Prefazione.
Anche un orologio fermo, due volte il giorno, segna l'ora giusta. Quest'affermazione,
di Hermann Hesse, mi ha spinto a scrivere questo pseudo-diario.
Lo scritto non illustra pedissequamente il mio operato, se non saltuariamente,
ma certamente racconta il modo grazie al quale ho risolto i vari problemi
che si presentavano durante la costruzione sia del telescopio sia di tutto
ciò che ritengo di qualche utilità per un astronomo dilettante.
Ogni argomento dì cui si parla e le relative soluzioni sono
il frutto di reali esperienze vissute "sulla mia pelle".
Evito in modo assoluto, di consigliare a chiunque di costruire uno
strumento identico al mio, ogni autocostruttore ha la capacità di
decidere quale soluzione scegliere per ogni problema incontrato.
Vorrei, per questo motivo, far notare il sottotitolo "come ho costruito
il telescopio", infatti, ritengo che sia limitativo ed ingiusto imporre
"come si costruisce un telescopio" a persone che potrebbero insegnarmi
molte cose (la prima frase della prefazione è "bilaterale").
Le riviste specializzate offrono molto spesso ottime soluzioni, senza
affrontare, forse a causa dello spazio limitato, tutti gli interrogativi
che ognuno di noi, prima o dopo, è costretto a porsi.
Quest'opuscolo ha lo scopo di far sapere quali e quanti sono i particolari
che dobbiamo costruire, ed illustra, spero con cura sufficiente, le "mie"
soluzioni.
Se tra queste il lettore ne trova una condivisibile, la mia "fatica
di scrittore" ha raggiunto il suo scopo.
Nella costruzione ho scartato, sin dall'inizio, soluzioni, certamente
valide, ma in pratica poco sfruttabili per i comuni mortali non particolarmente
dotati (specie finanziariamente): eliminazione di "periodismi", controlli
elettronici della velocità, motorizzazioni per focheggíatori,
macchine fotografiche superdotate e altri materiali di gran pregio che
rendono lo strumento forse migliore, ma sempre meno "propria creatura".
Mi sono rifiutato categoricamente di costruire lo specchio principale
ed il secondario, sia per la mancanza di fiducia nelle mie capacità
di raggiungere una precisione sufficiente, che per la certezza che la mia
pazienza non mi avrebbe permesso di giungere alla fine della lavorazione
(ogni pazienza ha un limite!).
Costruire uno strumento in proprio è un risparmio? Certamente
no! Il costo del (poco) materiale acquistato, raggiunge quasi il prezzo
di uno strumento similare e, se poi aggiungiamo la "mano d'opera" anche
ad un costo virtuale...
Uno strumento autocostruito funziona meglio? Certamente si! L'autocostruttore
adegua continuamente lo strumento ai propri desideri eliminando, col tempo,
ogni situazione di difficoltà nell'utilizzo del telescopio.
Sconsiglio vivamente in ogni caso la costruzione di strumenti portatili
e leggeri: le migliori case costruttrici si sono specializzate nella loro
produzione con ottimi risultati non raggiungibili individualmente.
E' enorme la soddisfazione che l'utilizzo del proprio strumento offre
all'autocostruttore, ci si ritrova, con telescopi certamente migliori,
tra i pionieri dell'astronomia, essendo costretti a conoscere cose che
tanti astrofili, forse, non ritengono di loro competenza.
"Aggiungi un posto a tavola che c'è un amico in più"
recita un vecchio motivo.
E voi, che avete quegli strumenti risplendenti, visibili nelle pubblicità
delle riviste, come vi comportate quando un amico vi chiede se è
possibile fissare la propria fotocamera al vostro strumento? lo prendo
il trapano, una punta da 7mm e, facendo un foro nel tubo ottico, aggiungo
il posto...
Colgo l'occasione per ringraziare mia moglie che, con pazienza, mi
ha lasciato giocare per tanto tempo attorno al "Totem" (questo è
il nome da lei dato alla creatura, a causa del mio comportamento pieno
di rispetto e adorazione).
Un cordiale saluto, Ugo Ercolani.
Se l'orbita lunare fosse esattamente complanare all'orbita terrestre si osserverebbero: un'eclisse di Luna ad ogni Luna Piena ed un'eclisse di Sole ad ogni Luna Nuova. Il nostro satellite percorre però un'orbita inclinata di 5°,145 rispetto al nostro piano orbitale; le intersezioni dell'orbita lunare con l'orbita terrestre vengono chiamate nodi: il nodo é ascendente se la Luna nel suo moto passa dall'emisfero meridionale a quello settentrionale, è discendente se il percorso è effettuato dall'emisfero settentrionale a quello meridionale. Il segmento che immaginiamo unisca i due nodi viene chiamata "linea dei nodi". Questo, a causa della attrazione 'laterale' del Sole, effettua una rivoluzione attorno alla Terra in senso contrario al moto lunare in 18,6 anni [forza di Coriolis].
Perché avvenga un'eclisse è necessario l'allineamento
di Sole-Terra-Luna e quindi anche della linea dei nodi. Non è indispensabile
però un allineamento perfetto, basta che questo avvenga entro un
angolo di 10° per le eclissi lunari e di 16° per le eclissi solari.
Ogni anno possono avvenire da un minimo di 2 ad un massimo di 7 eclissi
solari e lunari.
[vedi animazioni: simulazioni numeriche Ing. G.Barbieri, grafiche P.Mussi
e B.Berisso]
Poiché i nodi non rimangono fissi le eclissi non avvengono sempre nella stessa epoca anno dopo anno, infatti il Sole passa allo stesso nodo ogni 346,62 giorni (anno delle eclissi), quindi la stagione delle eclissi avviene sempre prima. Poiché intervallo tra due lune nuove o mese sinodico (29,5306 giorni) non è commensurabile con l'anno delle eclissi sembra che le eclissi avvengano durante l'anno senza coincidenza.
Già i babilonesi conoscevano l'esistenza di un periodo molto più lungo chiamato SAROS (dal greco ripetizione) della durata di 6585,3211 giorni in cui le eclissi si ripetono.
Infatti il Saros è minimo comune multiplo dell'anno delle eclissi
e del mese sinodico: 223 mesi sinodici=6585.32 giorni ~ 19 anni delle
eclissi = 6585.78 giorni la differenza è di sole 11 ore, per
cui dopo il Saros la Luna, il Sole e il nodo riacquistano posizioni reciproche
pressoché identiche.
Non solo ma poiché nel Saros sono contenuti 239 mesi anomalistici
= 6585.65 giorni (intervallo tra due passaggi al perigeo = 27.555 giorni)
la Luna si viene a trovare a distanze uguali per cui le successioni delle
eclissi avviene nel medesimo modo con piccole differenze nelle modalità.
Durante un Saros avvengono in media 43 eclissi solari (di cui 12 totali e 16 anulari) e 43 lunari (di cui 13 totali e 15 parziali).L'effetto più rilevante dopo il periodo di un Saros è che l'area di visibilità dell'eclissi si trova spostata in longitudine di circa 120 gradi e un po' più a sud in latitudine per esempio l'eclisse dell'11 agosto 1999 (Austria) "corrisponde" a quella del 31 luglio 1981 (Siberia e Oceano Pacifico).
