ARCHEOASTRONOMIA LIGUSTICA
Pubblicato in: Atti del I seminario A.L.S.S.A. di archeoastronomia,
Genova 22 febbraio 1997, pp. 17-39.
CORSO
ELEMENTARE DI ARCHEOASTRONOMIA
LEZIONE 1: PROBLEMI GENERALI DEL RILEVAMENTO
ARCHEOASTRONOMICO
Mario Codebò
Premessa.
Cogliendo
l’occasione della ristampa degli Atti del I Seminario A.L.S.S.A ormai esauriti,
ho provveduto all’indispensabile correzione di alcuni errori di calcolo
presenti nell’esempio numerico della prima edizione: essi non inficiavano
sostanzialmente l’orientamento del monumento esemplificato e le relative
conclusioni perché si aggiravano sul valore di circa 0°01’, ma costituivano un
grave limite alla funzione didattica di questo lavoro, poiché l’allievo ha necessità e diritto a testi
rigorosamente corretti.
Ho colto
anche l’occasione per apportare qualche limitato aggiornamento, con particolare
riferimento alle formule per calcolare l’obliquità dell’eclittica, tra le quali
ho introdotto quella dovuta a Laskar – la migliore di cui oggi disponiamo – e
scartata un’altra precedentemente usata, dimostratasi per esperienza meno
precisa.
Infine ho
colto l’occasione di questa ristampa per porre il testo sotto il nome ed il
logo di Archeoastronomia Ligustica, che nel frattempo Henry De Santis ed io
abbiamo fondato.
In ogni caso
la rilettura di questo testo mi ha palesato la necessità di un più ampio ed
ormai indispensabile aggiornamento con nuovi algoritmi: oggetto – mi ripropongo
– di una prossima pubblicazione.
Introduzione.
Il
rilevamento archeoastronomico è operazione complessa e delicata che richiede
buone conoscenze sia di archeologia che di astronomia sferica. A seguito
dell’esperienza di questi ultimi anni, non posso smettere di sottolineare che
l’archeoastronomia non è disciplina appartenente alla sola astronomia, ma
anche, e forse addirittura soprattutto, all’archeologia medioevale, classica e
preistorica (quest’ultima più propriamente detta: paletnologia). Non si può
quindi affrontare la materia senza adeguate conoscenze e dell’una e dell’altra
disciplina. Invece oggi si assiste purtroppo ancora ad una netta e quasi
invadente predominanza di metodologie e mentalità astronomiche, tendenzialmente
matematiche ed esatte, a tutto discapito di quelle archeologiche, di stampo
decisamente più umanistico ed empirico. A mio parere non basta neppure la
stretta collaborazione tra le due distinte e per molti aspetti diverse
categorie di operatori, gli astronomi e gli archeologi, per superare l’impasse,
perché comunque si ha la netta sensazione che il dato ottenuto, fornito
dall’uno o dall’altro specialista, non riesca poi ad essere integrato ed
interpretato nel complesso in cui è calato: la cultura antica che lo ha
prodotto. Mi pare che soltanto la figura per così dire ibrida e certo nuova
dell’archeoastronomo, di formazione universitaria sia umanistico-archeologica
che matematico-astronomica possa ottenere tale risultato, da un lato limitando
la pretesa tutta matematica della precisione estrema delle misure, del tutto
inutile su strutture deteriorate da secoli o millenni di abbandono, e
dall’altro applicando metodologie di misura solitamente estranee
all’archeologia fino alla recente introduzione di metodi matematico-statistici
per l’interpretazione dei dati di scavo o di survey (Guidi A. 1995).
Non si devono
neppure omettere conoscenze di antropologia, etnologia, storia delle religioni,
mitologia. L’archeoastronomo è dunque una nuova figura professionale che
compendia nella propria formazione nozioni di astronomia sferica, archeologia
(medioevale, classica o preistorica) e di quelle altre discipline utili sopra
indicate. Di seguito illustrerò sommariamente (tranne che, parzialmente, per le
procedure di calcolo) i problemi principali che il rilevamento
archeoastronomico pone. Essi saranno oggetto di future trattazioni individuali
dettagliate.
Parte I:
Aspetti archeologici.
Per quanto
riguarda lo scavo archeologico, rimando al lavoro di Floriana Suriosini in
questo stesso volume. Ricordo solo che vi sono differenze particolari tra uno
scavo preistorico ed uno di età classico-medioevale, oltreché dall’ovvio punto
di vista culturale anche da quello meramente tecnico. Mentre esistono ottimi
manuali di scavo “archeologico” propriamente detto (ossia: classico e
medioevale), non ne esiste praticamente nessuno recente di scavo paletnologico;
poche nozioni si possono leggere in: AA.VV. 1984, pp. 31-37; Broglio A.
Kozlowski J. 1986, pp. 25-33; Camps G. 1979, pp. 1-34; Champion S. 1983, pp.
174-176; Cocchi Genick D. 1993, pp. 25-40; Del Lucchese A., Giacobini G., Vicino
G. 1985, pp. 101-103. Nelle bibliografie di questi volumi si possono trovare
ulteriori indicazioni. Particolarmente importante per il rilievo
archeoastronomico è, come vedremo più avanti, la datazione del manufatto, anche
se attualmente vi è forse la tendenza ad esagerarne l’importanza. Le datazioni
sono, quanto alle metodologie, essenzialmente di tre categorie:
1) relative:
Comprendono
tutti quei metodi classici che l’archeologia ha elaborato prima dell’avvento
delle datazioni assolute. Esse si basano fondamentalmente sulla giacitura
stratigrafica dei manufatti scavati e sulle loro affinità e somiglianze
tipologiche con altri manufatti datati in modo simile, attraverso complesse e
lunghe catene di riferimento i cui termini temporali d’origine sono ben collocabili
in cronologie storicamente tramandate (p. es. quelle egizia, greca, babilonese,
ecc.). Il concetto di base è che in una stratigrafia di scavo il manufatto con
giacitura soprastante è più recente di uno con giacitura sottostante. A parte
alcune notevoli e frequenti eccezioni che il lavoro di F. Suriosini mette bene
in evidenza, la lunghezza e la “viziosità” delle catene di riferimento ha
costretto in passato ad elaborare complicate e forzose teorie diffusioniste per
spiegare presunte dipendenze culturali di taluni popoli da altri (ex oriente
lux!). L’avvento dei metodi di cronologia assoluta ha poi mostrato come in
realtà tali supposte dipendenze non ci fossero o, addirittura si rovesciassero,
nel senso che la cultura ritenuta “figlia” era invece più antica, autonoma e
forse “madre”. E’ quanto è accaduto per il fenomeno megalitico europeo che,
creduto originariamente derivato dal mondo miceneo, si è rivelato invece essere
di questo più antico di alcuni millenni e forse addirittura alla sua origine (Renfrew
C. 1979). I metodi di datazione relativa sono:
a)
la stratigrafia;
b)
la seriazione dei manufatti;
c)
il dosaggio del fluoro (utilizzabile per le ossa);
d)
il dosaggio dell’azoto (utilizzabile per le ossa);
e)
il test dell’uranio (utilizzabile per le ossa);
f)
la datazione incrociata (utilizzabile per manufatti trovati in
associazione chiusa);
g)
lo strato di idratazione dell’ossidiana;
h)
la palinologia.
