MARIO CODEBO'
(membro I.I.S.L. e S.A.It.)
SULLA ROSA CAMUNA DI SELLERO: recensione bibliografica e proposta di studio.
Nel 1999 G. Brunod, W. Ferreri e G. Ragazzi hanno pubblicato il volume
"La rosa di Sèllero e la svastica", ampia trattazione dei loro studi
sulla rosa camuna a svastica ubicata in località Carpéne,
nel comune di Sèllero (BS).
Successivamente, su Ad Quintum Notizie, n. 5 settembre 2000, Brunod
ha pubblicato un aggiornamento degli studi in corso dal titolo "Rosa camuna:
metodo di ricerca, problemi e prospettive di studio".
Egli aveva da tempo sollecitato recensioni bibliografiche al suo volume
ed un mio intervento in materia e, nella primavera scorsa, aveva illustrato
le Sue ricerche ai soci della sezione genovese dell'Istituto Internazionale
di Studi Liguri. Io stesso avevo avuto occasione di vedere la rosa in questione
e di eseguire su di essa qualche rilevamento. Oggi, pur con grave ritardo
- per altro abbastanza comune nel campo delle pubblicazioni scientifiche
- colgo finalmente l'occasione di proporre in un unico lavoro la recensione
richiesta ed una proposta di ricerche.
Contemporaneamente, come era stato da noi concordato, il Dott. Angiolo
Del Lucchese, direttore della Soprintendenza Archeologica della Liguria,
presenta la sua recensione bibliografica al volume citato.
Nelle nostre intenzioni, ciò dovrebbe avviare un dibattito "editoriale"
da cui partire per uno studio sulle rose camune in genere e su quella di
Carpéne di Sèllero in particolare.
In verità, sia Del Lucchese che Brunod avevano preparato il
loro materiale già da tempo. Mi scuso, quindi, con entrambi per
aver loro imposto un forte ritardo. D'altra parte, se mi è concessa
qualche giustificazione, devo dire a mia difesa che - come ormai l'esperienza
mi ha ripetutamente provato - le ricerche archeoastronomiche (come quelle
archeologiche) impongono quasi sempre tempi lunghissimi, almeno se si vuole
procedere con una certa accuratezza e, soprattutto, se non si ha la possibilità
di esercitare a tempo pieno. Tanto per citare un esempio, lo studio del
petroglifo "solare" sulla Roccia del Sole al Capitello dei Due Pini (che
Brunod conosce bene per avere personalmente contribuito alle ricerche),
nel comune di Paspardo, ci è costato due anni abbondanti di lavoro
(Codebò M., Barale P., Castelli M., De Santis H., Fratti L., Gervasoni
E. "An archaeoastronomical investigation about a Valcamonica's engraving
near the Capitello dei due Pini", in: pre-atti del XVII Valcamonica Symposium
1999; atti in corso di stampa).
I) Il libro di G. Brunod, W. Ferreri, G.Ragazzi "La rosa di Sèllero e la svastica: cosmologia, astronomia, danze preistoriche", I Quaderni di Natura Nostra, n. 11, pp. 173, Marene (CN), 1999.
Il libro presenta indubbi aspetti positivi, accanto ad altri più
negativi.
L'accurata veste tipografica, con l'uso abbondante dei colori, le numerose
fotografie e gli schizzi lo rendono [come il precedente libro di Brunod
"Massi incisi in Valcamonica", I Quaderni di natura Nostra n. 9, pp. 175,
Marene (CN), 1997.] di immagine molto gradevole ed accattivante. Tra l'altro,
il costo di sole £ 30.000 dimostra come, volendo, sia possibile stampare
testi iconograficamente e tipograficamente curati con prezzi contenuti.