Mentre dopo 3 Saros (54 anni e 34 giorni scoperto da Crommelin nel 1901) un'eclisse si ripeterà nel medesimo luogo alla stessa ora locale, anche se il ritorno non è esatto perché variano lievemente le circostanze per cui per avere una esatta riproduzione del fenomeno si considera un periodo più lungo chiamato "Famiglia di Eclissi" (da 40 a 60 Saros).
Data la differenza di 0,43 giorni, in realtà il passaggio al nodo del Sole è spostato di 29'. Pertanto, riferendoci alle eclissi di Sole, si ha una famiglia di eclissi, che comincia quando il Sole è distante dal nodo il massimo per avere una eclissi, in pratica quando i dischi del Sole e della Luna si sfiorano appena.
Poi, Saros dopo Saros, il Sole si sposta, la percentuale di disco solare eclissata aumenta fino a generare eclissi totali, poi la sequenza si inverte e questo ciclo si chiude quando il Sole è così lontano dal nodo che ormai non si possono più verificare eclissi. Questi cicli durano circa 1315 anni e sono chiamati Cicli Saros che sono numerati.
La numerazione è stata stabilita nel 1955 dallo studioso G. van der Bergh. Anche per le eclissi di Luna si assegna un ciclo Saros, ma la numerazione è indipendente da quella per le eclissi solari. Il Saros numero 1 delle eclissi di Luna iniziò il 14 marzo 2570 aC e terminò il 30 aprile 1272 aC. [vedi sito: Chiedi all'esperto:Astronomia - http://www.vialattea.net ].
Il ciclo di 3 Saros è una risonanza (in realtà un moto quasi-periodico).
Innanzitutto quando si parla di risonanze in sistemi reali non si ha mai a che fare con la "perfezione", nel senso che i numeri coinvolti sono sempre molto vicini ma non esattamente uguali: questo vale anche per il Saros (coincidono solo fino alla prima cifra decimale).
La questione diventa dunque capire quali sono i limiti di tolleranza di una risonanza, ovvero quanto quei numeri possano discostarsi dalla "perfezione" senza che l'effetto della risonanza scompaia (ad esempio, quanto possono essere diversi i tre periodi lunari coinvolti nel Saros senza distruggere il meccanismo osservabile di ripetitività delle eclissi?); non basta cioè trovare dei corpi celesti vicini a una risonanza ma bisogna anche controllare la "stabilità" della risonanza per essere sicuri che non si trovino in quella situazione solo accidentalmente
Ora nel caso del Saros il tutto viene complicato dalla evoluzione mareale che garantisce che i valori caratteristici del Saros cambieranno (allontanamento tipico della Luna pari a 3,8 cm/anno), perché una volta cambiato il valore della distanza e quindi del periodo, anche i valori della precessione di nodi e perigeo lunari cambiano; queste variazioni non sono tali da mantenere costante il Saros, ma seguono le leggi della meccanica celeste e possono essere calcolate tramite le equazioni sviluppate dal grande matematico Charles Delaunay.: il Saros NON rimane costante ma cambia leggermente ogni giorno, dove "leggermente" vuole dire che i tempi necessari per apprezzare tali cambiamenti sono in scala astronomica.
Dunque, se il Saros ha una durata limitata, ci si può allora chiedere da quanto tempo va avanti e quanto durerà ancora o, generalizzando ulteriormente, se esistono altri cicli tipo Saros (caratte-rizzati cioè sempre da commensurabilità tra i periodi sinodico, anomalistico e nodico, ma con valori numerici differenti) in cui la Luna sia caduta in passato o in cui cadrà in futuro. In altre parole: quanto sono frequenti i Saros nell'evoluzione dinamica dell'orbita lunare?
Il primo problema che si incontra è la modellizzazione dell'interazione mareale Terra-Luna su tempi lunghi (milioni di anni e più): sappiamo per certo che l'allontanamento della Luna non segue una legge semplice poiché dipende da fattori difficilmente ricostruibili come ad esempio la distribuzione delle terre emerse e l'incidenza delle acque basse nel calcolare l'attrito che rallenta la rotazione della Terra;
Saltando direttamente alle conclusioni, si può ragionevolmente
stimare che il Saros attuale iniziò circa due milioni e mezzo
di anni fa e ne durerà altri 7; se si prende un intervallo
di 100 milioni di anni, si vede inoltre che la Luna è intrappolata
in cicli tipo-Saros per circa il 30% del tempo; si può
dunque ipotizzare che l'allontanamento della Luna dalla Terra dovuto al-le
forze mareali venga periodicamente "rallentato" dall'innescarsi di un ciclo
tipo Saros.
[Prof. Alessandra Celletti, Dott. Ettore Perozzi - Meccanica Celeste
- CUEN].
[C.D. Murray, S.F. Dermott - Solar System Dynamics - Cambridge University
Press].
La fotografia su pellicola Il pittore Louis Jacques Mandé Daguerre
(1787-1851), nel 1824, cominciò a cercare la maniera di riprodurre
le immagini della camera oscura. Il procedimento per ottenere immagini
fotografiche fu scoperto casualmente da Daguerre nel 1835 utilizzando come
materiale sensibile una lastra di rame argentata e sensibilizzata con cristalli
di iodina per esposizione a vapori di iodio: chimicamente parlando si deponeva
sul rame uno strato sottile di ioduro d'argento, la lastra cambiava colore
e diventava azzurra e quindi veniva esposta in una camera oscura. Daguerre
scoprì che, sebbene anche con esposizioni di 3 o 4 ore si formasse
un'immagine appena visibile, se si esponeva la lastra ai vapori di mercurio
allora bastavano pose di 3 o 4 minuti per ottenere una immagine ben contrastata.
Poi fissava con il comune sale da cucina, in seguito abbandonato per l'iposolfito.
Daguerre ottenne una immagine della luna, in effetti soltanto una impronta
biancastra sulla solita lastra di rame ma ciò fu sufficiente per
dimostrare la possibilità di ottenere immagini fotografiche dalla
radiazione lunare. Questa scoperta infiammò l’astronomo e uomo politico
francese Arago che comunicò per la prima volta l'idea dell'invenzione
di Daguerre nella Sessione Straordinaria dell' Accademia delle Scienze
e delle Belle Arti del 1839. Arago indicò chiaramente la maggior
parte delle future applicazioni astronomiche della fotografia:
1) registrazione fedele e semplice degli aspetti fisici degli astri
2) misura del loro splendore
3) studio spettrale della loro luce.
In quel periodo si ottennero le prime soddisfacenti registrazioni del
Sole ( 1842 e 1845 ), della Luna ( 1840 e 1850 ) e di un'eclisse solare
totale ( 18 luglio 1851 ). Nel 1840 il fisico americano J.W. Draper (padre
dell' astronomo Henry Draper) aveva ottenuto su lastre di Daguerre, con
il supporto di un telescopio newtoniano di 13 cm di apertura, un lungo
fuoco e un tempo di posa di 20 minuti, immagini della Luna di 25 mm di
diametro. Nel 1850 con un cannocchiale equatoriale di 38 cm dell'osservatorio
di Harvard College (Massachusets), il primo direttore dell' osservatorio,
W.C. Bond, ottenne una serie di dagherrotipi, con posa di 40 secondi circa,
in cui l'immagine della Luna aveva 12 cm di diametro. Tali immagini vennero
presentate nel 1851 nell'esposizione universale di Londra suscitando l'ammirazione
di tutti e rinnovando l' interesse degli astronomi. Durante l' eclisse
parziale di Sole del 15 marzo 1858, l' astronomo francese H. Faye, riuscì
ad ottenere un'immagine di 14 cm di diametro con un obiettivo di 0,52 m
di apertura e 15 m. di focale che mostrava le facole delle macchie marginali,
e le venature più fini che solcano i bordi del Sole. Sino al 1880
la fotografia raggiungeva gli stessi risultati dell' occhio , poi poco
per volta il metodo fotografico superò sempre più largamente
le possibilità dell' osservazione visuale, sostituendosi poi completamente
ad essa. Il primo risultato sensazionale di questa nuova epoca fu la scoperta
delle nebulose.
