ghetta interpreta come ad lucum (= ‘nel bosco’). Gli altri quattro non vi sono nominati. Se ne trae che almeno il Sas da Mesodì (o da Mesdì) ed il Sasso Vernale, che insistono, come vedremo oltre, sul santuario di S. Giuliana, a diff erenza degli altri erano già ben noti al principio del XVIII secolo.

 

1.1. Sasso Vernale, Sas da Mesodì (o da Mesdì) e Santuario di S. Giuliana.

È il complesso fassano più interessante. Il Sasso Vernale (M. Cirello nella cartografi a I.G.M.) è una cima che si stacca dalla famosa parete sud della Marmolada. Nella Guida dei Monti d’Italia del C.A.I.-Touring, vol. Marmolada, ed. 1937, il toponimo vernale veniva interpretato come invernale, perché il suo versante settentrionale ospitava all’epoca un piccolo ghiacciaio. Questa interpretazione è evidentemente infondata, sia perché in tal caso ogni altra montagna in analoghe condizioni dovrebbe avere il medesimo toponimo, sia perché la Marmolada, il cui ghiacciaio del versante nord è il più esteso delle Dolomiti, avrebbe dovuto, a ragione ben maggiore, ricevere l’appellativo vernale. È evidente che il senso del raro toponimo va cercato altrove e lo si trova facilmente constatando che la montagna è esattamente ad est dell’abitato di Vigo di Fassa. Il significato diventa allora quello di Sasso della Primavera, tenendo conto del fatto che l’aggettivo vernale – dal Latino ver, veris = ‘primavera’ – indica in astronomia l’equinozio di primavera (dal Latino primum ver = ‘primo giorno di primavera’) o, appunto, equinozio vernale. Il toponimo signifi ca quindi Sasso – o Monte – della Primavera, volendo indicare palesemente il punto dell’orizzonte apparente in cui sorge il Sole agli equinozi.

 

Il Sasso Vernale (sullo sfondo, tra le nubi) da S. Giuliana di Vigo di Fassa

(foto M. Codebò)

 

Poiché questa cima si trova, come detto, sullo stesso parallelo di Vigo di Fassa, è quest’ultimo la sede dell’osservazione. Il problema fu individuare il punto preciso, essendo due i candidati possibili: la Pieve di S. Giovanni ed il Santuario di S. Giuliana. La visita alle due località ha permesso di dirimere immediatamente il dubbio, perché dalla Pieve, ubicata sul fondovalle, il Sasso Vernale non è visibile, causa altre montagne interposte. Basta invece salire a piedi verso il santuario per verificare che la montagna diventa visibile già dalla stazione a valle della funivia Vigo-Ciampedìe[1], ove però non vi sono attualmente tracce di abitato antico. Proseguendo la salita, in particolare lungo il sentiero che passa accanto al cimitero di guerra austro-ungarico, non si perde mai di vista il Sasso Vernale.

Il Sas da Mesodì diventa invece già visibile dal fondovalle, ma è solo sul piazzale del santuario che entrambe le vette sono visibili.

Dalle misure e dai calcoli effettuati da Codebò si può affermare che S. Giuliana è dunque il luogo da cui si può:

a) riconoscere quotidianamente il mezzogiorno vero locale (che differisce dal mezzogiorno civile, cioè le ore 12,00 che tutti conosciamo, di circa + 1 ora e 13 minuti quando vige l’ora legale estiva e di + 13 minuti negli altri periodi dell’anno[2]) quando il Sole raggiunge la sua altezza più elevata sulla verticale del Sas da Mesodì;

b) riconoscere annualmente l’inizio della primavera e dell’autunno quando il Sole sorge all’alba degli equinozi (solitamente il 21 marzo e il 23 settembre) dietro al Sasso Vernale.

Codebò ritiene che la presenza di un sistema di misurazione del tempo in grado di determinare il mezzogiorno e l’inizio della primavera sia giustificato dall’importanza del sito. In un’area inferiore ad un chilometro quadrato si ergono infatti ben tre edifici sacri: la piccola chiesa duecentesca di S. Maurizio, la chiesa gotica quattrocentesca di S. Giuliana, il Capitello seicentesco, costruito nel 1519 quando le due chiese divennero insufficienti ad accogliere la sempre crescente massa dei fedeli in occasione delle due memorie di S. Giuliana vecchia (03/06) e nuova (16/02).

A questi tre edifici tutt’oggi visibili, si aggiunse nel XVII secolo il romitorio, oggi completamente scomparso, in cui vissero come eremiti dal 1661 al 1681 Mattio Massar e Dom Domenico Pederiva

(Baroldi e Ghetta 1966, p. 126) e le cui tracce furono rinvenute durante gli scavi condotti in loco da Piero Leonardi (Leonardi 1954, pp. 117-131). Ma già nel sec. XIV il sito era sicuramente abitato da altri eremiti, fra cui un certo Giovanni (Baroldi e Ghetta 1966, pp. 126-127). Gli scavi condotti nel 1989 (Cavada 1991, pp. 151-188) hanno dimostrato che la prima presenza umana documentata risale ai secoli IV~III a.C., probabilmente con funzioni già cultuali anziché abitative. Successivamente fu costruita una primitiva chiesa paleocristiana; più tardi una chiesa romanica ed infine nel 1452 l’edificio gotico attualmente visibile.