Comprendono
quei metodi nei quali la datazione è ricavata indipendentemente da altri manufatti
di riferimento e, entro certi limiti, dalla giacitura stratigrafica. Sono
essenzialmente basati su fenomeni fisici in parte radioattivi ed in parte no:
a)
il C14 (utilizzabile con precisione fino al neolitico calibrandola con
la curva dendrocronologica e con minore precisione, perché fornisce date più
recenti del reale, fino a 70.000 dal presente);
b)
il potassio-argon (utilizzabile da 100.000 fino ad alcuni milioni di
anni dal presente);
c)
la termoluminescenza (utilizzabile per i manufatti in terracotta);
d)
l’archeomagnetismo;
e)
la dendrocronologia (la più precisa di tutte, ma limitata a meno di
10.000 anni dal presente);
f)
le tracce di fissione (utilizzabile per i materiali vulcanici);
g)
la racemizzazione degli aminoacidi (utilizzabile con le sostanze
proteiche);
h)
il metodo delle varve (utilizzabile nei climi polari e subpolari).
Per una
descrizione di questi metodi cronologici si veda particolarmente, oltreché nei
testi sopra citati, in: Camps G. 1979, pp. 369-403 e Champion S. 1980 alle
singole voci.
3) tipologiche:
La datazione
tipologica non è propriamente un metodo a sé stante, poiché rientra nella
stratigrafia e nella seriazione. Tuttavia possono darsi casi in cui un
manufatto venga trovato fuori dal contesto stratigrafico o, nel caso delle
strutture megalitiche, privo di contesto stratigrafico. In questi casi solo
l’analisi tipologica ci consente una collocazione cronologica almeno
approssimata. E’ il caso che si presenta più frequentemente nel corso delle
ricerche di superficie e quando non è comunque possibile effettuare per qualche
ragione né il saggio né tanto meno lo scavo completo.
Talune forme
tipologiche sono ormai ben datanti: così, p. es., un vaso a bocca quadrata
(v.b.q.) è sicuramente attribuibile al neolitico medio “ligure” (metà del IV
millennio a.C.); un vaso campaniforme alla fase centrale dell’eneolitico (metà
del III millennio a.C.); una selce a “foglia di lauro” al solutreano medio; un
bifacciale o amigdala all’acheuleano; ecc. Per liste tipologiche esaurienti si
veda:
a)
per il paleolitico ed il mesolitico in Bartolomei G., Broglio A.,
Guerreschi A., Peretto C. 1975, pp. 63-88; Broglio A., Kozlowski J. 1986, pp.
53-80; Cocchi Genik 1993, pp. 68-92;
b)
per la ceramica: Cocchi Genik, vol. II; Guerreschi G. 1980;
c)
per la protostoria italiana (prima metà del I millennio a.C.): Peroni
R. 1994, pp. 22-151;
d)
per tutte le epoche dal paleolitico inferiore all’età del bronzo e per
tutti i tipi di materiali (pietra, metallo, osso, ceramica, ecc.): Camps G.
1979.
Parte II:
problemi, tecniche e strumenti di rilevamento.
La
strumentazione necessaria al rilievo archeoastronomico è costituita da:
01)
teodolite (od, in alternativa, dallo squadro sferico graduato
unitamente all’inclinometro);
02)
cronometro astronomico (orologio radio-controllato);
03)
paline;
04)
effemeridi;
05)
livelle e fili a piombo;
06)
nastri metrici;
07)
barometro;
08)
termometro;
09)
tavole di rifrazione;
10)
carte topografiche a grande e grandissima scala;
11)
calcolatrice scientifica o software personale in grado di
eseguire calcoli trigonometrici: evitare assolutamente i programmi in commercio
a causa della loro grossolana imprecisione!
Oltre a
questi, indispensabili, sono molto utili i seguenti altri strumenti:
1)
bussola prismatica;
2)
altimetro;
3)
Global Position Sistem (GPS).
Rinviando a
prossimi lavori per dettagli descrittivi, qui mi limito ad alcune indicazioni e
giustificazioni d’uso di carattere generale.
Il teodolite
è lo strumento principale del rilevamento archeoastronomico. Esso consta
fondamentalmente di due cerchi graduati ortogonali sui quali si misurano gli
angoli orizzontali (azimutali) e verticali (zenitali) per mezzo di indici
collegati ad un cannocchiale mobile sui due assi orizzontale e verticale. Una o
più livelle consentono di mettere in stazione orizzontale lo strumento montato
sul suo cavalletto: questa operazione è molto delicata e va eseguita con grande
cura, poiché la non perfetta orizzontalità dello strumento altera le misure che
si vanno ad eseguire. Ovviamente la precisione perfetta non è materialmente
ottenibile, essendo essa un concetto teorico, sempre limitato ed in qualche
modo inficiato da svariati problemi materiali, fra cui particolare rilevanza
assumono quelli costruttivi dello strumento. E’ importante ricordare che ogni
misura ottenuta è sempre e comunque affetta da una certa quantità di errori mai
del tutto eliminabili. Essa può solo e deve essere:
a)
limitata,
b)
quantificata,
c)
trattata.
Si deve, in
sostanza, ridurre l’errore al minimo ineliminabile compatibilmente con la
precisione prevista per lo strumento al momento della sua costruzione. Infatti,
se per esso è stata prevista per es. una precisione di 0,5 gradi
quattrocentesimali, corrispondenti a 0°27’00”, la precisione della misura
ottenibile non potrà mai essere maggiore di tale valore, anzi sarà di fatto
minore perché al limite progettato di 0,5 gradi quattrocentesimali si
aggiungeranno altri errori ineliminabili che si cumuleranno al primo: concetto
fondamentale è che nell’esecuzione delle misure e dei calcoli gli errori anche piccoli
si sommano e danno luogo da ultimo ad un errore grande. Essi si possono
distinguere in:
1)
errori grossolani,
2)
errori sistematici,
3)
errori accidentali.
I primi sono
dovuti ad una esecuzione non diligente delle operazioni di misura e sono
eliminabili ripetendole in modo appropriato.
I secondi
sono dovuti a qualche anomalia che si ripete sistematicamente. Tipica in tal
senso è la “uscita da... o perdita di... rettifica” del teodolite, dovuta sia a
fatti accidentali (urti e simili) sia ad usura. Perciò lo strumento va
verificato frequentemente (quando le sue modalità costruttive lo permettono) e
va periodicamente inviato alle officine specializzate per le operazioni di
rettifica. Altro esempio di causa di errori sistematici sono gli eventuali
difetti visivi dell’operatore tipo astigmatismo e simili. Per principio gli
errori sistematici sono eliminabili quando se ne riconosca e corregga la causa.
I terzi sono
dovuti alle differenze tra le misure teoriche che si sarebbero potute fare in
condizioni ideali sulla grandezza osservata ed oggetto di studio e quelle che
di fatto si possono fare. Per principio non possono mai essere eliminati ma
soltanto ridotti mediante:
1)
stima del valore più probabile della grandezza osservata;
2)
scostamento di ogni singola misura dal valore teorico;
3)
scostamento del valore stimato dal valore teorico.
La loro
riduzione è studiata nella “Teoria degli errori”, le procedure della quale,
applicate all’uso del teodolite, sono descritte nei capp. nn. 4 e 8 di
Bezoari, Monti, Selvini 1989.
La messa in
stazione del teodolite consiste nel posizionamento del cavalletto ben piantato
nel terreno ed in asse con l’allineamento da misurare, individuato con
l’ausilio delle paline bianco-rosse. Queste devono essere a loro volta piantate
verticali nel terreno in asse con il manufatto da misurare. La loro verticalità
si ottiene con il filo a piombo che, affiancato da più lati, deve risultare
parallelo; oppure con la livella torica appoggiata sull’estremità superiore
della palina: quando essa, ruotata di 180°, conserva la centratura, la palina
può considerarsi sufficientemente verticale. Meglio ancora se si usano entrambi
gli strumenti.
Se si deve
collocare il teodolite in un punto preciso dell’allineamento si usa allo scopo
l’annesso “piombo” - a filo, a bastone od ottico, a seconda dei modelli dai
meno ai più precisi - benché ciò sia più frequentemente richiesto in topografia
che in archeoastronomia.