Le lastre ottenute all' Osservatorio di Lick tra il 1895 e il 1913
mostrarono circa 700.000 nebulose, mentre il catalogo contemporaneo NGC,
effettuato visualmente, ne conteneva meno di 8.000.
Daguerrotipo del Sole ottenuto da Fizeau e Foucault il 2 aprile 1845 all'Osservatorio di Parigi. Sono visibili le macchie solari e l'assorbimento dei bordi del disco. (Foto 1).
A partire dal 1871 si ha l’introduzione delle lastre secche al bromuro
d’argento: nuova sensibilità e vero inizio della fotografia astronomica.
Nel biennio 1881-1882 grazie a J. C. Janssen, Common, Draper, W. Huggins
e Gill, si fotografano le grandi comete.
Dal 1880 Draper ottenne la prima fotografia di una nebulosa, M 42 in
Orione (Foto 4).
Oggi una pellicola a colori è composta strati sovrapposti di filtri e emulsioni secondo uno schema tipico (Fig 1).
Vediamo in dettaglio le diverse configurazioni:
Interline Transfer
Ad ogni colonna di elementi fotosensibili è associata una colonna
di registri. Al termine del periodo di integrazione le cariche che si sono
venute ad accumulare sui pixel sono trasferite in tempi estremamente brevi
sui registri verticali. E’ possibile trasferire i dati all’host con tempistiche
scelte dall’utente. La tecnica del registro verticale crea automaticamente
un otturatore elettronico che arriva ai millesimi di secondo.
Frame Transfer
Due CCD in un CCD. Esiste una zona di memoria identica a quella sensibile
alla luce. Al termine dell’integrazione le cariche sono trasferite i pochi
millisecondi tra le due zone. L’host può leggere le informazioni
con le tempistiche più idonee. Anche in questo caso il sistema crea
automaticamente un otturatore elettronico che arriva al millesimo di secondo.
Full Frame Transfer
E’ la struttura più semplice. La lettura delle cariche, al termine
del periodo di acquisizione, avviene mediante trasferimento progressivo
verticale del contenuto delle righe della matrice del sensore. Questo processo
è tipicamente dell’ordine del secondo e durante questo periodo è
obbligatorio attuare un otturatore esterno per evitare il difetto di smearing.
Altri fattori sono estremamente importanti:
Efficienza Quantica (Quantum Efficiency) e Sensibilità Spettrale.
L’efficienza quantica ad una certa lunghezza d’onda esprime il rapporto
tra il numero di fotoni incidenti al secondo su di un pixel e il numero
di fotoelettroni prodotto. E' solitamente espresso in percentuale, è
sempre < 100% ed indica la sensibilità teorica di un CCD. Il
costruttore di CCD offre nelle specifiche tecniche anche l’efficienza quantica
in funzione della lunghezza d’onda. I CCD BN hanno in genere una efficienza
quantica utilizzabile tra il medio infrarosso e l’ ultravioletto.
Nel caso di CCD con filtri integrati (RGB) la sensibilità alle
varie lunghezze d’onda è modificata dai filtri stessi. Fig 2 Fig
3.
Nel procedo produttivo dei CCD non si ottiene mai una efficienza quantica rigorosamente uniforme su tutta la superficie. Anche se in genere tale problema è facilmente risolvibile tramite una mappa di flat, questo è da considerarsi comunque un parametro importante. Specialmente per l’ uso astronomico ove è richiesta una grande dinamica è importante la misura della capacità elettronica per pixel ( Full Well Capacity ) ossia del numero massimo di fotoelettroni che possono “ stare ” su di un pixel. Altro problema, risolvibile tramite una mappa di dark è legata al rumore di fondo. Tale rumore può essere diminuito raffreddando il CCD e diminuisce di un fattore due per una diminuzione di 6 gradi di temperatura. Quando si ha la saturazione di un pixel si assiste al fenomeno del blooming ossia del travaso di fotoelettroni lungo le colonne con conseguente degradamento delle immagini. Quasi tutti i CCD di ultima generazione possiedono tecniche di anti-blooming anche se in genere a discapito della sensibilità. Il CCD è un rivelatore perfettamente lineare almeno non considerando l’ estrema regione della saturazione e pertanto si ottengono i seguenti vantaggi : La soglia minima di rivelazione è data dal rumore medio complessivo presente dell'immagine. Il CCD non soffre dell'effetto Schwarzschild ossia di reciprocità, manterrà la stessa sensibilità ed efficienza quantica indipendentemente dalla durata dell'esposizione. La linearità consente di effettuare misure dirette di luminosità degli oggetti (fotometria di precisione ) Le Webcam sono delle piccole camere CCD nate principalmente per il mondo della informatica. Sono costruite però con CCD di buona qualità e in genere è possibile modificarle per adattarle all’uso astronomico.
Le principali modifiche consistono:
- Eliminazione dell’ottica, in genere scadente, e creazione di un opportuno
adattatore per l’interfaccia diretta con il telescopio.
- Modifiche relative all’elettronica per sganciare l’otturatore elettronico
e gestirlo in modo diretto dal computer. Si ottengono tempi di acquisizione
virtualmente illimitati.
- Possibile raffreddamento del CCD tramite celle Peltier
- Modifiche del software di gestione per recuperare immagini in formato
RAW.
Nelle Webcam a colori, sopra al CCD, di per se stesso in BN, è depositato un film contenete filtri RGB. La disposizione di questi microscopici filtri è fatta secondo uno schema preciso, schema di bayer. Fig 4.
Nel modo di trasferimento progressivo e realtime mode abbiamo (per il ICX098AK):
Il modo Progressive scan Mode abbiamo il trasferimento di tutta la matrice
dell’immagine in circa 1/30 secondo. Subito si nota che nel trasferimento
veloce abbiamo una riduzione della qualità dell’immagine anche se
siamo in grado di avere 1&60 di secondo di aggiornamento. Il fattore
è di 200 righe verticali contro le quattrocento precedenti. Nel
caso delle Webcam, e delle macchine fotografiche in genere, i dati di luminanza
generati dal CCD, dopo la conversione in binario, vengono elaborati generando
tre canali (R,G,B) a 8 bit ciascuno. Questo è possibile proprio
in dipendenza dello schema di bayer. Sapendo che il primo pixel è
ad esempio un rosso, sarà gestito dal canale del rosso ecc. La risoluzione
non è ovviamente quella dichiarata ma circa 1/3. I buchi tra un
pixel di colore e l’altro sono riempiti tramite tecniche di interpolazione
pesata e compressione per stare in 8 x 8 x 8 bit (16 milioni di colori,
fasulli)
Come migliorare il sistema? Non elaborando i dati all’interno della
WEBCAM.