Altro grande pregio del volume è l'avere introdotto l'ipotesi
archeoastronomica per questo petroglifo. Si noti che, se essa troverà
conferma dagli studi futuri - che dovranno necessariamente essere approfonditi
e particolarmente accurati - la rosa di Sèllero dovrebbe risultare
non tanto un simbolo quanto un vero e proprio strumento archeoastronomico
di misura: a quanto mi risulta il primo tra i petroglifi, come Brunod giustamente
sottolinea. Ciò per il fatto che essa non tanto rappresenterebbe...
(come il petroglifo "solare" presso il Capitello dei Due Pini), quanto
definirebbe... la posizione sul profilo dell'orizzonte di fenomeni astronomici
da lì visibili. L'osservazione visuale degli allineamenti tra coppie
di coppelle ed eventi astronomici sull'orizzonte (pur tenendo conto delle
variazioni in azimut dovute alla precessione planetaria) è metodologicamente
ineccepibile se ben eseguita, perché libera dagli inevitabili "errori
accidentali" della misurazione strumentale.
Particolarmente interessante appare la parte quinta del libro, dove
Gaudenzio Ragazzi ipotizza che certe danze tradizionali possano essere
rappresentazioni di moti ed eventi celesti. Come risulta dall'astronomia
di posizione e come può facilmente verificare un osservatore fuori
dalle città, gli astri mobili sembrano infatti effettuare, secondo
cicli loro propri, vere e proprie "danze", conosciute dagli antichi (Diodoro
Siculo "Bibliotheca", libro II), sullo sfondo della volta stellata e della
linea dell'orizzonte.
Questo accostamento tra danze e moti celesti appare come una delle
ipotesi di lavoro più interessanti.
La ricca bibliografia alla fine di ogni capitolo consente al lettore
di approfondire ogni aspetto dei temi trattati.
Il libro, tuttavia, non è esente da difetti.
Innanzi tutto si nota una eccessiva frammentazione del discorso tra
testo, note e didascalie, che affatica non poco il lettore (nel precedente
volume di Brunod "Massi incisi in Valcamonica" essa era volutamente più
accentuata per costringere a non trascurare alcuna parte del testo).
Brunod, poi, non sviluppa sempre coerentemente ed esaurientemente il
suo pensiero. Significativo di questo limite è la mancata discussione
nei dettagli della differenza d'origine tra rosa a svastica e rosa quadrilobata.
L'autore si limita a rinviare ad un testo su una rivista portoghese, per
di più non ancora pubblicato. Eppure l'argomento è veramente
centrale nell'economia dell'ipotesi archeoastronomica da lui sostenuta
ed andava opportunamente sviluppato!
Infine si nota una generale "debolezza" delle argomentazioni più
specificamente archeoastronomiche. Ma ciò è forse lo scotto
pagato per la separazione tra il testo dell'"archeologo" Brunod e quello
dell'"astronomo" Ferreri.
Qua e là emergono anche degli errori, probabilmente dovuti ad
una non ottimale programmazione e, forse, anche affrettata esecuzione dei
rilievi:
a) l'asse N-S della rosa, in realtà, è orientato su un
azimut di 355°-175° magnetici. La declinazione magnetica, determinata
sul campo il 23/09/1999 da Brunod e me (per il metodo usato crf.: Codebò
M., 1996, "Uso della bussola in archeoastronomia", in: Atti del XVI Congresso
Nazionale di Storia della Fisica e dell'Astronomia, pp. 323-335), è
risultata essere pari a +1,9° con e.q.m. ±0,33; l'errore di
+3° si è trasferito "sistematicamente" in tutte le successive
misure degli allineamenti di coppelle;
b) le vere coordinate geografiche del sito, determinate mediante la
classica triangolazione topografica, sono: lat. 46°03'47"N, long. 10°20'21"E,
q.m.620 s.l.m. (foglio I.G.M. n. 19, Tirano, 1:100.000), mentre quelle
riportate sul libro da p. 107 a p. 125 identificano la località
di Lanico (foglio I.G.M. n. 34, Breno, 1:100.000), km. 12 a sud e km.4
a ovest di Carpéne di Sèllero. Pare che quest'ultimo errore
sia da imputarsi all'uso di una carta escursionistica T.C.I. in luogo di
quella topografica.