 

Il Sas da Mesdì da S. Giuliana di Vigo di Fassa

(foto M. Codebò)

 

Dunque il sito riveste una forte valenza sacrale pressoché ininterrotta da almeno 2400 anni ed è tutt’oggi il principale santuario della Val di Fassa. In quest’ottica appare giustificabile la necessità – forse degli stessi eremiti – di disporre dei due maggiori marcatori del tempo: il mezzogiorno e l’equinozio di primavera.

Benché il suo lavoro non sia uno studio toponomastico, Codebò ha dovuto prendere in considerazione altri due orònimi locali molto simili: Vernel, che compare nel Gran (q. m. 3210) e nel Picol (q. m. 3098) Vernel e nella Pala del Vernel (q. m. 2836), tutte cime che appartengono alle propaggini occidentali della Marmolada, e Vernai, che compare nel Sass Vernai (q.m. 2173), sulla parete orientale della Marmolada, sopra la località Salere, poco a NE della Punta Serauta.

Due sono le ipotesi accreditate (Lorenzi 1932, p. 1070), citate a Codebò dal dott. Chiocchetti: il fitonimo di origine provenzale verna significante ontano; oppure una derivazione dal latino hibernus significante inverno, da cui probabilmente l’ipotesi onomastica riportata nella citata Guida Cai-Touring 1937. Si noti tuttavia che tutte queste cime hanno una relazione con il punto cardinale est: Picol Vernel, Gran Vernel e Pala del Vernel segnano l’est rispettivamente da Pera di Sopra, Rualp e Muncion, sempre ché siano visibili da questi paesi; Sass Vernai può far parte del complesso Sasso delle Dodici - Sasso delle Undici della parete nord della Marmolada come indicatore dell’est e, quindi, delle ore sei, ma con le riserve più avanti espresse in merito a queste due cime.

Tuttavia, mentre Codebò ritiene che non vi siano dubbi sulla derivazione dell’orònimo Sasso Vernale dal latino ver, veris in relazione alla sua funzione d’indicatore equinoziale, gli orònimi Vernel e Vernai necessitano evidentemente di ulteriori accertamenti.

 

1.2. Sas da le Doudesc, Sas da le Undesc, Parrocchia di Mazin, I Pigui.

È il secondo complesso orario fassano da sud verso nord ma anche in ordine di complessità archeoastronomica. Se tracciamo una linea immaginaria verso nord dal Sas da le Doudesc passiamo prima sul sito archeologico de I Pigui e poi sulla parrocchiale di Mazin. Vista da questi due luoghi, la cima del Sas da le Undesc dista dall’altra molto approssimativamente 15° topografici che, trasformati in tempo, sono pari ad un ora: cioè, semplificando, è il tempo che al Sole occorre per percorrerli.

Il sopralluogo effettuato da Mario Codebò presso la parrocchia di Mazin, ha permesso di verificare visivamente, tramite un filo a piombo, la verticalità del Sole sul Sas da le Doudesc il 22/08/2003 alle ore 13h16m10s. Dalla chiesa però non è visibile il Sas da le Undesc, per vedere il quale occorre spostarsi oltre l’estremo occidentale dell’abitato.

Un sito alternativo di osservazione potrebbe teoricamente essere stato l’insediamento retico detto I Pigui (un castelliere del V-III secolo a.C. arroccato sulla sommità di una collina a quota m. 1550. Cfr. Leonardi 1969, pp. 3-9; Alberti e Bombanato 1993, pp. 113-122). Curiosamente i dati di scavo tendono a dimostrare che l’insediamento era perenne nonostante le palesi difficoltà climatiche invernali dipendenti sia dalla quota, sia dalla sua collocazione sulle pendici settentrionali di una cresta che supera i m. 2100 di quota.

Dalla cima più bassa, dove si affollavano le capanne, è visibile solo il Sas da le Doudesc; ma da un piccolo spiazzo della cima più alta, a quota m. 1622 ed a pochi minuti di cammino, è visibile anche il Sas da le Undesc.

 

Le cime del Sas da le Undesc e del Sas da le Doudesc s’intravedono tra i pini dalla q. m. 1622 dei Pigui

(foto M. Codebò)

 

L’affascinante ipotesi che proprio questo sia il centro osservativo cozza per altro, secondo Codebò, contro alcune gravi difficoltà:

a) nulla ci è noto delle cognizioni astronomiche dei Reti protostorici; non sappiamo neppure se avevano dei sistemi di misurazione del tempo;

b) anche nella migliore delle ipotesi, resta comunque il problema delle ore diurne irregolari dovute alla diversa lunghezza del giorno e della notte nelle quattro diverse stagioni. Se infatti il mezzogiorno si verifica quasi sempre alla stessa ora nel corso dell’anno - con la trascurabile differenza dell’Equazione del Tempo - non altrettanto avviene per le altre ore di luce, più lunghe d’estate e più brevi d’inverno. Perciò, a differenza del mezzogiorno locale, le ore 11:00 non corrispondono affatto alla verticalità del Sole su una stessa cima in tutti i giorni dell’anno. Di conseguenza le varie cime 9, 10, 11, ecc. hanno di fatto una funzione del tutto approssimativa.