Abbiamo allora in uscita un segnale pseudo BN che ha una ampiezza non di 8 bit ma di 10 bit. L’elaborazione è possibile allora in ambito locale, dal PC collegato, senza compressioni dei dati, utilizzando ogni pixel con una profondità di 10 bit (nella toUcam). Abbiamo allora una immagine a colori ad alta dinamica, adatta per le immagini astronomiche. La pseudo immagine così generata (cioè BN con filtro di bayer) è chiamata formato RAW Molti programmi commerciali, come IRIS, sono in grado di gestire questa tecnica.
Gran parte delle nostre attuali conoscenze nel campo dell’astronomia - ma non solo - sono la somma di un patrimonio di nozioni che provengono da una lunga serie di ininterrotte acquisizioni e conquiste, sia piccole che grandi, ottenute dai nostri predecessori.
Ciò che ha sempre attirato l’attenzione e la curiosità dei cultori delle materie sia scientifiche che umanistiche è stata quella di voler sondare il pensiero e le percezioni dell’uomo preistorico sul mondo che lo circondava, il suo rapporto con i fenomeni naturali e con il cosmo, la sua religiosità. Impresa ardua, questa, ma che è possibile attuare cercando di analizzare ed interpretare i resti litici e le opere, ad esempio quelle megalitiche, lasciate a testimonianza per i posteri. È stato infatti accertato che sia i complessi megalitici che le pietre incise avevano una funzione religiosa. Per molti d’essi, come pure per siti con orizzonti particolari, è stata comprovata anche la valenza astronomico-calendariale.
Per cercare di avere un quadro più vasto del pensiero e della conoscenza astronomica ai primordi della storia umana, e per dare risposta a queste e a molte altre domande che si facevano strada man mano che gli studi progredivano, è nata una nuova scienza: l’Archeoastronomia.
Per dare impulso a questa scienza anche in ambito ligure, il giorno 11 gennaio 1997 (dopo numerosi incontri preliminari per la definizione dello Statuto), presso il Club Alpino Italiano di Genova Bolzaneto, si costituiva di fatto, con la ratifica dello Statuto Sociale da parte dei Soci Fondatori, l’Associazione Ligure per lo Sviluppo degli Studi Archeoastronomici (A.L.S.S.A.), che veniva in seguito registrata con atto legale il 12 maggio dello stesso anno.
L’A.L.S.S.A. nasceva da un contributo multidisciplinare ad opera di un gruppo di studiosi aderenti a diverse associazioni, tra le quali: l’Osservatorio Astronomico di Genova, l’Istituto Internazionale di Studi Liguri, l’Associazione Ligure Astrofili “Polaris” e l’Associazione Astrofili Spezzini. Essa è stata, ed è tutt’ora, la prima ed unica espressione di questo tipo in terra ligure. Ma non solo. La nascita dell’A.L.S.S.A. appare come un precorrere i tempi, soprattutto se si tiene conto che la Società Italiana di Archeoastronomia (S.I.A.) si è costituita solo più di recente, nel 2001, ben quattro anni dopo.
Gli scopi che l’A.L.S.S.A. si propone sono lo studio, la ricerca, la divulgazione e la pubblicazione nel campo dell’Archeoastronomia (oggi più propriamente definita “Astronomia culturale”). La struttura multidisciplinare di questa materia di studio, oltre alle ovvie conoscenze basilari di astronomia, visuale e di posizione, e di archeologia, prevede l’utilizzo di altre discipline ad esse collegate, quali la geologia, la geofisica, la toponomastica, l’etnografia e la storiografia.
Proprio per la vastità di interessi che l’Archeoastronomia, come materia scientifica, racchiude in sé, e a causa della differente estrazione culturale dei soci, si decise di istituire un ciclo di seminari, a cadenza annuale, a carattere generale e divulgativo, seguiti da altri incontri a livello più approfondito. Questi seminari sono nati insomma dall’esigenza di dare a tutti, soci e non, una base di conoscenze comuni, nella speranza che ciò possa costituire lo stimolo iniziale per un lavoro di gruppo fatto anche di passione e competenza, con lo scopo di costruire insieme, passo dopo passo, una grande Associazione.
Una delle prime conquiste dell’uomo nel campo dell’astronomia fu certamente la constatazione delle ciclicità di alcuni fenomeni naturali, i quali potevano essere strettamente correlati a quelle attività umane basilari per sopravvivenza di un popolo.
La prima delle ciclicità osservate fu certamente l’alternanza del giorno e della notte e, in seguito, quella delle stagioni. L’osservazione dei fenomeni associati al luminare del giorno (il Sole) e al luminare della notte (la Luna), e legati alla loro posizione nel cielo, permetteva alle antiche comunità di poter programmare attività quali l’agricoltura, la caccia e la pesca, su scale temporali brevi (giorni) e lunghe (stagioni).
Ciò che dovette colpire gli antichi osservatori del Paleolitico deve essere certamente stato il variare della posizione in cui il Sole sorgeva o tramontava sull’orizzonte, oppure il variare della posizione in cui il Sole raggiungeva l’altezza massima nel cielo a metà del giorno (culmine) prima di iniziare la parabola discendente lo avrebbe portato a scomparire dietro l’orizzonte. (vedi fig.1).
Quegli antichi osservatori, una volta individuato un sito adatto da cui potessero spaziare con lo sguardo, cominciarono a “segnare”, con pietre di varie dimensioni e forme, i punti massimi (al solstizio d’estate) e i punti minimi (al solstizio d’inverno) dei percorsi apparenti del Sole sulla linea dell’orizzonte all’alba e al tramonto, oppure il variare dell’ombra proiettata da un bastone piantato verticalmente nel mezzo di uno spiazzo. (vedi fig. 2) Alcuni popoli arrivarono al punto di posizionare lungo queste direttrici immaginarie le loro abitazioni e le loro sepolture. Le prime testimonianze a questo riguardo risalgono al IV e III millennio a.C. e si svilupparono soprattutto tra i popoli della cosiddetta “mezzaluna fertile” (quei territori bagnati dal Nilo, dal Tigri e dall’Eufrate), tra Cinesi, Indiani e gli abitanti dell’America centrale.
Successivamente, quegli antichi osservatori, si resero conto che esisteva
un altro fenomeno ciclico: le fasi della Luna, che si ripetevano ogni 29,5
giorni solari.
I Babilonesi determinarono con gran precisione, sebbene questo dovette
presentare senza dubbio maggiori difficoltà, questo periodo che
chiamarono mese sinodico sul quale basarono un calendario lunare per cui
ogni anno era diviso in dodici mesi di trenta o ventinove giorni che veniva
corretto con un tredicesimo mese quando i sacerdoti-astronomi stabilivano
che la discordanza tra anno civile e anno reale era troppo elevata.
In precedenza, sempre in Mesopotamia, i Sumeri, popolo di agricoltori
ma anche edificatori di grandi città-stato (Larsa, Eridu, Nippur,
Ur, Uruk, Susa), onorarono la Luna di grande prestigio, superiore addirittura
a quello del Sole. Essi le diedero la personificazione di una divinità
maschile: il dio Nanna, figlio di Enlil dea della Terra, del vento e dell’aria,
e padre di Utu, il Sole. (figura 3).
In seguito, a questi indagatori del cielo, non dovette sfuggire vi erano delle stelle “fisse”, per la loro immutevole posizione rispetto agli altri astri, e altri corpi celesti (i pianeti) che si spostavano periodicamente da una parte all’altra del cielo. Un ruolo particolare dovette certamente essere rivestito dal pianeta Venere, l’oggetto più brillante nel cielo dopo il Sole e la Luna. Gli antichi la chiamarono Phosphorus (stella del mattino) o Hesperus (stella della sera) per la sua peculiarità di essere visibile verso l’alba e al tramonto, anche se c’era ancora il Sole nel cielo.