Si procede
poi a disporre lo strumento il più orizzontale possibile mediante le livelle di
cui è dotato. Queste sono almeno due: una sferica, a bassa precisione (con
sensibilità da 2’a 10’ per millimetro) e l’altra torica, ad alta precisione
(con sensibilità da 10” a 30” per millimetro ). Si inizia centrando prima la
livella sferica ed agendo sulla lunghezza delle gambe del treppiede (che devono
comunque essere solidamente piantate nel terreno); poi si centra la livella
torica, che individua la verticalità dell’asse primario o verticale, agendo
sulle viti calanti della base (o sul suo snodo quando costruita in tale
foggia). A questo punto lo strumento, se rettificato e posto in stazione come
sopra descritto, dovrebbe possedere i tre requisiti necessari per una corretta
misurazione:
1)
orizzontalità dell’asse secondario;
2)
ortogonalità fra asse di collimazione ed asse secondario;
3)
verticalità dell’asse principale.
In realtà
questi tre errori, che influiscono negativamente sulla precisione delle misure,
residuano quasi sempre, specialmente se lo strumento ha una precisione non
superiore a 1’.
I primi due
si eliminano, se piccoli e, quindi, indipendenti, applicando la regola
stabilita dall’astronomo tedesco F. W. Bessel, consistente nel fare al cerchio
orizzontale (od azimutale) del teodolite non una sola ma due letture coniugate
- ossia ottenute ruotando il cannocchiale di 180° - della direzione da misurare
ed utilizzando poi la loro media a meno dell’angolo piatto come dato
definitivo. Il terzo invece non è eliminabile; si può solo renderlo piccolo con
un’accurata verticalità dell’asse principale.
A questo
punto si centra l’allineamento paline-manufatto archeologico con il reticolo
del cannocchiale e si fa corrispondere a tale centratura il valore zero del
cerchio azimutale, agendo opportunamente con le viti micrometriche e le leve di
blocco-sblocco, poi si ruota il cannocchiale fino a centrare l’immagine
dell’astro che si vuole utilizzare come mediatore del calcolo trigonometrico.
Nel caso, di
gran lunga più frequente, che si fosse scelto il Sole, si dovrà avere
un’estrema cura nell’evitare di osservarlo direttamente al cannocchiale anche
solo per un istante perché la concentrazione dei raggi prodotta dalle lenti
causa un’immediata cecità permanente. Si utilizzerà invece uno dei due sistemi
seguenti:
1)
osservazione diretta del Sole previa collocazione di un apposito filtro
solare scuro sull’obiettivo;
2)
proiezione dell’immagine del Sole su di una superficie bianca. Nel caso
l’astro fosse molto alto nel cielo - come intorno al mezzogiorno estivo - si
utilizzerà un oculare a prisma che devia l’immagine di 90°. Questo secondo
metodo, benché più macchinoso, é privo di rischi per l’incolumità dell’occhio.
Centrata
l’immagine, poiché è praticamente impossibile individuare il centro esatto del
disco, conviene collocare il reticolo di mira a qualche distanza dal bordo del
Sole ed attendere il primo contatto tra i due. Si segnano l’ora, i minuti ed i
secondi di questo primo contatto e dell’ultimo, quando l’estremo lembo opposto
del disco solare si stacca dal reticolo. La durata dell’intero transito del
disco dura circa due minuti. E’ ovvio che ci si deve preparare per tempo a
registrare i due orari; la cosa migliore è operare in due: uno osserva il moto
del disco rispetto al reticolo e dà i due segnali di stop al primo ed
all’ultimo contatto, mentre l’altro, che avrà preventivamente scritto l’ora,
leggerà sul cronometro astronomico i minuti ed i secondi ai due segnali di stop
e li scriverà di seguito all’ora. E’ fondamentale che tra i due segnali ed i
relativi secondi di tempo ci sia una corrispondenza assolutamente esatta,
poiché un ritardo od un anticipo anche di un solo secondo, pari a 15” in più od
in meno, comporta errori nei calcoli trigonometrici.
Mentre si
segue sul reticolo di mira il moto del Sole - che per la piccolezza dello
spazio percorso e la brevità del tempo trascorso può qui considerarsi di tipo
rettilineo uniforme - non si deve assolutamente urtare né toccare lo strumento.
A transito avvenuto si leggono nell’apposito oculare i due valori di azimut e
se ne fa la media: essa corrisponde all’istante del transito del centro del
Sole sull’allineamento mirato. L’azimut così ottenuto altro non è che l’angolo
tra l’allineamento e l’astro a quella data ora in quella tale data. Con il successivo
calcolo trigonometrico si determinerà, con la mediazione di tale angolo,
l’azimut dell’allineamento con il nord astronomico, risolvendo così la parte
principale del problema archeoastronomico.
Conviene
leggere nell’apposito oculare anche l’angolo zenitale (cioè verticale)
dell’astro al periodo del transito per confrontarlo poi con la sua altezza che
si ricava con il calcolo: i due valori devono coincidere entro il limite di
alcuni secondi d’arco; se non lo fanno, il valore esatto è quello derivato dal
calcolo e quello misurato al cerchio zenitale denuncia o una lettura errata od
un difetto dello strumento (per es. una perdita di rettifica) che deve essere
corretto. In quest’ultimo caso neppure l’angolo azimutale può prudenzialmente
considerarsi attendibile: conviene perciò ripetere le misure quando si sia
rettificato in officina l’eventuale difetto dello strumento. Si rammenti che la
perdita di collimazione degli assi è frequente in uno strumento così delicato e
complesso come un teodolite e che la rettifica in officina è prassi routinaria
ed indispensabile, ancorché costosa.
Per una
esauriente descrizione del teodolite e del suo uso si veda in Bezoari, Monti,
Selvini 1989, cap. 7.
Un’alternativa
più maneggevole e meno costosa sono lo squadro sferico graduato e
l’inclinometro. Essi vanno sempre usati di conserva perché il primo misura solo
angoli azimutali ed il secondo solo angoli zenitali. Rispetto alla bussola
presentano il vantaggio di misurare l’azimut non con metodi magnetici ma con
metodi astronomici dello stesso tipo di quelli usati con il teodolite. Rispetto
a quest’ultimo presentano il vantaggio di costi, peso, ingombro e delicatezza
decisamente minori. Essendo abbastanza comodamente trasportabili in un ampio
zaino, possono risultare molto utili nel survey di medio-breve raggio. Sono
comunque assai meno precisi del teodolite, sia perché la loro messa in stazione
è più grossolana (lo squadro ha solo una livella sferica e l’inclinometro si
tiene generalmente in mano), sia perché la precisione di lettura è minore: per
lo squadro è generalmente di 0,05 gradi quattrocentesimali, pari a 2’42”; per
l’inclinometro è di 1° o di 10’ a seconda dei modelli. Tra questi ultimi,
quelli adatti all’uso archeoastronomico sono:
1) il modello
a disco rotante con peso eccentrico, comodo, robusto, con lettura diretta di 1°
e stimata dei 15’, talora con scale ausiliarie (per es. della pendenza
percentuale) ed illuminazione interna, più costoso ma molto maneggevole, in
grado di misurare angoli fino a ± 90°;
2) il modello
a livella torica - cosiddetta “livelletta Abney” - più delicato, meno
maneggevole ma meno costoso, con lettura diretta, mediante nonio, dei 10’ e
stima dei 5’, in genere anch’esso con scala ausiliaria delle pendenze in
percentuale, con possibilità solo teoriche di misurare angoli fino a ± 90° ma
in pratica limitate dalla sua particolare struttura ad angoli di 40°, comunque
in genere sufficienti per il rilievo archeoastronomico. La livelletta Abney
fornisce i migliori risultati se installata, per mezzo di opportuni morsetti,
su cavalletto.