Gli studi condotti da Codebò hanno finora dimostrato che, mentre l’orònimo relativo al mezzogiorno ha una corrispondenza piuttosto precisa con il passaggio del Sole al meridiano superiore, gli altri orònimi orari devono generalmente essere considerati

come dipendenze e conseguenze analogiche dei primi: se una cima corrisponde realmente al mezzogiorno, perché non battezzare le cime viciniori con i nomi delle altre ore?

c) Dovremmo infine ipotizzare che in origine le popolazioni locali chiamassero il monte mons meridianus = ‘monte di mezzogiorno’, o piuttosto mons o saxus horae sextae, e che, attraversando orizzonti culturali retico, romano, alto e basso medioevale, rinascimentale, ecc., tali orònimi, mai localmente attestati, si fossero conservati e trasmessi per circa duemila anni fino a trasformarsi nell’attuale forma dialettale Sas da le Doudesc.

In sostanza, in assenza di prove consistenti ed adeguate ed in osservanza del principio del rasoio di Ockham, Codebò ritiene doveroso ipotizzare che l’insediamento da cui si osservava il Sole passare in meridiano sul Sas da le Doudesc fosse la parrocchia di Mazin e che l’orònimo Sas da le Undesc sia stato dato alla cima vicina per analogia.

 

1.3. Sasso delle Undici e Sasso delle Dodici sul versante nord della Marmolada.

Queste due cime non sono altro che costoloni di roccia che emergono dal moribondo ghiacciaio della Marmolada e corrono quasi paralleli e rettilinei verso il Piano di Fedaia, sul quale la tracciatura del meridiano e della linea oraria delle ore 11:00 imporrebbe l’esistenza del centro di osservazione. Ma il piano sembra essere sempre stato soltanto un pascolo stagionale privo di abitati permanenti e la recente costruzione di un invaso artificiale lo ha trasformato in lago. Di conseguenza l’unica ipotesi plausibile era parsa a lungo a Codebò che i due orònimi fossero nati durante la prima guerra mondiale per esigenze militari. Qui infatti correva, come è noto, il fronte italo-austriaco dal 1915 al 1917 e nello spessore del ghiacciaio, allora di proporzioni ben maggiori, proprio ai piedi delle due cime meridiane, gli Austriaci ricavarono una decina di chilometri di gallerie note come la “Città del Ghiaccio”, che dava rifugio a uomini e cannoni. La loro linea si estendeva poi attraverso il Piano Fedaia fin sullo spartiacque tra l’Alta Val di Fassa e il Livinallongo del Col di Lana, proprio a nord delle due cime meridiane. Gli Italiani invece erano arroccati sulla Punta Serauta, sul passo Fedaia e sulla Mésola. Sul ghiacciaio della Marmolada si svolsero per due anni furiosi combattimenti per la conquista e la riconquista di microscopici spazi geograficamente insignificanti – perciò forse fino ad allora rimasti senza nome – ma strategicamente fondamentali, quali per esempio la cosiddetta Forcella a V. Era perciò parso a Codebò probabile che l’esigenza di tenere sotto controllo operativo ogni metro di terreno avesse costretto i militari di ambo le parti a creare nuovi toponimi per rocce fino ad allora innominate. Lo stesso meridiano passante per il Sasso delle Dodici cadeva a nord sui baraccamenti austriaci di Porta Vescovo e del Belvedere. Ma una sua successiva indagine, con la preziosa consulenza del dott. Cristian Kollman, su carte militari austriache del XIX secolo conservate presso l’Archivio Provinciale di Bolzano, ha dimostrato che almeno dal 1869 i due toponimi erano già in uso. Egli ritiene che ciò non escluda necessariamente la loro origine militare, ma imponga che essa sia comunque anteriore alla prima guerra mondiale.

Dopo la pubblicazione dell’articolo Archeoastronomia in Val di Fassa, il dott. Fabio Chiocchetti gli segnalò di non trascurare l’importanza del Piano di Fedaia. Ecco quanto egli gli scrive: «...però non sottovaluterei l’importanza del passo (e relativo alpeggio) come luogo di prospezione: non dobbiamo dimenticare che le popolazioni insediate in queste valli derivavano da comunità pastorali, che avevano negli alpeggi l’unica ragione vera di vita e sopravvivenza a queste quote; pensi che fino nel ‘600 (se non ricordo male) al passo di Fedaia si teneva persino un’importante fiera del bestiame, alla quale convenivano gli allevatori delle valli vicine. Anche il clima doveva essere diverso in antichità: al Fedaia nell’800 fu ritrovata un stadera romana... Quindi dobbiamo pensare agli alpeggi come i veri “primi insediamenti”, oltre che a luoghi strategici di incontro e di contatto, e ad una società pastorale (arcaica) si addice questo tipo di osservazioni astronomiche e denominazioni toponomastiche più ancora che non alle fasi storiche già avvezze all’uso dell’orologio...».

L’avvertenza del dott. Chiocchetti corrisponde bene a quanto sta emergendo dalle nostre ricerche. In un primo tempo ci era sembrato che i luoghi di utilizzo di queste montagne meridiane fossero insediamenti importanti e, per così dire, pubblici o ufficiali: castelli, monasteri, chiese, ecc. Solo successivamente ci siamo resi conto che

ve ne sono alcune il cui riferimento sono semplici abitati di pastori o contadini, come nel caso del Bric di Mezzogiorno di Cetta (IM), ed altre il cui riferimento sono addirittura valichi di montagna e vie di transito. Il problema è che queste comunità “povere” ben difficilmente hanno lasciato testimonianze scritte dei toponimi da esse creati e pertanto ci vengono a mancare le sicurezze ed i raffronti che invece possono dare le fonti ufficiali. Ciò non deve spaventare, perché questa è esattamente la situazione in cui si viene a trovare praticamente sempre la ricerca paletnologica; ma nel caso dell’archeoastronomia, che nonostante tutto sta ancora muovendo i suoi primi passi e non ha ancora una codificazione metodologica consolidata, il problema dell’assenza di fonti scritte di confronto genera un surplus d’insicurezze: se è normale per l’archeologo dedurre la presenza di frequentazioni umane in luoghi apparentemente “impossibili” sulla base di selci scheggiate, frammenti metallici, ecc. non è ancora “normale” per l’archeoastronomo dedurre analoghe frequentazioni da reperti di

cultura astronomica.