Agli albori della civiltà, il fatto che Venere apparisse prima levarsi del Sole e, talora, ne seguisse il tramonto, era stato probabilmente interpretato per quello che l’evidenza sembrava mostrare: l’esistenza di due astri dal comportamento diverso e discontinuo. Solo in seguito si intuì l’unicità del fenomeno. Scavi archeologici compiuti nei pressi di Ninive e Babilonia, hanno portato alla luce alcune tavolette di argilla con iscrizioni nelle quali si era riconosciuto in Dilbat (nome dato a Venere dai Babilonesi) un astro unico che in ogni suo periodo sinodico diventava visibile due volte; a levante come stella del mattino e a ponente stella della sera. Per il suo fulgore, Venere era considerata popoli della Mesopotamia, il simbolo della dea Ishtar, che insieme a Sin (simboleggiata dalla Luna) e Samas (o Shamash, il Sole), rappresentava la triade divina degli Assiro-babilonesi. Presso i Maya, Venere era invece il dio Kukulcan, servitore del Sole, che si spostava come se fosse legato al suo luminoso signore.
Gli antichi osservatori che durante le fredde notti invernali volgevano il loro sguardo verso meridione, potevano rimanere meravigliati da una splendida e fulgidissima stella che non ha rivali in tutta la volta celeste: Sirio. Questa stella ebbe un’enorme importanza soprattutto in Egitto. L’economia e la vita stessa di quella nazione erano regolate dalle periodiche inondazioni del fiume Nilo, le quali si verificavano una volta all’anno e che, apportando nuovo humus, quando le acque si ritiravano, lasciavano un terreno fertilissimo per ogni tipo di coltura, specie per il grano.
Questo periodo così cruciale per la sopravvivenza di un intero popolo, era preannunciato da un segno nel cielo: l’apparire di Sirio nella luce dell’alba, poco prima del sorgere del Sole. Questo fenomeno, noto come “sorgere o levare eliaco di Sirio”, nel 3000 a.C. alla latitudine di Menfi, seguiva di soli tre giorni il solstizio estivo. Ora, la scienza degli antichi Egizi era prettamente sperimentale e basata sul più rigoroso pragmatismo: serviva cioè soltanto a scopi pratici. Occorreva studiare il cielo solo per poterne trarre qualche utilità, ad esempio per orientarsi, per stabilire il corso dei mesi o per prevedere l’inizio delle piene. La stella che appariva nel cielo preannunciando ad un intero popolo l’evento più importante dell’anno, assunse così un carattere estremamente particolare. Presso gli egiziani, il legame tra culto ed astronomia era molto stretto, quindi i sacerdoti-astronomi diedero un significato religioso a questo evento. La stella che in quel periodo appariva nella luce dell’alba prima del sorgere del Sole, fu chiamata Sothis (o Sopde) dagli Egiziani, i quali la considerarono una manifestazione della dea Iside. Fatto degno di nota, questi sacerdoti-astronomi interpretavano questo fenomeno spiegando che tutto ciò era un segno della volontà divina, la quale provocava le inondazioni per la sopravvivenza popolo egiziano. Già allora, quindi, quei sacerdoti-astronomi avevano intuito che non era Sirio a provocare le inondazioni, ma che la levata eliaca di Sirio coincideva, per volontà divina, con le piene del Nilo. Almeno in questo caso, essi avevano dunque già negato che vi fosse un’influenza diretta del fenomeno celeste sull’avvenimento naturale. Il premuroso avviso di Sirio, fu paragonato dagli agricoltori, alla premura con cui un cane avvisava il padrone; nei geroglifici dell’epoca Sirio-Sothis venne dunque rappresentata con la figura di un cane e, successivamente, come una mucca accosciata. Ancora oggi la presenza di questa stella è associata alla costellazione del Cane Maggiore, fedele segugio del cacciatore (e altra costellazione) Orione. Anche se, a causa della precessione degli equinozi, questa situazione astronomica gradualmente finì per non coincidere più con le inondazioni, il significato mistico attribuito alla stella Sirio rimase comunque ben radicato ancora per secoli.
Tutti questi fattori spinsero le antiche popolazioni a pensare ci fosse una misteriosa relazione di dipendenza che costringesse le vicende terrestri a seguire un supremo ordine cosmico. Le evoluzioni degli astri sulla volta celeste rappresentavano la chiave per risolvere o svelare questa relazione. Conoscendo a sufficienza il cielo si sarebbe potuto scoprire nel firmamento il disegno supremo dal quale dipendeva il divenire di tutte le cose. Proprio questo dovette costituire lo stimolo iniziale che spinse gli antichi popoli a voler “misurare” le evoluzioni degli astri nel cielo.
Non possiamo neanche lontanamente immaginare cosa potesse pensare colui che anticamente osservava il sorgere e il silenzioso declino dell’astro del giorno senza il rombante rumore dei motori a scoppio, o quali sentimenti attraversassero il suo animo (speranza? paura? estasi?) quando guardava le splendide gemme incastonate nella nera eppure tersa volta celeste priva di quell’inquinamento luminoso ormai tipico della nostra civiltà cosiddetta moderna.
Osservando e studiando questa arcaica forma di scienza, forse guardiamo con un po’ di rimpianto a ciò che noi stiamo lentamente ma progressivamente perdendo, anche se rimane comunque parte della natura umana.
Proprio per questa sua particolarità, l’archeoastronomia come scienza, non studia cose ormai estinte bensì cose ancora vive nelle più remote profondità del nostro animo. Riscoprire quelle antiche opere di architettura astronomica, i miti e i pensieri dei loro costruttori, significa riscoprire una parte di noi stessi.
Quando nella notte alziamo i nostri occhi al cielo e rimaniamo estasiati ed impauriti al tempo stesso dallo splendore e dalla vastità dell’universo, in fondo, oggi come allora, il quesito finale, nostra più recondita domanda, rimane la stessa:
Ceragioli, Roger "Behind the Red Sirius Myth" - Sky & Telescope, giugno 1992.
Cossard, Guido "Quando il cielo non aveva nome" - 1988, Tipografia Valdostana.
Felolo, Luigi "Stonehenge e Innerebner: pietre e montagne" - 1998, Atti del II Seminario di Archeoastronomia, Osservatorio Astronomico di Genova.
Hogben, Lancelot "Sacerdoti-astronomi e antichi navigatori" - 1983, Zanichelli Ed., Bologna.
Masani, Alberto "La cosmologia nella storia" - 1996, Ediz. La Scuola.
Migliavacca, Renato "Storia dell’Astronomia" - 1976, Mursia Editore.
Veneziano, Giuseppe "Il dilemma di Sirio" - 1994, Pegaso, n°20, Associaz. Astronomica Umbra.
Veneziano, Giuseppe "La stella Sirio tra scienza, storia e mito" - 1999, Atti del III Seminario di Archeoastronomia, Osservatorio Astronomico di Genova.
Veneziano, Giuseppe "L’inferno di Venere" - 1993, Pegaso, n°14, Associaz. Astronomica Umbra.
Figure 1 e 2: Georg Innerebner, La determinazione del tempo nella preistoria
dell’Alto Adige, 1959, Annali dell’Università di Ferrara, Sez. Paleontologia
umana e Paletnologia.