Il cronometro
astronomico è un orologio di massima precisione. La sua funzione è quella di
determinare l’istante preciso, il più possibile privo di errori, in cui si
determina l’angolo tra l’astro prescelto come intermediario della misurazione e
l’allineamento studiato. Successivamente per mezzo delle Effemeridi si potrà
determinare l’angolo orario H e la declinazione decl di questo astro e, per
loro mezzo, l’azimut A dell’allineamento rispetto al nord astronomico.
Misurata poi con il teodolite o con l’inclinometro l’altezza dell’orizzonte
visibile (per gli astri considerati all’alba o al tramonto) e correttala con i
parametri che vedremo più oltre, si ricava la declinazione sconosciuta verso
cui l’allineamento punta: si potrà, quindi, dedurre se a tale declinazione
corrispondeva all’epoca della costruzione del monumento un corpo od un fenomeno
celeste significativo. Vedremo meglio questi problemi più oltre, nella parte
relativa ai calcoli.
Requisito
assoluto del cronometro astronomico è, quindi, la sua precisione oraria. Questo
problema costruttivo ha per secoli impegnato le marine di tutto il mondo,
poiché dalla precisione dei cronometri di bordo dipendeva la determinazione più
o meno esatta della longitudine. Mentre il problema della latitudine fu
soddisfacentemente risolto con l’invenzione del sestante, si dovette giungere
all’invenzione della radio per un’altrettanto soddisfacente soluzione del
problema posto dalla longitudine: infatti, nonostante la precisione raggiunta
nella costruzione di quei particolari orologi per la navigazione detti
cronometri marini per i fondamentali requisiti che dovevano possedere, solo
l’avvento della radio permise di ottenere, in qualsiasi parte del globo ed in
qualsiasi istante (o a intervalli determinati), l’ora di Greenwich,
raffrontando alla quale l’altezza meridiana del Sole sulla nave - o mezzogiorno
vero - si calcolava la longitudine. Quest’ultima, infatti, non è altro che la
differenza tra l’ora media di Greenwich (indicata con la sigla TU, UT, Tm o,
talora ma impropriamente, GMT) e l’ora locale.
Il problema
dei naviganti era quello di possedere un orologio che segnasse sempre ed
ovunque con precisione costante l’ora di Greenwich, cosa che si rivelò impossibile.
Il massimo che si ottenne furono degli strumenti la cui accelerazione od il cui
ritardo erano noti e perciò potevano essere portati in correzione nei calcoli:
l’errore giornaliero di un buon cronometro marino non dovrebbe superare ± 0,3
secondi al giorno (per una esauriente descrizione dei cronometri marini si veda
in Flora 1987, cap. XVIII).
Nel campo
degli orologi da polso meccanici, il Controle Officiel Suisse de Chronomètres
(C.O.S.C.) rilascia il certificato di cronometro a quelli tra essi che hanno
uno scarto giornaliero medio non superiore a -4 e +6 secondi al giorno (Conti,
Giussani, Patruno, Rinversi 1997, pp. 46-55).
In astronomia
il problema fu analogo, con il vantaggio che, non essendo lo strumento
sottoposto al movimento della nave, si potettero usare orologi a pendolo, più
precisi e costanti nel moto di quelli a bilanciere, soprattutto se il pendolo
era molto lungo e l’intero complesso posto entro campane che ne mantenevano
costante la temperatura, l’umidità, la pressione atmosferica, ecc. Il pendolo
astronomico Schort ha uno scarto quotidiano non superiore a ± 0,002 secondi e
quello Fedcenko a ± 0,0003 (Bakulin, Kononovic, Moroz 1984, pp. 173-177).
Notevoli
passi avanti furono fatti con l’invenzione degli orologi elettrici, a diapason
ed infine al quarzo: al giorno d’oggi uno di questi ultimi, di basso costo, è
mediamente molto più preciso (il ritardo o l’anticipo si calcola in alcuni
secondi al mese) di un cronometro meccanico. Lo scarto quotidiano di un buon
orologio al quarzo si aggira intorno a 0,00001 - 0,000001 secondi.
La vera
rivoluzione nella misura del tempo è stata la possibilità di misurarlo in base
a fenomeni fisici che si verificano all’interno di certi atomi. L’orologio
atomico al cesio 133, il più diffuso, ha uno errore giornaliero di
0,0000000000001 secondi.
Sulla base di
questi dati l’unità di tempo - il secondo - è passato attraverso differenti
definizioni:
a) fino al
1956 come 1/86400 del giorno solare medio;
b) dal 1956
al 1967 come 1/31 556 925,9747 dell’anno tropico;
c) dal 1967
come la durata di 9 192 631 770 oscillazioni di radiazioni corrispondente alla
frequenza di risonanza di transizione fra due livelli superfini dello stato
fondamentale dell’atomo del cesio 133. La misura atomica ha svincolato per la
prima volta l’unità di tempo dal moto rotatorio della Terra ed ha anzi permesso
di scoprire che quest’ultimo rallenta di 0,0023 secondi al secolo (Bakulin,
Kononovic, Moroz 1984, pp. 130-132).
Recentemente
sono stati messi in commercio orologi al quarzo in grado di sincronizzarsi
automaticamente via radio a scadenze fisse con orologi atomici, dei quali,
ovviamente, acquisiscono così l’estrema precisione e dei quali in pratica
diventano veri e propri terminali. In Europa l’orologio campione al cesio si
trova all’Istituto Federale Tedesco di Fisica Tecnica a Braunschweig; il
segnale viene portato via cavo alla stazione radio DCF 77 di Mainflingen,
presso Frankfurt am Main, dalla quale viene trasmesso sulla frequenza di kHz
77,5: tutti gli orologi che si trovano entro un raggio di km. 1500 lo ricevono
automaticamente ogni ora e si sincronizzano. L’errore dichiarato dalle ditte
costruttrici è di 0,0000000027 secondi al giorno, pari ad un secondo ogni
1.014.018,81005 anni. La precisione è dunque enorme e se si considera che il
costo di tali orologi si aggira intorno alle £ 50.000 (per i modelli a sveglia;
da £ 250.000 per quelli da polso) è evidente che è questo il cronometro
astronomico da usare. E’ consigliabile acquistare modelli dotati di apposito
pulsante che consente di sintonizzare volutamente l’apparecchio sul segnale
orario anche fuori delle scadenze previste, perché talora la ricezione
automatica non avviene bene per disturbi atmosferici o schermature (cosa che
viene generalmente segnalata da apposito simbolo): con il dispositivo di
sintonizzazione a pulsante si può ovviare all’inconveniente in qualsiasi
momento.
Circa le
paline, livelle, fili a piombo e nastri metrici valgono le seguenti
considerazioni. Le paline sono in genere fornite con il teodolite. E’ bene
scegliere i modelli avvitabili una sull’altra (anche se più pesanti), in
maniera tale da ottenere, se necessario, una palina molto alta, utilissima in
presenza di folta vegetazione. Occorre prestare molta attenzione a non
deformarle, pena irrimediabili errori di verticalità.
Le livelle
devono essere del tipo torico, per la ben maggiore precisione di cui si è detto
sopra. Solo qualche circostanza impone la livella sferica, meno precisa. Da
proscrivere le livelle cilindriche da muratore.
Invece i fili
a piombo possono anche essere fatti artigianalmente con lenza e piombi
affusolati da pesca: ciò perché in determinate circostanze il classico
strumento dell’edilizia risulta troppo ingombrante. E’ bene comunque averne di
varie lunghezze, dimensioni e peso.