Contrariamente a quanto scritto, dal punto di vista archeoastronomico
non ha importanza conoscere preliminarmente "...i parametri di precisione
delle misure rilevate dai camuni..." (p. 39). Correttamente Brunod afferma
nel suo citato articolo successivo "...i parametri di precisione sono quelli
odierni. Non possiamo sapere quali fossero quelli antichi se non procediamo
a misure onde produrre medie statistiche. Da queste possiamo individuare
il quanto della precisione e perfino gli errori compiuti dai camuni antichi...".
Infine nuocciono al volume la tendenza alla perentorietà delle
affermazioni e, soprattutto, lo spirito polemico che aleggia quasi costantemente
in questo scritto di Brunod (come anche negli altri): eppure poco importano
al lettore i retroscena ed i conflitti sicuramente dolorosi di anni di
ricerche, quanto le "prove" dell'esattezza o dell'erroneità di una
tesi.
II) Proposta di un programma di ricerca.
Prima di proporre un programma di ricerca occorre, come premessa, individuare
gli obiettivi di quest'ultima (cosa è dimostrato od acquisito e
cosa, invece, è da dimostrare, evitando di confondere tra loro la
tesi - da provare - con le ipotesi - da verificare - e con i dati - da
enunciare-), chiarire alcuni punti e sbarazzare il campo da alcune aspettative
non realistiche. Per fare ciò seguirò, come traccia, quanto
esposto da Brunod nel suo citato articolo "Rosa camuna: metodo di ricerca,
problemi e prospettive di studio".
Innanzitutto occorre chiarire bene che lo scopo prossimo della ricerca
è verificare se... e, in caso affermativo, dimostrare che... la
rosa di Sèllero è orientata astronomicamente, mentre la tesi
ultima di Brunod - da dimostrare - è che le rose erano originariamente
strumenti usati dai Camuni per osservazioni astronomiche.
Tra queste due estremi corrono, evidentemente, differenze notevoli:
nel primo caso basterà dimostrare che quel singolo petroglifo ha
un certo numero di orientamenti e calcolare quante probabilità vi
sono che essi non siano casuali; nel secondo caso occorrerà dimostrare
che almeno la maggior parte delle rose camune è orientata astronomicamente.
Quando, poi, si estendano le misure a tutte le oltre 92 rose della Val
Camonica, le cose si complicano notevolmente perché la maggior parte
di esse ha diametri non superiori a cm. 10-15, troppo modesti per dare
risultati esenti da gravi errori.
Eventualmente - e più per eccesso di zelo che per obiettività
- per questi petroglifi di "troppo piccole dimensioni" si potrebbe procedere
con misurazioni dell'azimut magnetico, dopo avere previamente determinato
sul campo la declinazione e le eventuali anomalie magnetiche (Codebò,
1996, op. cit).
Le misure astronomiche vanno, invece, estese a quelle poche rose di
cm.30-40 o più di diametro.
Sia tuttavia chiaro che:
a) se la rosa di Sèllero ha effettivamente alcuni orientamenti,
il calcolo delle probabilità ci dirà in che grado questi
sono da ritenersi intenzionali o casuali indipendentemente dall'esistenza
di altre rose orientate.
b) l'estensione dell'indagine alle altre rose non serve per provare
l'eventuale intenzionalità dell'orientamento della prima, ma per
verificare l'estensione ad altre di questo uso. In altre parole, l'esistenza
di altre rose orientate ci mostrerebbe quante probabilità vi sono
che il significato di questi petroglifi fosse quello archeoastronomico.
Occorrerà poi chiarire se quest'indagine deve applicarsi alle
sole rose a svastica od anche a quelle quadrilobate.