Figura 3: Guido Cossard, Quando il cielo non aveva nome, 1988, Tipografia
Valdostana.
Figura 4: Giuseppe Veneziano, Il dilemma di Sirio, 1994, Pegaso, n°
20, Associazione Astronomica Umbra.
Bibliografia
Bonòra V., Calzolari E., Codebò M., De Santis H. (1999).
Gli orientamenti delle chiese del Caprione (SP) e dell'isola di Bergeggi
(SV).
In: Atti del XVIII Congresso Nazionale C.N.R. di Storia della Fisica
e dell'Astronomia, Milano, pp. 285-292, http://albinoni.brera.unimi.it/Atti-Como-98.
Bonòra V., Codebò M., De Santis H., Marano Bonòra
A. (2000). Gli orientamenti astronomici delle chiese di S. Michele e di
S. Lazzaro a Noli (SV).
In: Atti del XIX Congresso Nazionale C.N.R. di Storia della Fisica
e dell'Astronomia, Milano, http://albinoni.brera.unimi.it/Atti-Como-99
Codebò M., De Santis H. (2003). Studi di archeoastronomia nel Genovesato. In: Atti del I° convegno S.I.A., Padova 28-29/09/2001.
Bonòra V., Codebò M., De Santis H., Marano Bonòra
A. (2004). Gli orientamenti astronomici delle chiese di S. Giulia e S.
Margherita di Capo Noli.
In atti del II° Convegno S.I.A., Monte Porzio Catone (Roma) 27-28/09/2002.
L’osservazione visuale del Sole non necessita di strumenti particolarmente
potenti. Infatti in questo campo è possibile fare ricerca anche
con telescopi di diametro inferiore ai 150 mm: anzi in alcuni casi è
consigliabile l’utilizzo di piccoli strumenti, per attenuare il più
possibile l’effetto negativo della turbolenza atmosferica sull’immagine
della nostra stella.
Nelle mie osservazioni, utilizzo un telescopio riflettore Newton di
100 mm di diametro e 1000 mm di focale in montatura equatoriale tedesca,
a cui applico un filtro Astrosolar a tutta apertura. Metto in postazione
lo strumento all’interno di una stanza con la finestra semichiusa in modo
da ripararmi il più possibile dalla luce diretta del Sole. In questo
modo lo strumento rimane protetto dal vento. Punto il Sole indirettamente
proiettando su una parete della stanza l’ombra del tubo del telescopio,
in modo che l’ombra dello stesso abbia le dimensioni minime. Applico un
oculare che mi permetta di osservare l’intero disco solare e inizio a riportare
sulla scheda di osservazione i principali gruppi di macchie visibili sulla
fotosfera.
In questo modo eseguo un’ ”osservazione diretta” delle macchie solari,
invece dell’ “osservazione per proiezione” utile per individuare con buona
precisione la posizione delle macchie sul disco solare, ma che è
piuttosto scomoda e poco efficiente con il tipo di telescopio in mio possesso.
Ecco qui di seguito la descrizione dettagliata delle varie fasi dell’osservazione:
- Prendere nota delle condizioni del cielo (s1) con un valore da 1 a
9 (come da tabella); per valori maggiori o uguali a 6 l’osservazione non
risulta attendibile.
- Prendere nota del seeing (s2) con un valore da 1 a 6 (come da tabella);
l’effetto di seeing è l’indice della turbolenza atmosferica riscontrabile
come una “increspatura” sul bordo del Sole: più è marcata
e più il valore di seeing è alto. Per valori superiori a
5 l’osservazione non risulta attendibile.
- Prendere nota dell’ora di inizio dell’osservazione in T.U.. Se si
dispone delle esatte coordinate del sito osservativo, si può calcolare
il valore di T.U. per il sito stesso.
- Riportare sulla scheda osservativa tutte le macchie visibili.
- Determinare i punti cardinali solari Est-Ovest: senza inseguimento,
il bordo Ovest sparisce per primo dal campo oculare mentre il bordo Est
per ultimo.
- Determinare i punti cardinali Nord-Sud: muovendo il telescopio verso
il Nord del cielo il bordo Sud sparisce per primo.
- Segnare il numero di macchie visibili a occhio nudo.
- Prendere nota dell’ora della fine dell’osservazione in T.U.
- Prendere nota della temperatura.
- Riportare le condizioni generali dell’osservazione C.G.O. con valori
da 1 a 6 (come da tabella).
- Misurare Altezza e Azimut del Sole. L’Azimut si misura in gradi a
partire da Sud verso Ovest (positivo) o verso Est (negativo). L’Altezza
del Sole si può misurare con una bussola dotata di clinometro (va
bene anche il “metodo della matita”).
Terminata l’osservazione e completato il disegno, con i dati raccolti è possibile calcolare il numero relativo di Wolf:
Avendo a disposizione un almanacco astronomico, dove sono riportate le tabelle mensili dei dati relativi alla posizione dell’asse di rotazione e del centro del disco del Sole, è possibile calcolare il numero di macchie e di gruppi presenti nei due diversi emisferi solari Nord e Sud. Ecco qui di seguito la procedura:
- I punti cardinali N-S-E-O sono già stati riportati sul disegno;
ora occorre trovare i punti nord NV e Sud Sv veri del Sole a partire dai
valori dell’angolo di posizione dell’estremità nord dell’asse di
rotazione solare P e della latitudine eliografica del centro del disco
del Sole B0: dal punto N segnare NV misurando P
(in senso antiorario da N se P è positivo, in senso orario da
N se P è negativo).
- Indicare i punti veri Nv-Sv-Ev-Ov.
- Segnare il punto di massima distanza dell’equatore solare dal centro
del disco apparente, a partire dalla distanza angolare B0 (un valore negativo
indica che il Polo Nord solare è inclinato lontano dalla Terra di
una quantità pari a B0).
- Tracciare l’equatore solare e contare il numero di macchie e gruppi
dell’emisfero Nord e Sud.
Con questi dati si può completare la compilazione della scheda
di riepilogo mensile.
Bibliografia
Piovan L., Schede del manuale della Sezione Sole, U.A.I.
Bianucci P., Il Sole, Giunti Editore, 1992
Godoli G., Il Sole, in Astronomia alla scoperta del cielo, volume secondo,
Armando Curcio Editore, 1985
Piovan L., Astronomia, 4, 20 (1991), Metodologie osservative solari
con l’uso del rifrattore
Piovan L., Astronomia, 5, 30 (1991), Metodologie osservative solari
con l’uso del rifrattore (II)
Piovan L., Astronomia, 6, 12 (2003), il Sole nel 2001
Altri riferimenti
Osservatorio Astronomico Comunale “G.D. Cassini” di Perinaldo: astroperinaldo@libero.it
U.A.I. Unione Astrofili Italiani: www.uai.it
, info@uai.it
Sezione di Ricerca Sole dell’U.A.I.: sole.uai.it , sole@uai.it
D'altra parte gli scettici sostengono, dal punto di vista matematico,
che, data una qualsiasi successione finita, è sempre possibile individuare
una legge che la approssimi con la voluta tolleranza, sicché l'indagine
sulle distanze planetarie si ridurrebbe quasi a un esercizio di matematica
“dilettevole e curiosa”.
Oggi la scoperta di Quaoar a 43.4 UA consente una rivisitazione più
obiettiva delle ipotesi formulate, anche in relazione all’accertata presenza
della fascia di Kuiper, con la sua ricca collezione di corpi orbitanti.