I nastri
metrici - di lunghezza dal singolo metro al doppio decametro ed oltre - è
preferibile siano di metallo, perché quelli in fibra o plastica si deformano
facilmente alterando anche di molto le misure. L’eventuale conoscenza del
coefficiente di dilatazione del metallo usato consente precisioni ancora
maggiori.
In
archeoastronomia possono risultare utili le unità di misura anglosassone.
Il barometro
ed il termometro sono necessari perché la pressione atmosferica e la
temperatura entrano nel calcolo della rifrazione, a sua volta componente la
formula per in calcolo dell’altezza vera hv dall’altezza osservata (detta
anche: misurata) ho. Possono essere di qualunque tipo, purché precisi; ideali
quelli digitali che consentono letture di singoli millibars e di frazioni di
gradi centigradi. Devono però essere sempre periodicamente verificati, e
possibilmente ogni volta prima della campagna di misurazione, con i
corrispondenti apparecchi a mercurio, i quali - scomodi, ingombranti e fragili
da trasportare - sono però per principio sempre esatti (oppure visibilmente
rotti). Sono quindi da utilizzare in laboratorio per tarare gli strumenti di
trasporto. In ogni caso la misura del barometro torricelliano a mercurio va
corretta per la temperatura, la gravità e l’altezza sul livello del mare
secondo quanto indicato dalla tavola 13 delle Tavole Nautiche dell’Istituto
Idrografico della Marina Militare Italiana (I.I.M.).Si tenga in ogni caso
presente che le correzioni per la pressione barometrica e la temperatura
influenzano poco la rifrazione atmosferica; si apportano perché, come già
detto, la sommatoria di piccoli errori può comportare alla fine un grande
errore non riconoscibile, l’unico modo di evitare il quale è il massimo
contenimento possibile di tale sommatoria: considerato che, per quanta
precisione si adoperi, le misure sono comunque sempre affette da una certa
quantità di errori ineliminabili, è bene non aggiungere a questi ultimi quelli
che possono essere evitati.
Le effemeridi
sono tavole contenenti una serie di dati, validi per il solo anno di
pubblicazione, relativi a corpi celesti. Ve ne sono in commercio parecchie. Le
più importanti sono “La conaissance des temps” francesi e “The American
ephemeris” americane; facilmente reperibili in Italia sono l’”Almanacco di
Astronomia UAI” ed. Biroma e l’”Almanacco astronomico” ed. Hoepli.
Personalmente ritengo particolarmente adatte per l’uso archeoastronomico le
“Effemeridi Nautiche” (EN) dell’Istituto Idrografico della Marina
Militare italiana (I.I.M.): perché concepite per lo stesso tipo di astronomia
di posizione degli astri più visibili; perché tabulate con le posizioni di
Sole, Luna e pianeti visibili di ora in ora per ogni giorno dell’anno e perché
dotate di agili tavole di interpolazione. Esse semplificano al massimo i
calcoli.
Le tavole di
rifrazione sono praticamente l’unico sistema sicuro per calcolare la rifrazione
atmosferica nelle condizioni più frequentemente richieste in archeoastronomia:
a bassa altezza sull’orizzonte. La rifrazione costituisce uno dei maggiori
problemi dell’astronomia sferica. Essa consiste nella deviazione del raggio di
luce proveniente dall’astro mano a mano che attraversa i vari strati
dell’atmosfera, a causa delle loro diverse densità e temperatura: il raggio
incidente si trasforma in raggio rifratto che fa apparire l’astro più alto di
quanto esso effettivamente sia; il suo valore perciò deve essere sottratto
all’altezza osservata. La rifrazione è nulla allo zenit e massima
all’orizzonte. A partire da altezze sull’orizzonte superiori a 10°-15°
(corrispondenti a distanze zenitali di 75°-80°) esistono numerose formule che
consentono di calcolarla con buona approssimazione, ma ad altezze minori, dove
si situa la maggior parte degli astri studiati dall’archeoastronomia, nessuna
formula offre risultati attendibili. Occorre perciò ricorrere a tavole di
rifrazione calcolate empiricamente. Le principali effemeridi straniere le
contengono. In italiano esse si trovano nella tavola n. 22 delle Tavole
Nautiche dell’I.I.M. Questa tavola è divisa in tre tabelle: la prima è quella
della rifrazione media, la seconda quella della correzione da apportare alla
prima in funzione della temperatura e la terza quella della correzione da
apportare al risultato delle altre due in funzione della pressione atmosferica.
Le Tavole
Nautiche dell’I.I.M. sono un’utile raccolta di tavole pre-calcolate per la
risoluzione rapida di numerosi problemi di astronomia nautica. Quelle che
interessano maggiormente l’archeoastronomo sono:
la n. 06
(distanza dell’orizzonte apparente;
la n. 13
(riduzioni da apportare alle letture barometriche);
la n. 17
(amplitudini);
la n. 18
(tavole A B C per il calcolo dell’azimut);
la n. 21
(depressione dell’orizzonte), benché data l’elevazione dell’occhio considerata
fino ad un massimo di m. 50 s.l.m.siano di solito più utilizzate le apposite
formule;
la n. 22
(rifrazione media);
la n. 23
(semidiametro del Sole e della Luna), ormai poco utilizzata perché il medesimo
dato è tabulato giorno per giorno nelle Effemeridi Nautiche;
la n. 24
(parallasse di Sole, Luna e pianeti) (come sopra);
la n. 25
(conversione di intervalli di tempo medio in siderale);
la n. 28
(conversione di millimetri di mercurio in millibars), utilizzata nella taratura
del barometro digitale o aneroide con quello a mercurio.
Dato il loro
basso costo e la loro notevole utilità sono senz’altro da utilizzare.
Le carte
topografiche sono indispensabili per la determinazione delle tre coordinate
geografiche - latitudine, longitudine e quota sul livello del mare - necessarie
per i calcoli astronomici. Si usano comunemente quelle edite dall’Istituto
Geografico Militare Italiano I.G.M. e dalle singole Amministrazioni Regionali
(cosiddette Carte Tecniche Regionali C.T.R.); per particolari scopi si
utilizzano quelle edite dall’I.I.M. e dal Servizio Geologico Italiano S.G.I.;
tutte le altre non sono sufficientemente affidabili per gli scopi del rilievo
archeoastronomico.
Esse devono
essere a grandissima (1:5.000; 1:10.000) o al massimo a grande (1:25.000;
1:50.000; 1:100.000) scala. Ricordo che una scala cartografica è tanto più
grande quanto più piccolo è il suo denominatore perché tanto più grande è la
rappresentazione cartografica. Per esempio, nella scala 1:5.000, cm.1 misurati
sulla carta corrispondono a m. 50 sul terreno; in quella 1:25.000, cm. 1 sulla
carta a m. 250 sul terreno, e così via. Le formule per i calcoli relativi sono
le seguenti:
L = ls;
l = L/s;
s = L/l
dove:
L: distanza
sul terreno; l: distanza sulla carta; s: denominatore della scala.
Mentre la
determinazione di quota si ricava con una lettura diretta delle curve di
livello (isoipse), quella di longitudine e latitudine si ricava da due
proporzioni, che saranno oggetto di un futuro lavoro specifico. Qui mi limito a
dire che l’operazione deve essere eseguita con la massima accuratezza perché
gli eventuali errori si ripercuotono poi nei calcoli.
Un
particolare problema è posto dalle differenti coordinate di M. Mario da
Greenwich. Infatti nella vecchia cartografia I.G.M. (ed in quella S.G.I.) la
longitudine del suolo italiano è purtroppo contata da questa località, della
quale è data, a sua volta, la longitudine da Greenwich; occorre perciò
calcolare prima quella del sito da M. Mario e sottrarla o addizionarla poi a
quella di M. Mario da Greenwich a seconda che il sito si trovi,
rispettivamente, a W o a E di M. Mario: la somma algebrica dei due valori da la
longitudine del sito da Greenwich.