La parete nord della Marmolada da Porta Vescovo

(foto M. Codebò)

 

1.4. Bech da Mezdì di Passo Campolongo.

Questa cima si trova sullo spartiacque tra la Val di Fassa e il Livinallongo del Col di Lana, dove correva il fronte austriaco tra il 1915 ed il 1917.

Come supposto nel suo precedente articolo del 2006, nel sopralluogo del 2003 Codebò aveva commesso un errore d’identificazione: quello che allora scambiò per la Bech da Mezdì è in realtà il Monte Pizac, il quale, pur essendo alto solo m. 2213, visto da Arabba nasconde il primo e, essendo a 170° rispetto alla parrocchiale di Arabba, segna il passaggio del Sole sulla sua verticale circa un’ora prima del mezzogiorno vero. La Bech da Mezdì è in realtà la montagna meridiana del passo di Campolongo, dal quale è visibile esattamente a sud.

 

 

Il Bech da Mezdì dal passo di Campolongo

(foto M. Codebò)

 

Questa inattesa identificazione dell’agosto 2007 apre, secondo Codebò, nuove prospettive nello studio delle montagne meridiane. Finora si era supposto che esse fossero in relazione ad insediamenti fissi più o meno di fondovalle. Ora, per la prima volta, si è costretti a riconoscere che anche un valico alpino – cioè una via di transito! – poteva essere il luogo da cui popolazioni evidentemente non sedentarie avevano necessità di misurare il mezzogiorno. Nel caso specifico del Passo di Campolongo, sulla base di notizie cortesemente fornite dal dott. Chiocchetti, si può ipotizzare trattarsi della transumanza di popolazioni ladine della Val Badia e, forse, anche della Val Gardena, che, attraverso il valico di Porta Vescovo, si recavano all’incontro con quelle delle valli di Fassa e del Livinallongo forse proprio al Piano di Fedaia, dove, secondo p. Frumenzio Ghetta, per secoli si tennero quelle “fiere” di cui nella lettera del dott. Chiocchetti. In questo contesto Bech da Mezdì, Sasso delle Undici e Sasso delle Dodici del versante nord della Marmolada sarebbero montagne meridiane lungo

un unico, grande percorso comunitario di transumanza. Ecco perché Codebò ritiene che: «...la ormai provata funzione meridiana dalla prospettiva di un valico alpino rende in via ipotetica comprensibili, ancorché da verificare, altre “cime del mezzogiorno” rimaste enigmatiche e segnatamente il Bric del Mezzodì, il Colletto del Mezzodì e la Cresta Levi-Mezzodì nell’alta Valle di Rochemolles; il Bric di Mezzogiorno del Parco Naturale della Val Troncea; le cime Dieci, Undici e Dodici della Rojental[3] ed il Monte di Mezzogiorno dello Sciliar». (Codebò e De Santis c.s.).

 

2. Gli orientamenti delle chiese.

Nel corso dell’indagine sulle montagne meridiane, Codebò ha colto, come sempre, l’occasione di misurare anche l’orientamento degli assi maggiore e minore di varie chiese della valle, al duplice scopo di meglio indagare l’applicazione dell’astronomia nella cultura fassana e di aumentare il database italiano dei monumenti misurati. Infatti le indagini condotte in passato (Romano 1985) hanno dimostrato, coerentemente con le testimonianze storiche, che almeno fino alla fine del Medioevo era usuale, anche in base a disposizioni ecclesiastiche, orientare l’asse maggiore delle chiese – generalmente dalla parte dell’abside – o sui punti cardinali est ed ovest o sul punto dell’orizzonte in cui sorgeva il Sole nel giorno in cui si commemorava il Santo cui la chiesa era dedicata. Si voleva con ciò ricordare con una scenografi a luminosa che il Cristo, la Sua dottrina ed i Suoi “Santi” erano la vera luce del mondo. Questo uso decadde alle soglie del Rinascimento quando l’orientamento dell’edificio ecclesiale fu inserito nel “piano urbanistico” della città.

Questo tipo di orientamento basato sul “calendario dei santi e dei martiri” si studia esattamente come l’orientamento sui punti cardinali: la declinazione trovata con le misure, ridotta con opportune formule alla data di edificazione dell’edificio ecclesiale, corrisponde ad una data del calendario – ovviamente giuliano prima del 1582 e gregoriano dopo – della quale si cerca nei repertorii specialistici, in primis nella “Bibliotheca Sanctorum”, il Santo o la festa commemorata. Qualche problema sorge quando, come nel caso di S. Giuliana di Vigo di Fassa, si trovano più Santi omonimi. Un caso particolarmente interessante di queste omonimie per gli esiti cui ha dato luogo è la chiesa di S. Procolo di Naturno in Val Venosta (BZ) (Codebò 2001; 2003).