L’approccio statistico.
La semplice osservazione del classico grafico, che pone in ascisse
n (numero d'ordine della successione) e in ordinate la distanza in UA,
mette in evidenza che la curva empirica, che unisce i punti noti, Quaoar
compreso, assume la forma sigmoide tipica di molti fenomeni naturali, economici
e anche sociali.
In effetti un gran numero di fenomeni fisici e umani può ricondursi
alla famiglia delle curve sigmoidi, soprattutto a quelle di Verhulst, di
Gomperetz, dell'integrale della funzione "errore" di Gauss, che interpretano
le fasi ben conosciute del lento sorgere, del successivo progressivo sviluppo,
e della definitiva tendenza asintotica verso il limite superiore, comprese
in una striscia semi infinita (0 < n < +infinito). Per esempio, le
epidemie seguono, come numerose tipologie di mercato, tale prevedibile
e razionale evoluzione nel tempo "t" che, nei casi indicati, sostituisce
la variabile "n".
Per l'applicazione alle distanze nel Sistema Solare sussistono alcune
difficoltà; in particolare è sempre stato dubbio se considerare
la fascia degli asteroidi equivalente a un pianeta con n = 5 ovvero non
considerarla. Si dimostrerà la trascurabile rilevanza di tale considerazione.
Inoltre, mentre le curve sigmoidi esistono in una striscia di ampiezza
infinita, nel caso del Sistema Solare occorre considerare solo il campo
di esistenza positivo; ciò peraltro trova una certa spiegazione
nel limite inferiore di Roche, individuato dall'intercetta con l'asse delle
ordinate (valore per n = 0).
La distanza della cintura di Kuiper intorno a 60 UA potrebbe agevolare
la determinazione delle opportune costanti, fissando una delle necessarie
e precisamente l'asintoto superiore. Infatti la relazione generale di Verhulst
(detta anche logistica o autocatalitica o di Pearl) pone:
Il modello di Verhulst
Seguendo questo approccio statistico si ottengono i risultati illustrati
nella tabella 1, trascurando la fascia degli asteroidi. Con a = 47.53 UA,
sorprendentemente prossimo al valore di circa 50 UA della cintura di Kuiper,
b = 1090 e c = -0.943, si ottiene un valore di R² = 0.99937, talmente
elevato da escludere ogni ca-sualità. Gli scostamenti più
vistosi (figura 1) si indi-viduano per i pianeti interni, tuttavia poco
influenti nel calcolo di R², che è il parametro di rispondenza
statistica più affidabile.
Aggiungendo la presenza di un virtuale pianeta nella cintura degli
asteroidi a 2.8 UA si otterrebbe R² = 0.99878 ancora assai elevato
e a = 48.23 UA, non molto discosto dal valore precedente, significando
una scarsa rilevanza di tale elemento di calcolo, legato alla visione ristretta
dei pianeti allora conosciuti e più vicini al Sole.
Peraltro, il modello deriva dall'ipotesi dell'interazione tra un’azione
propulsiva proporzionale a n e un’azione resistente proporzionale
a n², espressa dall'equazione differenziale chiamata "epidemica"
che, integrata, porge la formulazione impiegata. Esso offre, quindi, una
possibilità interpretativa di tipo teorico per superare i limiti
dell'approccio puramente statistico.
Il modello di Gompertz
Il modello sigmoide di Gompertz, a differenza di quello di Verhulst,
non presenta simmetrie. Applicato al Sistema Solare offre un limite superiore
di distanza per 57.58 UA e un valore di R² = 0.99659 ancora sorprendentemente
elevato, pur mostrando con evidenza un'eccessiva sottovalutazione delle
distanze dei pianeti interni all'orbita gioviana. L'equazione, sempre funzione
di 3 parametri, è, con la nota simbologia, la seguente:
Conclusioni
L'applicazione di un modello superiormente limitato di tipo sigmoide
appare più precisa e coerente con le nuove scoperte di corpi transnettuniani
e con una visione più ampia del Sistema Solare, offrendo le possibilità
di verifica sperimentale con le distanze rilevabili dei corpi più
lontani e di approfondimenti teorici sull'origine e la struttura del sistema
stesso. Veri e propri confronti potranno essere condotti con altri sistemi
planetari di cui si conoscano le distanze progressive al fine di dedurre
una formulazione del tutto generale, che possa comprendere anche i casi
limite come quelli binari. È possibile infatti generalizzare il
modello per l’esistenza di n corpi all’interna di una definita striscia
distanze-numero progressivo.
Mai così vicino, quante volte lo abbiamo sentito dire l’estate
scorsa, quante volte lo abbiamo detto indicando quel brillantissimo astro
ai curiosi che venivano alle serate che abbiamo organizzato. Marte è
stato il vero protagonista dell’estate scorsa, ma questa opposizione è
stata molto favorevole non solo per la distanza fisica del pianeta rosso
dalla Terra, Marte è stato avvicinato moltissimo dalle nuove tecnologie,
infatti con una semplice webcam è stato possibile riprendere delle
immagini che solo pochi anni fa erano possibili solo con grandi telescopi
professionali.
Abbiamo ottenuto le nostre immagini applicando la webcam ad un telescopio
Schmidt - Cassegrain 12” portato a f/30 con una barlow 3X, i filmati sono
stati ripresi con una Toucam Pro con riprese di 100 secondi a 30 fotogrammi
al secondo.
Dai circa 3000 fotogrammi così ottenuti sono stati selezionati
i fotogrammi migliori, circa 1800, sommati ed elaborati con il software
IRIS con la tecnica LRGB, per la luminanza si è utilizzato un filtro
IR-pas mentre i canali RGB sono stati ripresi applicando un IR-cut.
Le immagini sono state riprese dopo lunghe serate osservative cercando
di cogliere il momento con il seeing migliore che in genere si è
avuto poco dopo il passaggio al meridiano come si può vedere nelle
seguenti immagini riprese rispettivamente il 23 agosto all’1.30 TL, l’1
settembre all’1.00 TL e il 21 settembre all’1.30 TL.
L’immagine è poi stata ulteriormente elaborata modificandone
luminosità, contrasto e con il procedimento della maschera sfuocata
mettendo così in evidenza dettagli che nemmeno si potevano immaginare
dalle immagini grezze.
Dalle immagini che qui vi mostriamo, riprese con questa tecnica da
Angelo Zampedri, direttore dell’osservatorio di Castagnabanca, si possono
osservare parecchi dettagli della superficie di Marte, la rotazione del
pianeta e diversi dei principali fenomeni atmosferici di marte come le
nubi mattutine e le tempeste di sabbia.
Con l’uso della webcam e dell’elaborazione digitale delle immagini
si aprono nuove prospettive all’astrofilo, uno nuovo modo di effettuare
l’osservazione planetaria che se utilizzato nella maniera più opportuna
non mancherà di produrre risultati più che soddisfacenti.
La ricerca astronomica profonda, un tempo appannaggio quasi esclusivo
dei professionisti, ha subito negli ultimi tempi una trasformazione che
è dovuta in gran parte all’uso, da parte degli astrofili, di apparecchiature
e sistemi digitali che consentono ora, per chi ha i mezzi e le conoscenze
adatte, oltre che la voglia di fare ricerca, valide attività in
collaborazione stretta con le strutture professionali.
Occorre essere attivi nel primo passo della ricerca, come, ad esempio,
la scoperta di supernovae e nuovi asteroidi, e la successiva conferma.