Occorre
prestare attenzione ai differenti valori riportati di latitudine e longitudine
di M. Mario da Greenwich:
a)
F. Zagar nel suo trattato “Astronomia sferica e teorica” del 1948
(Zagar 1984, p. 479) le valuta in Lat. 41°55’25,5”N e Long. 12°27’08,1”E;
b)
la vecchia cartografia I.G.M. (anteriore circa al 1950), comprendente
anche i “fogli” 1:100.000, riporta il solo valore di Long. 12°27’08,40”E;
c)
la nuova cartografia I.G.M. (posteriore circa al 1950), comprendente i
nuovi “fogli” 1:50.000 e le nuove “sezioni” 1:25.000, riporta sui margini delle
carte direttamente la longitudine da Greenwich (come fanno anche le C.T.R. e
quelle I.I.M.) e dà in un apposito box le coordinate di M. Mario: Lat.
41°55’31,49”N, Long. 12°27’10, 93”E.
Come si vede
i valori differiscono, seppure di poco, tra loro. Ciò è dovuto ai progressi
delle moderne tecniche di rilevamento geodetico.
Un ulteriore
problema è dato dalla differenza di coordinate che risultano dai calcoli
relativi, rispettivamente, alle carte I.G.M. e C.T.R.
Stanti tutte
queste differenze, conviene nei calcoli attenersi ai valori per i quali la
carta è stata “costruita” e che in essa sono riportati.
Per
approfondimenti sull’uso della cartografia si vedano: Cecioni 1987; Corbellini
1985; Maddalena 1988; Sestini 1984.
Per
l’esecuzione dei calcoli si può usare sia un software adatto, sia una
calcolatrice scientifica. Il software deve essere creato ad hoc dallo studioso
applicando tutte le formule ed il rigore di calcolo necessari. Come si vedrà
più avanti nella parte specifica ed in prossimi lavori, in archeoastronomia si
richiedono procedure di calcolo molto precise e non sempre comuni, che
generalmente nei prodotti commerciali, pur visivamente accattivanti, non sono
interamente rispettate (quanti di questi, per es., tengono conto dell’esatta
equazione del tempo, della variazione secolare dell’obliquità
dell’eclittica, della depressione dell’orizzonte, dell’esatto valore della
rifrazione, ecc.?). Le procedure riportate nei trattati di astronomia citati in
bibliografia (dai quali quelle qui di seguito esposte sono tratte) sono quelle
che offrono le maggiori garanzie di precisione. Un testo particolarmente adatto
per la compilazione di un preciso software di calcolo è Meeus 1990.
La
calcolatrice scientifica deve essere in grado di utilizzare le funzioni
trigonometriche e di calcolare arcoseni, arcocoseni ed arcotangenti. E’ opportuno,
inoltre, che sia in grado di trasformare i valori decimali in sessagesimali e
viceversa, per evitare di dover ricorrere alle relative formule di
trasformazione (indispensabili, invece, per trasformare i valori in gradi
quattrocentesimali e viceversa); è altrettanto opportuno che possieda qualche
memoria per semplificare i calcoli iterativi dove gli stessi valori (per es. la
latitudine) ricorrono più volte. Una calcolatrice di tal fatta costa circa £
20.000-40.000. I costi salgono a circa £ 100.000 per una calcolatrice
programmabile, nella quale le sequenze di calcoli possono essere interamente
programmate, ed a £ 200.000 per i modelli con grafica e possibilità di
connessione con personal computer.
Bussola e
altimetro non sono indispensabili ma molto utili. La bussola deve consentire la
lettura diretta di 1°, con stima esatta dei 30’ ed approssimativa dei 15’. Ciò
si ottiene con i modelli prismatici o a microscopio. La bussola si utilizza nei
surveys per una prima, approssimata valutazione degli allineamenti (da
verificare poi comunque con teodolite o squadro sferico graduato) insieme
all’inclinometro. Essa trova impiego principalmente in tre circostanze:
a)
nel survey su territori vasti, accidentati e boscosi per il suo peso ed
ingombro ridottissimi;
b)
su manufatti all’interno di boschi troppo fitti per consentire la
visuale del Sole (in tal caso si dovrà verificare sul campo la declinazione
magnetica, come descritto in Codebò 1997, pp. 323-328; Maddalena 1988, pp.
87-88);
c)
nelle normali operazioni di rilievo astronomico, per una prima
grossolana misurazione dell’azimut, indicativa di quello che si troverà con il
calcolo.
Talune bussole prismatiche possono essere montate su cavalletti e sono
dotate di livella sferica per una maggiore precisione. In tal caso occorre
accertarsi che il cavalletto sia amagnetico oppure tenere conto della
deviazione magnetica da esso indotta.
Per l’uso
della bussola nel rilevamento archeoastronomico si veda in Tusa, Foderà Serio,
Hoskin 1992, pp. S15-S20; Foderà Serio, Hoskin, Ventura 1992, pp. 107-119. Per
una più dettagliata descrizione di un corretto uso della bussola in
archeoastronomia si veda in Codebò 1977, pp. 323-335.
L’altimetro
altro non è che un barometro con una particolare scala di altitudine. Le misure
che fornisce sono in genere grossolane ed indicative, utilissime in
escursionismo ed alpinismo ma non in archeoastronomia. Si tenga presente però
che non sempre si riesce a determinare con precisione sulla carta l’ubicazione
e/o la quota di un sito. In questi casi lo strumento, opportunamente usato da
solo od in coppia con la bussola (Alletto 1982, pp. 59-61, 82-86; Corbellini
1985, pp. 137-141; Maddalena 1988, 105-108) può rendere preziosi servigi, come
si è verificato recentemente nella determinazione delle coordinate geografiche
della strada a tecnica megalitica del M. Bèigua (Michelini, Codebò c.s. I).
Maggiore precisione a questo scopo si ottiene con le procedure della
“livellazione barometrica” (Gasparelli 1990, pp. 221-223).
L’esatta
determinazione delle coordinate geografiche, fondamentale in archeoastronomia,
può giustificare in alcuni casi l’uso del GPS o di metodi astronomici. Il primo
è uno strumento che determina automaticamente la propria posizione in funzione
di una rete di satelliti orbitanti attorno al globo; il suo uso è semplicissimo
ed immediato; purtroppo la sua precisione nominale di ± m.15 può venire
deteriorata fino a ± m.100 da disturbi deliberatamente indotti nella rete
satellitare per motivi militari. I secondi sono basati sul rilievo del passaggio
in meridiano di un astro noto (Flora 1987, pp. 329-381; Lenzi 1967, pp. 49-68)
o sulle rette d’altezza (Flora 1987, pp. 406-494; Lenzi 1967, pp. 69-95;
Mannella 1973, pp. 65-125): sono notevolmente precise, ma di complessa
applicazione; tuttavia in determinati casi possono risultare indispensabili.
Parte III: procedure di calcolo.
Vengono qui
di seguito date, con esempi numerici, due fondamentali sequenze di formule che
consentono di determinare l’azimut astronomico A di un allineamento e la
declinazione decl dell’eventuale astro ad esso corrispondente, essendo noti:
1) le
coordinate geografiche latitudine , longitudine , quota sul livello del mare;
2) l’angolo a
tra l’allineamento e l’astro (generalmente il Sole) in quell’istante tm di quel
giorno di quell’anno.
Le formule
che seguono valgono per il Sole. Per gli altri astri occorrono alcune modifiche
che in questo lavoro non prenderemo in considerazione.