Il problema del grado di precisione utilizzato dai Camuni nelle loro
eventuali osservazioni è, invece, irrilevante ai fini della verifica
dell'orientamento delle rose. Semmai, una volta accertata la sussistenza
di quest'ultimo, ne potrà eventualmente conseguire statisticamente
il valore della "precisione camuna" come ulteriore risultato della ricerca.
Volendo tentare di determinare l'età della rosa per mezzo dei
moti precessionali, si può usare il metodo del "corridoio di visibilità"
descritto da Brunod, ma riducendo a due sole misure (tangenti la circonferenza
delle coppelle) la determinazione dell'azimut di ogni allineamento: la
media dei valori trovati definisce il centro dell'allineamento. Tuttavia
diverse considerazioni (esiguità dei diametri delle coppelle, che,
proiettati sull'orizzonte visibile determinano, quasi certamente, un corridoio
molto stretto; sommatoria degli inevitabili errori strumentali, che probabilmente
coincidono quantitativamente con l'ampiezza del "corridoio"; "grosse" dimensioni
del diametro apparente del sole e della luna, pari a circa 0°32'; complessità
delle operazioni di misura e necessità di eseguire, in realtà,
più di una misura per ogni allineamento allo scopo di ridurre gli
errori accidentali; incertezza delle misure di altezza dell'orizzonte visibile
a causa della vegetazione; scarsa probabilità di ottenere l'età
della rosa attraverso i moti precessionali) mi inducono a ritenere sufficienti
determinazioni d'azimut senza il sistema della coppia di misure tangenti
le circonferenze. In ogni caso la scelta del metodo ottimale potrà
essere fatta solo sul campo.
Il programma di seguito esposto scaturisce da una serie di colloqui
avuti con Brunod ed altri e da una ricognizione sul campo, oltreché
dalla lettura dei due testi citati.
Il suo scopo è quello di definire una metodologia di rilievo
archeoastronomico che riduca al minimo gli errori ed aumenti al massimo
la precisione, nella consapevolezza che l'interpretazione dei dati ottenuti
potrà comunque risultare problematica.
La sequenza delle operazioni dovrebbe essere la seguente:
1) Stabilire le coordinate esatte della roccia su cui la rosa di Sèllero è incisa. In assoluto, il risultato migliore si ottiene utilizzando rilevatori geodetici satellitali GPS-GLONASS a doppia frequenza, che consentono misurazioni sub-metriche ma che hanno costi dell'ordine di qualche decina di milioni. In alternativa può essere largamente sufficiente la classica triangolazione topografica da punti rilevabili sulla carta I.G.M. o C.T.R., meglio se integrata dalla determinazione con GPS monofrequenza (che ha costi di qualche centinaio di migliaia di lire e che consente precisioni nominali dichiarate dell'ordine di 15 metri).
2) Determinare con teodolite o con squadro sferico graduato l'azimut
astronomico di ogni allineamento di coppelle individualmente ed indipendentemente
da una base comune. Ciò riduce al minimo gli errori e li trasforma
da sistematici in accidentali.
In realtà la determinazione dell'azimut di ogni allineamento
richiede più di una misura.
Se si utilizza il teodolite, occorre ripetere ogni misura una seconda
volta dopo avere ruotato il cannocchiale di 180° sull'asse zenitale
(letture coniugate) per eliminare gli errori di collimazione e d'inclinazione
(regola di Bessel). Per ridurre ad accidentale anche quello di verticalità
occorre anche calare le viti calanti e rimettere in bolla lo strumento.
Sia per avere una media delle misure sia perché ogni allineamento
potrebbe sottendere un fenomeno astronomico ad ogni sua estremità
opposta, è bene ripetere le letture coniugate nella direzione reciproca.
Ne consegue che ogni determinazione d'azimut richiede almeno 4 misure.