Molti di noi sono impegnati nel miglioramento della conoscenza dell’orbita
di pianetini e dell’astrometria. Nel campo degli asteroidi, appena viene
comunicata la scoperta di un nuovo oggetto, bisogna seguirlo per fornire,
con i dati osservativi, la possibilità di determinare l’orbita e
scoprire se si tratta di un oggetto potenzialmente pericoloso o no.
Possiamo senz’altro portare un contributo particolare alla conoscenza
dei NEO, in quanto quello che rimane da scoprire dopo le scansioni sempre
più particolareggiate del LINEAR, è patrimonio delle attenzioni
di una moltitudine di osservatori che con la loro attività permettono
di isolare ed evidenziare le cosiddette “orbite sospette” come quelle che
dovessero essere classificate come potenzialmente pericolose a quantomeno
degne di attenzione per un monitoraggio continuo, come appunto necessario
nel campo dei NEO.
E’ di questi giorni la notizia che un asteroide di una trentina di
metri ha sfiorato la Terra ad una distanza di meno di 50.000 Km.
Le Sezioni di Ricerca UAI stanno studiando nuovi standards fotometrici
e nuove possibili tecniche di fotometria per l’analisi CCD allo scopo di
misurare la magnitudine e di fare l’analisi comparata dei dati; con pacchetti
software in parte realizzati anche dal GAD; si studiano le attività
del nucleo, dei getti nucleari e la morfologia della coda.
Ho fondato il GAD agli inizi degli anni ’90, quando eravamo ancora nella preistoria nell’uso dei CCD nell’astronomia amatoriale. Per questo l’iniziativa fu affascinante: in pratica riuscimmo ad aggregare persone intorno a un polo di interesse per certi versi allora misterioso anche per gli addetti ai lavori. Quello che è accaduto con l’avvento dei CCD in campo amatoriale ha permesso a tanti validi astronomi non professionisti di realizzare quello che dieci anni fa poteva essere considerato solo un sogno, trasformato ora in realtà. Il GAD, che coordino dalla sede di La Spezia sin dalla fondazione, ha organizzato ben undici convegni nazionali in numerose località italiane e il XII° avrà luogo, in ottobre 2004, a Gubbio, con la presenza di personaggi di livello mondiale, come l’astronomo Halton Arp e il famosissimo autocostruttore americano di telescopi John Dobson.
Abbiamo nel GAD persone che si interessano di produzione e messa a punto
di software di analisi e trattamento delle immagini, sia sotto windows
che sotto linux; per fare un esempio, Astroart, realizzato dagli operatori
del GAD dell’osservatorio di Cavezzo, è un software di elaborazione
immagini tra i più sofisticati, anche tenendo conto dei famosi e
costosi programmi d’oltreoceano. Abbiamo tecnici e progettisti che costruiscono
sistemi elettronici di ripresa e camere CCD.
Soprattutto abbiamo programmi di ricerca nei campi della fotometria
digitale e programmi di ricerca pianetini e supernove che portano a risultati
importanti; posso citare le scoperte effettuate in questi campi: centinaia
di pianetini scoperti e la scoperta di supernove fra cui quelle che sono
risultate essere le più distanti mai scoperte in tutti i tempi da
non professionisti, come ad esempio la SN 2000 dl, distante 1,040 miliardi
di anni luce.
Nella UAI ho l’incarico di coordinare le 10 sezioni di ricerca
attive cui partecipano gli astrofili. Alcune dedite ad attività
più vicine alla ricerca, altre sono invece attività astronomiche
culturali o di palestra di studio. C’è la Sezione Cielo Profondo,
che si rivolge in maniera prioritaria all'osservazione estetica del cielo;
la Sezione Quadranti Solari che opera ne campo degli arredi urbani,
di piazze e luoghi di carattere pubblico, o anche alla realizzazioni di
quadranti solari su abitazioni private e così via.
La Sezione Meteore studia la densità spaziale dei meteoroidi
incontrati dalla Terra e le eventuali variazioni nel tempo, analizza la
distribuzione della luminosità in rapporto al numero di meteore
rilevate, ottiene informazioni sulla distribuzione delle correnti meteoriche,
individua eventuali nuovi radianti attivi, studia le reali traiettorie
atmosferiche dei bolidi e cerca l'eventuale caduta di meteoriti per classificare
corpi meteorici e catalogare nuove zone di caduta. Poi c’è la Sezione
Asteroidi, che si occupa di astrometria, fotometria visuale, fotometria
fotoelettrica, astrometria CCD, fotometria CCD; infine la Sezione Comete,
che opera nella ricerca di sistemi fotometrici CCD standard su comete e
ha frequenti contatti con astronomi professionisti.
La Sezione Pianeti ha studiato fenomeni mutui dei satelliti
di Saturno e Giove, durante le opposizioni del 1995 e del 1997. Nell’ambito
della prima campagna è stata svolta una missione osservativa presso
l’Osservatorio del Pic du Midi (Francia). Questa Sezione collabora con
importanti associazioni ed Enti professionali.
La Sezione Sole si occupa di registrazione dell'attività
fotosferica in luce bianca, conteggio delle macchie e dei gruppi, registrazione
con disegno della proiezione giornaliera, la Sezione Stelle Variabili
ha nei programmi nuove variabili, ed ha contatti con le maggiori associazioni
internazionali (AAVSO, AFOEV,GEOS e VSNET); ha al suo attivo la scoperta
(Giugno 1997), ad opera proprio di Sergio Dalla Porta, della variabilità
della stella HD 183361, denominata V2080 Cyg, è stata classificata
come binaria ad eclisse di tipo EA.
La Sezione Occultazioni ha una prevalente attività nelle
occultazioni lunari radenti, per una migliore conoscenza dei profili lunari
e posizione del corpo occultato, occultazioni asteroidali (per il raffinamento
delle orbite dei pianetini e la determinazione della forma), occultazioni
di stelle da parte di satelliti di pianeti con sospetta atmosfera (che
permettono, nei casi ottimali, di ottenerne informazioni), fenomeni mutui
di eclissi e occultazioni dei satelliti di Giove e Saturno (mediante partecipazione
alle campagne internazionali di osservazione).
Questa sezione collabora con la Sezione Europea della International
Occultation Timing Association (IOTA-ES).
La Sezione Luna U.A.I. partecipa al monitoraggio della Luna
indetto dall'A.L.P.O. (Association of Lunar and Planetary Observers) ed
esplica la ricerca in monitoraggio sistematico di eventuali fenomeni lunari
transienti (TLP), studio di dettaglio di particolari morfologici e domi
lunari sotto determinate condizioni di illuminazione non disponibili negli
archivi professionali, impatti lunari (la prima conferma della realtà
dei flash dovuti ad impatto meteorico sulla Luna sono arrivate da osservazioni
e registrazioni video amatoriali in occasione del passaggio delle Leonidi
nel 1999).
(1)
- Presidente dell’IRAS (Istituto Spezzino Ricerche Astronomiche)
- Coordinatore Nazionale del GAD (Gruppo Astronomia Digitale)
- Consigliere UAI e coordinatore delle Sezioni di Ricerca
- Responsabile del Settore non Professionisti della SAIt (Società
Astronomica Italiana)
- Segretario della IUAA (International Union of Amateur Astronomers)
e-mail : yclop@yahoo.it
Siti web:
IRAS www.astronomiadigitale.org/iras
GAD: www.astronomiadigitale.org
UAI: www.uai.it