Le coordinate
geografiche si ricavano con il metodo accennato alla voce carte topografiche o con
quelli del passaggio in meridiano di un astro (detti anche a coordinate
separate), delle rette d’altezza, dell’uso del GPS.
L’angolo a si
misura con il teodolite e le paline, avendo cura di porre correttamente in
stazione il primo come descritto e di rendere verticali le seconde con l’uso
del filo a piombo e della livella torica. L’istante preciso del passaggio del
centro dell’astro al reticolo del teodolite (o alla fessura dello squadro
sferico graduato) si registra con il cronometro astronomico.
In taluni
casi - come nell’esempio numerico che segue - si devono misurare le distanze
tra le singole paline e tra esse ed il teodolite; ciò si fa con i nastri
metrici metallici.
Con barometro
e termometro, preventivamente tarati sui corrispondenti strumenti a mercurio,
si misurano pressione atmosferica Pa e temperatura TC° nel momento in cui si
eseguono le operazioni.
I valori
tabulari si desumono dalle Effemeridi in corso: nell’esempio che segue sono
state utilizzate quelle pubblicate dall’I.I.M. Perciò le sigle usate sono
quelle proprie di tale almanacco.
Le procedure
di calcolo sono desunte dai seguenti testi: Flora 1987; Romano 1992; Smart
1977.
Per le
correzioni da apportare al barometro a mercurio e per la rifrazione atmosferica
mi sono avvalso, rispettivamente, delle tavole 13 e 22 contenute nel volume
Tavole Nautiche.
Le
abbreviazioni, i simboli e le sigle usate sono le seguenti:
sen: seno;
cos: coseno;
tan: tangente;
tm: tempo medio del luogo di osservazione, ovvero
sua ora civile (la comune ora segnata dall’orologio);
Tm: tempo medio di Greenwich, ovvero sua ora civile
(altrimenti detto UT e, meno correttamente, GMT);
tv: tempo vero, ossia angolo orario del centro
dell’astro contato a partire dal meridiano superiore dell’osservatore verso W.
Il meridiano superiore è quel meridiano che comprende un polo del l’equatore e
lo zenit dell’osservatore. Il meridiano inferiore è quello che contiene l’altro
polo dell’equatore ed il nadir dell’osservatore;
Tv: il tempo vero al meridiano di Greenwich;
H: angolo orario, ossia tv, dell’astro;
A: azimut;
lat: latitudine;
long: longitudine;
decl: declinazione;
ET: equazione del tempo, ossia differenza algebrica
tra il tempo vero ed il simultaneo tempo medio (o viceversa, con relativo
cambiamento di segno algebrico): ET = tv - tm (oppure: ET = tm - tv);
hv: altezza vera dell’astro;
ho: altezza misurata (altrimenti detta osservata)
dell’astro;
R: rifrazione atmosferica;
e: altezza sul livello del mare dell’occhio
dell’osservatore;
i: depressione dell’orizzonte; per calcolarla qui è
usata la formula: i = 0,03 √e;
p: parallasse. Quella del Sole vale, al 2000.0,
mediamente 0°00’08,794148”. Quella Lunare vale 0°57’02,7” quando la Luna è
all’orizzonte astronomico e 0°57’02,7”cos ho quando la Luna è sopra di esso di una
quantità ho (misurabile con il cerchio zenitale del teodolite, o con
l’inclinometro o con il sestante). Quella delle stelle è evanescente. La
parallasse di Sole, Luna e pianeti può anche essere ricavata dalla tavola 24
delle Tavole Nautiche. Nelle Effemeridi Nautiche quella lunare è data di ora in
ora;
Sd: semidiametro di un astro. Vale praticamente solo
per Sole e Luna, che si presentano visivamente come dischi. Nelle Effemeridi
Nautiche è dato: giornalmente per la Luna e per il giorno intermedio di ogni
pagina per il Sole; in entrambi i casi è sempre riferito alle ore Tm 00.00.00.
Lo si può ricavare anche dalla tavola 23 delle Tavole Nautiche. Il semidiametro
solare vale mediamente 0°16’01”; quello Lunare mediamente 0°15’42,5”.
z: distanza zenitale. E’ l’inverso dell’altezza;
perciò vale z = 90° - h;
E: obliquità (angolare) dell’eclittica;
pmb: pressione atmosferica in millibars;
pmmHg: pressione atmosferica in millimetri di
mercurio. Le relazioni che legano tra loro queste due ultime grandezze sono le seguenti:
pmb = pmmHg 3/4; pmmHg = pmb 4/3;
Im: intervallo medio;
Iv: intervallo vero;
pp: parti proporzionali;
d: differenza oraria della declinazione (con il suo
segno);
Questi ultimi quattro segni sono adottati nelle
Effemeridi Nautiche per le interpolazioni con le apposite tabelle annesse.
1) metodo nautico (utilizzando le
Effemeridi Nautiche EM)
a) Si trasforma il tm in Tm
sottraendo o aggiungendo al tm l’ora del fuso orario locale a seconda,
rispettivamente, se questo è a E o a W di Greenwich:
Tm =
tm ± ora del fuso orario locale (- se ad E di Greenwich; + se ad W);
b) trasformato il tm in Tm, si trascurano
momentaneamente i minuti ed i secondi (che in questa circostanza prendono il
nome di Im1) e per il solo valore delle ore si cerca nella colonna T delle EN
il corrispondente valore espresso in gradi sessagesimali: questo è il Tv1.
Nelle pagine gialle delle EN si cerca poi quello corrispondente ai minuti di
Im1 e nella colonna secondi, in corrispondenza ai secondi di Im1, si trova,
nella colonna intestata “Sole e pianeti” (se si utilizzano questi. Se si
utilizza la Luna si cerca nella colonna intestata “Luna”. Se si utilizza il
tempo siderale, si cerca nella colonna intestata con il simbolo astrologico
dell’ariete. Qui di seguito si considererà e si utilizzerà sempre e soltanto il
Sole) un valore in gradi, primi e decimi di primo sessagesimali (si rammenti
che per trasformare un decimo di primo in secondi basta moltiplicarlo per 6).
Questo valore si chiama Iv ed è il corrispettivo in gradi sessagesimali dei
minuti e secondi di Im1. Il Tv1 corrispondente alle Sole ore di Tm si somma
all’Iv e si trova il Tv2 complessivo. In definitiva, con questa operazione solo
apparentemente complessa si è effettuata in maniera semplice un’interpolazione;
2) al Tv si somma la
longitudine long. del sito con il suo segno: in astronomia nautica la
longitudine si considera positiva ad E e negativa ad W. Si ottiene così il tv:
tv = Tv ± long.
Si vedrà che nel secondo metodo si considera la
longitudine all’opposto: negativa ad E e positiva ad W. Comunque dalla metà
degli anni ‘80 in sede internazionale è stata presa la decisione di considerare
il segno della longitudine come nella nautica, ma nelle formule occorre
utilizzare il segno per il quale esse sono state al loro tempo predisposte.
Nell’effettuare questi calcoli conviene innanzitutto
trasformare tutti i valori orari o sessagesimali nei corrispettivi valori
decimali. Per far ciò si dividono i secondi (sia di tempo che di grado) per 60
e si ottengono parti decimali di primo; poi si dividono i primi e le parti
decimali già ottenute per 60 e si ottengono parti decimali di ore o di gradi.
Es. 1: convertire 20°12’47” in parti decimali:
47”/60=0,78(3)
12,78(3)’/60=0,2130(5)
risultato: 20,2130(5)°
Es. 2: convertire in parti decimali l’orario 4h 56m
37s (4 ore, 56 minuti, 37 secondi):
37/60=0,61(6)
56,61(6)/60=0,9436(1)
risultato: ore 4,9436(1)
Per trasformare i valori decimali in sessagesimali
od orari si procede come sopra, ma moltiplicando per 60.