Nella pubblicazione scientifica Archeoastronomia in Val di Fassa (Codebò 2006) è riportato in dettaglio, e con tabelle, lo studio di questo tipo condotto sulle chiese fassane: S. Giuliana, S. Maurizio, il Capitello di S. Giuliana e la pieve di S. Giovanni a Vigo di Fassa; S. Maria Maddalena, parrocchia di Mazin; S. Vigilio e S. Wolfango, rispettivamente attuale ed antica parrocchia di Moena di Fassa; SS. Pietro e Paolo Apostoli, parrocchia di Arabba.

 

2.1. S. Giuliana (sec. XV).

Anche dal punto di vista dell’orientamento dell’edificio, S. Giuliana è la più significativa.

La facciata della chiesa è orientata verso il tramonto del Sole del 16/02, memoria di S. Giuliana martire di Nicomedia nel 308 a.D., e del 07/10, memoria di S. Giulia martire di Augusta nel IV secolo e, con approssimazione decisamente minore, anche del 01/10, memoria dei SS. Giulia, Massima e Verissimo martiri nel IV secolo, mentre la direzione opposta verso la quale guarda l’abside, si avvicina, con modesta approssimazione, al sorgere del Sole il giorno della festa di S. Giuliana vecchia il 03/06.

La conseguenza materiale di questi allineamenti è che il Sole al tramonto alla metà di febbraio e ai primi di ottobre dovrebbe illuminare l’intera navata della chiesa fino all’altare maggiore quando viene aperto il portale della facciata, mentre il Sole sorgente dai primi di giugno fino al solstizio d’estate dovrebbe illuminare l’ingresso attraverso il portale laterale aperto: osservazioni queste che non è stato possibile fare visivamente, ma che andranno fatte quanto prima a conferma o smentita di quanto sopra. Risulta così evidente come il massimo santuario fassano, oltre ad essere al centro di un doppio sistema crono-calendariale montano, sia anche orientato in pianta verso più di una festività patronale dedicata a S. Giulia o Giuliana. Dal che è lecito dedurre che tale orientamento non è casuale ma intenzionale.

A proposito di queste “coincidenze e sovrapposizioni” di memorie di Santi, è interessante osservare che:

a) come già evidenziammo nel nostro precedente studio dedicato alla doppia chiesa di S. Margherita e S. Giulia di Capo Noli (Bonòra, Codebò, De Santis, Maràno Bonòra 2004, pp. 87-94), le commemorazioni di ben tre omonime si concentrano pressappoco nello stesso periodo di tempo: 16/02 Giuliana m. di Nicomedia; 01/10 Giulia, Verissima e Massimo mm. di Lisbona; 07/10 Giulia m. di Augusta;

b) ciò, oltre a causarci oggi problemi nell’identificazione del Santo Patrono verso cui si vollero orientare questi edifici, può risalire ad antichi errori di omonimia e sovrapposizioni di ricorrenze, come indubitabilmente nel caso del patrono della chiesa di S. Procolo di Naturno (Codebò 2001, pp. 125-129; 2003, pp. 45-50) e come è probabilmente nel caso di S. Eugenio di Bergeggi (Bonòra, Calzolari, Codebò, De Santis 1998, pp. 285-292).

 

2.2. S. Maurizio (sec. XIII).

La cappella duecentesca di S. Maurizio non presenta alcun allineamento convincente.

Solo il suo asse minore è orientato verso il sorgere del Sole intorno al 23/02. Nei sinassarii bizantini alla data del 21/02 e nei menei bizantini a quella del 22/02 è celebrato il sacrificio di S. Maurizio e LXVII compagni, soldati e martiri in Apamea. Tuttavia la coincidenza non è per nulla persuasiva, sia perché la data è quella gregoriana in luogo di quella giuliana; sia perché questi martiri, secondo quanto riportato nella Bibliothecha Sanctorum, nel Medioevo erano del tutto sconosciuti all’Occidente; sia perché ad essere orientato verso tale

direzione è l’asse minore, cui non corrisponde neppure una finestra. Tutti gli altri Santi omonimi celebrati dalla Chiesa Cattolica hanno le loro ricorrenze in altre date, fra cui il più noto è S. Maurizio, martire della Legione Tebea in Agaunum, commemorato il 22/09 (“Bibliothecha Sanctorum”; Cappelli 1998, p. 176). Più convincente sarebbe l’allineamento dell’asse maggiore, in direzione del portale d’ingresso, verso il tramonto del Sole al solstizio d’inverno. Tuttavia tale misura non convince più di tanto in quanto presenta una differenza di diversi gradi. Allo stato attuale e con i dati di cui sopra, si deve concludere che la piccola chiesa non mostra allineamenti astronomico-calendariali intenzionali significativi.

 

2.3. Il capitello di S. Giuliana (sec. XVI).

Il cinquecentesco Capitello di S. Giuliana, dedicato a N.S. delle Grazie ed ai SS. Cosma, Damiano e Rocco, presenta un solo allineamento potenzialmente significativo: il lato orientale dell’asse minore verso il sorgere del Sole nelle date gregoriane 30/01 e 12/11 ed in quelle giuliane 17/01 e 30/10. In queste date si notano le seguenti commemorazioni del calendario giuliano:

a) assunzione della B. V. Maria, celebrata anticamente in data 18/1 (Cappelli 1998, p. 147);

b) il martirio, affrescato all’interno, di S. Sebastiano il 20/01 (Cappelli 1998, p. 184);

c) tutti i defunti il 02/11.