Se poi si vuole ottenere la misura finale media m con un errore quadratico
medio e.q.m. prestabilito, il numero delle misure da effettuare (reiterazioni)
aumenta ulteriormente secondo la formula n=Sl/Sm, dove S indica la sommatoria
elevata al quadrato ed l la precisione di lettura dello strumento. Se gli
allineamenti da misurare sono, per es. sei, allora le misure da effettuare
in totale sono, al minimo, ventiquattro; applicando il metodo del "corridoio
di visibilità" salgono a quarantotto e diventano molte di più
se si vuole applicare la formula suddetta. Con il cerchio zenitale dello
strumento si misura l'altezza dell'orizzonte visibile sotteso da ogni allineamento
nelle due direzioni opposte, si calcola l'altezza vera e, infine, si calcola
la declinazione sottesa da quell'azimut con quell'altezza di orizzonte
(crf. Codebò, 1997, "Problemi generali del rilevamento archeoastronomico",
in: Atti del I Seminario di Archeoastronomia A.L.S.S.A.).
Usando lo squadro sferico graduato. poiché non occorre applicare
la regola di Bessel, le misure minime si riducono alla metà; le
altezze di orizzonte si possono misurare con un inclinometro.
L'intera sequenza delle operazioni richiede parecchi giorni di permanenza
sul posto, anche in previsione di condizioni meteorologiche non quotidianamente
ottimali.
3) Calcolare sulla carta l'altezza dell'orizzonte visibile, nell'impossibilità di tagliare gli alberi che ne occultano la visuale.
4) Verificare con il calcolo quante probabilità vi sono che gli orientamenti eventualmente riscontrati non siano casuali.
Per reciproco confronto e controllo, è bene determinare gli azimut
anche con il GPS, come descritto da A. Gaspani nel suo articolo "L'uso
del GPS in archeo-astronomia", pubblicato su Ad Quintum Notizie, 5, 09/2000,
pp. 3-7.
Solo dopo avere completato ed esaurito lo studio della rosa di Sèllero,
che è la più grande, ha senso passare a rilevare le altre,
purché abbiano dimensioni sufficienti. Se anche queste risultassero
orientate, si potrà cominciare ad ipotizzare che lo scopo originario
di questi petroglifi fosse quello di "indicatori" di fenomeni astrali ortivi
ed occasi sull'orizzonte visibile. Le rose di piccole dimensioni potrebbero,
in tale ipotesi, essere dei segni che hanno perso la primordiale funzione
indicatrice e si sono trasformati in "simboli" di essa, anche lontani dal...
ed ormai estranei al... significato originario.
Codebò, Barale, Castelli, De Santis, Fratti e Gervasoni hanno
sviluppato questa tesi per il petroglifo della Roccia del Sole al Capitello
dei due Pini nella versione in lingua spagnola - di prossima pubblicazione
nel Boletin de Arte Rupestre de Aragona B.A.R.A. - del loro lavoro presentato
al Valcamonica Symposium 1999.
III) Conclusioni
Sulla rosa di Sèllero e sulle sue ipotetiche funzioni archeoastronomiche
è stato ormai scritto parecchio, ma ciò nonostante ancora
non sappiamo quanti e quali allineamenti essa racchiuda. Mancano ancora
le verifiche delle ipotesi formulate e le prove delle tesi sostenute.
E' ormai necessario che i dati delle misurazioni vengano:
a) se completi, organicamente pubblicati e discussi (anche in caso
di esito negativo);
b) se incompleti, completati con opportune ulteriori campagne.
Queste ultime - sia che si usi il GPS, sia che si usi il teodolite
e/o lo squadro sferico graduato - vanno organizzate ed effettuate con metodo
e rigore, passo dopo passo.
Altrimenti la rosa, lungi dal rivelarci un suo possibile significato,
si trasformerà in un'ennesima fonte di discredito per l'archeoastronomia.
Mario Codebò.