Pubblicato come introduzione del libro di Giuseppe Brunod "La rosa di Sèllero e la svastica", ed. I quaderni di "Natura Nostra", Savigliano (CN), 1999.
 
 

Mario Codebò
 
 

CENNI DI STORIA DELL'ARCHEOASTRONOMIA


 


Se si volesse stabilire l'anno di nascita dell'archeoastronomia, esso sarebbe il 1740, quando l'inglese William Stukeley pubblicò il suo libro "Stonehenge, a temple restored to the British druids", nel quale veniva per la prima volta scritto che l'asse principale del grande cromlech, passante per il centro e per la Heel Stone, puntava verso NE "...all'incirca là dove sorge il sole quando le giornate sono più lunghe...", ossia verso l'alba del solstizio d'estate.
Nel 1771 il dott. John Smith pubblicò il suo libro "Choir Gaur, the grand orrey of the ancient druids", nel quale per la prima volta fu proposta una interpretazione astronomica sistematica del monumento.
Si noti come questi primi autori fossero convinti che i monumenti megalitici fossero stati eretti dai druidi celtici: convinzione errata, ma ben più scientifica di chi, in quegli stessi anni, li riteneva eretti per magia dal mago Merlino!
Ma fu nel XIX secolo che l'archeoastronomia acquistò la dignità di scienza con i fondamentali studi di Sir Norman Lockyer, astrofisico inglese che studiò gli orientamenti di templi egizi, babilonesi, greci, bretoni ed inglesi. Tuttavia la sua opera non trovò credito presso gli archeologi, anche per una serie di affermazioni errate dovute alle sue carenze di cultura archeologica. Ed in un certo senso l'eredità di Lockyer pesa tutt'oggi in maniera analoga sull'archeoastronomia: gli astronomi - di formazione fisico-matematica - e gli archeologi - di prevalente formazione umanistica - faticano ancora a comprendere la mentalità, le metodologie ed le finalità gli uni degli altri. Si ripropongono, in sostanza, le difficoltà di dialogo tra le "due culture".
Nel 1912 il contrammiraglio Boyle T. Somerville pubblicò i suoi studi sul complesso megalitico di Callanish, nelle isole Ebridi. Fu questo il primo monumento europeo in cui si riscontrarono allineamenti stellari, tutt'oggi abbastanza rari nel nostro continente, se si eccettuano le discutibili e recenti teorie di John North, pubblicate in traduzione italiana nel volume "Il mistero di Stonehenge, ed Piemme, 1997.
Ma fu con Alexander Thom, a partire dal 1934, che la ricerca archeoastronomica letteralmente esplose in tutte le sue potenzialità. Tutt'oggi i suoi numerosi libri sono pilastri basilari e magistrali per la metodologia della ricerca espressavi e per la quantità dei reperti studiati. Ironia della sorte, la rigorosa precisione delle misure prese da Thom si è dimostrata esagerata, sì da portarlo a riconoscere una supposta unità di misura utilizzata dai costruttori dei megaliti - la yarda megalitica - che, invece, studi recenti hanno dimostrato in realtà non esistere, essendo essa solo un "artificio" inconsapevolmente creato dal Thom stesso (ma si veda anche F. Mezzena, 1997, "La valle d'Aosta nel quadro della preistoria e protostoria dell'arco alpino centro-occidentale", in: Atti della XXXI Riunione Scientifica dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, pp. 79-80).
Ai giorni nostri i più attivi e noti archeoastronomi stranieri sono Gerald Hawkins, Aubrey Burl, Antony Aveny (quest'ultimo soprattutto per le civiltà pre-colombiane), Michael Hoskin, Clive Ruggles. Un notevole e discusso contributo all'ipotesi di Stonehenge come strumento per prevedere le eclissi, è venuto anche dall'astronomo inglese Frederic Hoyle. In Italia, l'archeoastronomia è stata introdotto dall'ing. Georg Innerebner, di Bolzano, che nel 1937 pubblicò il suo articolo "Der Jobenbuhel" sul n. 18 della rivista Der Schlern. I numerosi lavori di Innerebner furono sempre pubblicati in Tedesco, tranne uno, in Italiano, nel 1959: "La determinazione del tempo nella preistoria dell'Alto Adige", tutt'ora consultabile negli Annali dell'Università di Ferrara, sez. XV. Curiosamente, gli studi di Innerebner non uscirono dall'area altoatesina, benché egli avesse lavorato a stretto contatto con l'archeologo veneto P. Leonardi. E' solo in tempi recenti che l'archeoastronomia si sta diffondendo, con le solite difficoltà, nel resto dell'Italia, per opera, soprattutto, degli astronomi Vittorio Castellani, Giorgia Foderà, Edoardo Proverbio e Giuliano Romano, ai quali si è aggiunto, in tempi recentissimi, Adriano Gaspani, specialista di astronomia celtica.
A questi nomi occorre aggiungere alcuni non astronomi impegnati comunque nel settore, specialmente nelle loro regioni di appartenenza: Guido Cossard in val d'Aosta, Mario Codebò in Liguria, Aldo Tavolaro in Puglia.
Indiscutibilmente il maggiore impulso all'archeoastronomia italiana è venuto dalla sensazionale scoperta della necropoli calcolitica di S. Martin de Corléans ad Aosta, i cui diciotto allineamenti astronomici perfettamente conservati, cinque dei quali stellari, ne fanno forse il più importante monumento di astronomia preistorica d'Europa, perché, a differenza dei monumenti inglesi e brettoni, rimaneggiati nel corso dei secoli, essa è tornata alla luce nelle condizioni in cui fu abbandonata quattromila anni fa.
Ora anche in Val Camonica si affaccia l'indagine archeoastronomica con l'articolo "An archaeoastronomical investigation about a Valcamonica's engraving near the Capitello dei due Pini" di Barale, Castelli, Codebò, De Santis, Fratti e Gervasoni, presentato al Valcamonica Symposium 99, e con questo libro di Giuseppe Brunod e Walter Ferreri sulla rosa camuna di Carpene di Sellero, frutto della collaborazione tra un archeologo ed un astronomo. Esso sviluppa l'originale ipotesi interpretativa di un petroglifo non come semplice simbolo, ma come strumento per l'identificazione di particolari fenomeni astronomici sull'orizzonte visibile.
Diceva già, infatti, nel 1959 l'ing. Innerebner: "...Un diverso sviluppo troviamo nelle zone montagnose. L'uomo alpino non aveva bisogno di mezzi artificiali per fissare il suo calendario privato. A lui serviva in modo migliore l'orizzonte vario e bizzarro del suo paese...Conosceva allora tutti i punti del sorgere e del tramontare del sole; ove questi non erano messi in rilievo dalla natura stessa, metteva indicatori artificiali e divenne così sempre più pratico e finalmente padrone del suo tempo e delle sue relative decisioni...".
L'indiscutibile ricchezza dei reperti archeologici camuni, ancorché solo di arte rupestre senza megaliti e tombe (che fanno della valle uno dei siti più importanti al mondo), autorizza le migliori speranze.

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