Tuttavia, poiché questo allineamento corrisponde ad un lato chiuso del Capitello, è più probabilmente casuale che intenzionale. È dunque probabile che il capitello sia stato posizionato tenendo unicamente conto della pura morfologia del terreno circostante al fine di consentire la partecipazione della massima quantità possibile di fedeli alla celebrazione della S. Messa «...poiché in quel giorno concorrono processionalmente molte comunità, che la detta chiesa [S. Giuliana] non può contenere, pertanto si canta Messa in detta cappella [il Capitello], e per questo motivo al posto del muro hanno messo soltanto le grate di legno, affinché in tal modo tutti i fedeli possano vedere dentro il celebrante. Vi è pure il pulpito, eretto fuori della cappella, poiché in quel giorno si tiene anche la predica» (Ghetta 1994, p. 58).

 

2.4. Pieve dei SS. Giovanni Battista ed Evangelista della Val di Fassa (sec. XV).

La pieve della Val di Fassa, dedicata ai SS. Giovanni Battista ed Evangelista, ha avuto origine da una prima chiesa carolingia del 962 (Cristel 2001, p. 1, e cortese comunicazione della dott.ssa March), sulla quale ne fu impostata una romanica successiva ed, infine, una terza: l’attuale, consacrata nel 1489.

Osservazioni:

a) l’asse minore della Pieve e l’ingresso della cripta sono rivolti verso il sorgere del Sole al 22~23/02 e al 01/10, date prossime al 24/02, festa del Primo Ritrovamento della Testa di S. Giovanni Battista (I Inventio Capitis), e al 24/09, festa – soppressa dopo il 1478 – della Concezione del Santo (in questa data ricorreva anche, nei calendari mozarabici, la festa della sua decapitazione);

b) l’asse maggiore della Pieve, dalla parte dell’ingresso principale, verso il lunistizio minimo, cioè il punto più meridionale dell’orizzonte raggiunto dalla Luna ogni 6798 giorni.

 

2.5. Cripta di S. Michele Arcangelo della Pieve dei SS. Giovanni Battista ed Evangelista.

L’attuale cripta romanica (Cristel 2001, p. 1), dedicata a S. Michele ed eretta su una preesistente chiesa di età carolingia, presenta due allineamenti:

a) l’asse minore in direzione dell’ingresso, è orientato verso la direzione che il Sole raggiungeva alla data giuliana 29/09, ricorrenza della dedicazione della basilica di S. Michele sulla via Salaria secondo il Martyrologio Romano (“Bibliothecha Sanctorum” IX, p. 429).

b) la direzione dell’abside sottende la posizione raggiunta dalla Luna ogni 6798 giorni al suo lunistizio minimo, calcolata per il XIII secolo.

Codebò fa due osservazioni:

a) sebbene manchino riferimenti a S. Giovanni Evangelista, non sono pochi quelli a S. Giovanni Battista;

b) gli orientamenti lunari potrebbero essere coerenti con l’immagine della «...donna vestita di Sole, con la Luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo...» di Apocalisse 12,1.

 

2.6. S. Maria Maddalena di Mazin (sec. XVI).

È la parrocchia del paese di Mazin, costruita nel secolo XVI. Risulta priva di allineamenti astronomici.

 

2.7. S. Vigilio di Moena (secc. XVI e XX).

S. Vigilio è già menzionata nel 1034 e fu consacrata nel 1164. Fu ricostruita in stile gotico nel 1533. L’attuale edificio è un rifacimento del 1929 con conservazione delle parti gotiche e della primitiva abside. Oggi la chiesa non presenta alcun orientamento verso festività patronali o religiose significative.

 

2.8. S. Wolfango di Moena (sec. XI).

Risale al 1025 ed è tradizionalmente considerata la prima chiesa di Moena. L’unico allineamento presente è quello dell’asse maggiore orientato verso il levare del Sole il 15/08, memoria dell’assunzione della B.V. Maria. Tale orientamento viene tuttavia ritenuta da Codebò del tutto casuale, sia perché è l’unica, sia perché cade tra le date gregoriane dell’edificio, sia perché il dogma dell’Assunta fu definito nel 1950. Tuttavia il dott. A. Sommariva di Moena gli fece notare, con Sua e-mail del 13/10/2007, che: <...è vero che la definizione dogmatica dell’assunzione è recentissima, ma prima veniva celebrata comunque lo stesso giorno la “dormitio” della vergine e tuttora lo è nella chiesa ortodossa anche se in altra data nel loro calendario liturgico. Si tratta di una ricorrenza anche questa molto antica, probabilmente fin dal IV secolo...>.

S. Vigilio e S. Wolfango, affiancate l’una all’altra, non presentano dunque alcun allineamento realmente significativo, ma tuttavia hanno entrambe l’abside rivolto verso la Valle di S. Pellegrino, in cui sorge il Sole agli equinozi. Sono quindi da ritenersi genericamente orientate verso l’alba locale del Sole equinoziale.

 

2.9. Parrocchia di Arabba (sec. XVII).

La chiesa parrocchiale di Arabba è intitolata ai SS. Pietro e Paolo Apostoli e fu edificata nel 1660. Dalle misure effettuate il suo asse maggiore verso l’abside risulta chiaramente orientato in direzione del sorgere del Sole nella commemorazione della Cattedra di S. Pietro il 18/01. Contemporaneamente l’asse punta anche verso il colle di Porta Vescovo, principale passo verso il Piano di Fedaia, da cui si può raggiungere rapidamente l’alta Val di Fassa e pervenire a Trento. L’asse minore ha un orientamento verso il sorgere del Sole al 31/07 un giorno prima della commemorazione di S. Pietro in Vinculis celebrata alla data 01/08, tuttavia quest’ipotesi appare meno convincente, trattandosi appunto dell’asse minore.

 

3. Conclusioni.

Scrive Codebò (Codebò 2006): «La Val di Fassa si è rivelata molto ricca di reperti archeoastronomici: tra tutte le località finora indagate è quella con il maggior numero di cime meridiane, avendone due di più della famosa meridiana naturale di Sesto in Val Pusteria (Innerebner 1959; Romano 1986; Arborio Mella 1990, pp. 48-49), la quale, per altro, invece che nella preistoria – come ipotizzato originariamente da Innerebner – pare avere avuto origine piuttosto dalla topografia militare austro-ungarica» (Lupato e Codebò 2005), data la presenza di un forte austriaco sulla cima della Heidenbühel o Collina Pagana, suo punto di osservazione presso i Bagni di Moso.

Di particolare interesse si è rivelato il santuario di S. Giuliana a Vigo di Fassa perché vi si riscontrano i marcatori delle due fondamentali divisioni del Tempo – il mezzogiorno e l’inizio equinoziale dell’anno – ed almeno due orientamenti architettonici significativi in un sito frequentato assiduamente dal IV sec. a.C. ad oggi. Una delle due cime meridiane costituisce un unicum nel suo genere, essendo finora l’unica montagna deputata all’indicazione degli equinozi.

Un bilancio dei risultati mostra che quattro delle sette cime fassane meridiane – Sas da Mesodì, Sasso Vernale, Sas da le Doudesc, Bech da Mezdì – servivano una struttura identificabile. Delle altre tre, le due cime del versante nord della Marmolada costituiscono in parte ancora un enigma, mentre il Sas da le Undesc, scartando la troppo fragile ipotesi del suo utilizzo da parte dei Reti protostorici de I Pigui, si configura come un orònimo per analogia.

Degli otto edifici religiosi misurati, due – il santuario di S. Giuliana e la parrocchia di Arabba – mostrano orientamenti chiaramente intenzionali; cinque mostrano orientamenti più o meno dubbi; la parrocchia di Mazin non ne mostra alcuno. Con sette montagne meridiane, due chiese indiscutibilmente orientate ed altre cinque con possibili orientamenti, la Val di Fassa si configura al momento attuale come l’area alpina di maggiore concentrazione di reperti archeoastronomici fra quelle da lui studiate.

 

4. Appendice di aggiornamento: le parrocchie di Moena e la Rojental (di Mario Codebò).

Dopo la pubblicazione di “Archeoastronomia in Val di Fassa” (Codebò 2006) uno scambio di e-mail tra me ed il dott. Antonio Sommariva, membro del circolo culturale Valentino Rovisi di Moena, ha permesso di capire meglio le vicende relative agli orientamenti delle due chiese parrocchiali di Moena. Colgo pertanto l’occasione di questa pubblicazione, ancorché divulgativa, per rendere noti i risultati inediti di questa collaborazione.

Secondo i dati raccolti da me raccolti, S. Wolfango sarebbe la parrocchia più antica e S. Vigilio quella più recente. S. Wolfango ha un asse rivolto a 89,875°- 269,875°, cioè pressoché esattamente est-ovest, mentre S. Vigilio ha un asse di 85,1°- 265,1°, cioè deviante di circa 5° dall’est e dall’ovest. Poiché con un orizzonte visibile alto circa 20°~22° tali orientamenti sono privi di qualsiasi significato astronomico, restava un enigma il motivo per cui la più antica delle due avesse un orientamento più preciso sui punti cardinali est ed ovest. Generalmente, infatti, ad un primo e più grossolano orientamento segue, in un secondo tempo, uno più preciso e non il contrario. Il dott. Sommariva scrive però che: «...la chiesa di S. Wolfango sembra in realtà posteriore e quindi approssimativamente del 1400 (contrariamente alla tradizione che anche lei ha riportato, secondo cui risalirebbe al 1025, data letta e riportata erroneamente da uno storico locale di fine ottocento, ma probabilmente riferita per errore ad un 1625 che compare anche oggi sulla facciata)...» (e-mail del 09/10/2007). Il Sommariva chiede anche se i dati astronomici permettono una datazione degli edifici.

A quest’ultima richiesta devo purtroppo rispondere negativamente sia perché in 4000 anni[4] le differenze di azimut sono dell’ordine di qualche decina di primi d’arco soltanto (e comunque la direzione del sorgere e del tramontare del Sole agli equinozi, cioè l’asse 90°-270°, non varia mai a differenza di quella dei solstizi), sia perché al convegno I.I.S.L. del 2002 si è quasi concordemente riconosciuto che la datazione con metodi astronomici, anche se teoricamente possibile, è di fatto, per molte ragioni qui non descrivibili, pressoché impossibile, almeno con i mezzi attualmente a nostra disposizione.

Invece la notizia della maggiore antichità di S. Vigilio spiega bene il differente orientamento delle due chiese: in un primo tempo si orientò con maggiore approssimazione la più antica chiesa di S.Vigilio, mentre in un secondo tempo, anche sulla base dell’esperienza, si raffinò l’orientamento della più recente S. Wolfango portandone a coincidere l’asse con i punti cardinali est e ovest con un errore di soli 0,125°. Questo sta anche ad indicare che l’orientamento 89,875°- 269,825° fu ottenuto con l’utilizzo di strumenti e non a vista perché con un’altezza dell’orizzonte di circa 20°~22° quando il Sole spunta dietro la montagna agli equinozi ha già un azimut di circa 113°~114° in luogo dei 90° della levata equinoziale su un orizzonte piatto.

In conclusione, anche se l’archeoastronomia non può risolvere il problema della datazione delle due chiese di Moena corrobora però la tesi della maggiore antichità di S. Vigilio rispetto a S. Wolfango.

Per quanto riguarda la Rojental (BZ), anche se fuori dall’area fassana, colgo la presente occasione per pubblicare un aggiornamento delle risultanze. Nell’articolo Montagne meridiane dell’arco alpino in corso di stampa negli atti del Convegno “Astronomia ed Archeologia a confronto”, tenutosi a S. Flavia-Solunto (PA) in data 20-21/03/2004, sottolineavo l’incomprensibilità del complesso archeoastronomico della Val Roja, costituito dalle tre montagne meridiane Cima 10, Cima 11 e Cima 12 e dalla splendida chiesetta di S. Nicola, giacente esattamente sul meridiano passante per la Cima 12, quindi punto di osservazione del mezzogiorno locale. L’incomprensibilità era data dal fatto che il luogo appariva completamente al di fuori di ogni via oggi nota e lontana da ogni insediamento. Non si capiva pertanto a chi sarebbe servito un simile sistema crono-orografico e lo scopo di una bella chiesa affrescata sperduta tra i pascoli. Un più recente studio cartografico mi ha portato a scoprire l’esistenza di un Piz Mesdì (q.m. 2542) in territorio svizzero alla testa della Val d’Uina. Compresa l’importanza delle montagne meridiane anche in relazione alle vie di transito-transumanza come al Passo di Campolongo, anche il sistema Rojental-Uina diventa comprensibile: si tratta di un percorso, probabilmente oggi non più usato, che congiunge la bassa Engadina con il Passo di Resia attraverso la Val d’Uina, la Val da la Stura, la Sella di Rasass, la Vallunga, la Val Roja. Nella bassa Engadina, tra Tschlin e Ramosch c’è un’altra località St. Niclà; in testa alla Val da la Stura c’è il valico per cui il Piz Mesdì segna il mezzogiorno locale; a Rojen nella Val Roja c’è la chiesa di S. Nicola da cui si vedono le tre cime 10, 11 e 12; infine scendendo lungo la Val Roja si arriva al Passo di Resia, completando il percorso.

Questi itinerari montani, oggi dimenticati ma un tempo probabilmente importanti (Petitti 1987), meritano studi attenti ed approfonditi.

 

5. Ringraziamenti.

Si ringrazia vivamente tutti coloro che hanno contribuito, in qualsiasi modo, alla realizzazione dello studio, ed in particolare:

a) il direttore dell’Istituto Culturale Ladino di Vigo di Fassa dott. Fabio Chiocchetti, che ha fornito preziose informazioni toponomastiche e linguistiche locali;

b) la bibliotecaria pro-tempore dott.ssa Rosanna March del predetto Istituto;

c) il dott. Cristian Kollmann, dell’Archivio Provinciale di Bolzano, per l’aiuto prestato nella consultazione delle carte militari e catastali austro-ungariche e teresiane ivi custodite;

d) il dott. Antonio Sommariva e gli altri soci del circolo culturale Valentino Rovisi di Moena che hanno fornito nuovi dati e nuove idee sulle chiese parrocchiali di Moena.

e) l’ing. Alessandro Veronesi che per primo ha segnalato anni or sono il Sas da le Doudesc ed il Sas da le Undesc di Pozza di Fassa.

 

Bibliografia.

AA.VV.

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1993 Osservazioni sul Doss dei Pigui. In: Archeologia nelle Dolomiti. Istitut Cultural Ladin “Majon di Fascegn” ed Istitut Cultural Ladin “Micurà de Rü”, Trento.

 

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1986 Orologi e meridiane naturali. In: Coelum, LIV, 1, gennaio-febbraio.

 

 

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[1] Nel testo pubblicato sulla Rivista Italiana di Archeoastronomia 2006 era erroneamente scritto che questa funivia fosse quella di Meida-Bufaure. Ringraziamo l’Istituto Culturale Ladino di Vigo di Fassa, ed in particolare il dott. Chiocchetti, per averci fatto notare l’errore ed averci dato la possibilità di correggerlo, tramite la presente pubblicazione, unitamente e quello segnalatoci dal dott. Sommariva in merito alle chiese parrocchiali di Moena.

[2] Per il calcolo del mezzogiorno vero o locale bisogna tenere conto anche dell’Equazione del Tempo E.T. che, durante l’anno, raggiunge valori massimi di ±15 minuti circa.

 

[3] A proposito della Rojental (BZ) si veda oltre l’appendice di aggiornamento di Codebò.

 

[4] L’obliquità dell’eclittica – pari a 23°26’21,448” nel gennaio 2000 – varia nel tempo in ragione di circa 1,5° in circa 41000 anni e fa variare, di conseguenza, anche la declinazione del Sole (esclusa quella degli equinozi che resta sempre pari a 0°00’00,00”) ed il suo azimut. Tale variazione è però in declinazione (oggi quantificabile con la formula di Laskar) di appena qualche decina di primi d’arco e di circa 1° in azimut in 4000 anni. Di conseguenza, la stessa variazione in appena qualche secolo – come è il caso delle due parrocchie di Moena - è praticamente irrilevabile ed irrilevante.