Es. 3: convertire 20,2130(5)° in gradi
sessagesimali:
0,2130(5)° x 60 = 12,78(3)’
0,78(3)’ x 60 = 46,(9)”
risultato: 20°12’47”
Es. 4: convertire l’orario 4,9436(1) ore in ore,
minuti e secondi:
0,9436(1) x 60 = 56,61(6) minuti
0,61(6) x 60 = 36,(9) secondi
risultato: 4h 56m 37s.
Inoltre se le coordinate sono date in valori
differenti (in genere la longitudine in valori orari e la latitudine in valori
sessagesimali) occorre necessariamente trasformarle in un’unica unità di
misura oraria o sessagesimale e poi decimale. Di solito conviene di più
trasformare le coordinate orarie in sessagesimali. Per far ciò basta
moltiplicare il valore orario decimale per 15. All’opposto, per trasformare i
valori sessagesimali decimali in orari basta dividerli per 15.
Es. 5: trasformare l’orario 4h 56m 37s in gradi
sessagesimali:
4h 56m 37s = 4,9436(1) x 15 = 74,1541666667° =
74°09’15”.
Es. 6: trasformare 74°09’15” in ore, minuti e
secondi:
74°09’15” = 74,1541666667 / 15 = 4,9436(1) = 4h 56m
37s.
Si rammenti che le calcolatrici scientifiche
trasformano automaticamente i valori orari e sessagesimali in decimali, perché
internamente eseguono i calcoli sempre con tale formato.
3) Si calcola ora la declinazione decl. Nelle EN di
fronte al valore Tv1 nella colonna intestata Decl. si trova il valore della
declinazione oraria “decl 1”, che può essere S o N. Il solo valore dei minuti,
arrotondato dei secondi per difetto, costituisce l’Im2a. In fondo alla colonna,
a pie’ di pagina, si trova la sigla d seguita da un valore numerico molto basso
preceduto da suo segno algebrico; per il Sole esso oscilla tra d+1.0 e d-1.0.
Nella pagina gialla corrispondente al valore di Im2a nelle colonne v/d si cerca
il valore numerico di d: di fronte ad esso, nella colonna pp (parti
proporzionali) si trova un valore in primi e decimi di primo sessagesimali. Il
valore pp si somma algebricamente con il segno di d a “decl 1”. Si considera
ora il solo valore dei minuti arrotondato dei secondi per eccesso (ossia un
minuto in più del valore di Im2a). Nella pagina gialla del suo valore si cerca
nella colonna v/d il corrispondente valore di pp; se esso è uguale a quello
trovato per Im2a lo si trascura; se è diverso si fa la media tra i due valori e
la si somma a w1 con il segno di d. Si ottiene così la declinazione dell’astro
in quel particolare momento di Tm in ore, minuti e secondi. Anche in questo
caso, come già per il Tv di cui al punto 2), si è eseguita in modo semplice
un’interpolazione.
4) A questo punto si calcola l’altezza h dell’astro
con la formula:
sen
h = sen decl x sen lat + cos decl x cos lat x cos tv
Dal seno di decl si risale al valore di decl in
gradi, primi e secondi sessagesimali nelle tavole delle funzioni
trigonometriche e dei logaritmi, seguendone le istruzioni annesse. Con le
calcolatrici scientifiche è sufficiente impostare davanti al valore di senh la
funzione arcoseno, spesso indicata impropriamente con la sigla: sen elevato
alla -1 (che a rigore esprime il reciproco del seno, ossia la cosecante).
5) Si calcola l’azimut As
del Sole:
cos As = (sen decl - sen lat x sen hs) / (cos
lat cos hs).
Si ricava As con le tavole delle funzioni
trigonometriche o con la funzione arcoseno. Se il tv (del punto 3) è <180°
allora As è quello trovato con la formula sopra indicata; se il tv è >180°
allora As=360°-As.
6) Si calcola l’azimut A dell’allineamento
sottraendo all’azimut del Sole As l’angolo a misurato con il teodolite o con lo
squadro sferico:A = As - a.
Nel caso del dolmen di Borgio Verezzi è stato
ovviamente necessario sottrarre da As sia l’angolo a’ che l’angolo a.
7) A questo punto si deve calcolare l’altezza vera
hv dell’astro (qui il Sole) rispetto alla ho misurata con il cerchio zenitale
del teodolite o con l’inclinometro. Infatti l’altezza vera hv differisce da
quella misurata per un considerevole numero di parametri: la rifrazione, la
depressione dell’orizzonte, la parallasse, il semidiametro (altrimenti detto
raggio angolare).
La rifrazione R è il fattore più importante e va
sempre calcolata. La sua misura costituisce uno dei capitoli più complessi
dell’astronomia sferica poiché essa dipende dalle condizioni fisiche -
temperatura, pressione, umidità, ecc. - di tutti gli strati d’aria che il
raggio di luce attraversa dalla stratosfera fino al suolo, trasformandosi da
raggio incidente in raggio rifratto. Quest’ultimo pone l’immagine visiva
dell’astro sempre più in alto di quanto esso si trovi fisicamente nella realtà;
per es. all’alba l’immagine del Sole sull’orizzonte astronomico è già visibile
alcuni minuti prima del suo effettivo sorgere ed al tramonto è ancora visibile
per alcuni minuti dopo che è effettivamente tramontato. La rifrazione è nulla
allo zenit e massima all’orizzonte astronomico: diminuisce, quindi, con
l’aumentare dell’altezza h sull’orizzonte astronomico o - che è lo stesso - con
il diminuire della distanza zenitale z [la relazione che lega h e z tra loro è
la seguente:
z =
90° - (± h)
dove l’altezza è considerata positiva se l’astro è
sopra l’orizzonte e negativa se è sotto di esso]. Per altezze di astri >15°
(ossia per distanze zenitali <85°) si usano numerose formule che integrano
tra loro vari fattori (fra cui pressione atmosferica, temperatura e indice di
rifrazione dell’aria misurate nel luogo di osservazione, distanza zenitale,
ecc.) con sufficiente precisione, ma per altezze inferiori a 15° (ossia
distanze zenitali 85°) nessuna formula dà risultati attendibili ed
occorre perciò utilizzare apposite tabelle, costruite sulla base di
osservazioni empiriche. Esse sono generalmente inserite alle principali
effemeridi (Conaissance de Temps, American Nautical Almanac, ecc.), ma non in
quelle dell’I.I.M.. Quest’ultimo le pubblica invece nelle sue Tavole Nautiche
alla tavola n. 22, nella quale al valore della rifrazione media occorre
apportare le due correzioni per la temperatura prima e per la pressione
barometrica poi, entrambe misurate nel luogo di osservazione. Per un’esauriente
discussione del problema della rifrazione atmosferica si veda in AA.VV.
1976-1987, vol. III parte I, pp. 514-516; Flora 1987, cap. XIII; Lenzi 1967,
pp.24-26; Smart 1977, cap. III; Zagar 1984, cap.10.
La depressione dell’orizzonte i è data dalla formula
0,03 x √e
dove e è l’altezza in metri sul livello del mare del
luogo di osservazione, alla quale, per una maggiore precisione, si può
aggiungere anche l’altezza dell’occhio dell’osservatore. Per approfondimenti
sulla teoria della depressione dell’orizzonte si veda Flora 1987, cap. XIII.
Si badi bene che la formula per il calcolo dell’ho
non si riferisce più all’astro che abbiamo testè misurato con il teodolite ed
il cronometro astronomico, ma all’astro incognito verso il quale reputiamo che
il monumento archeologico sia orientato.Se supponiamo che esso sia diretto
verso una stella e comunque per una prima approssimazione questi tre parametri
sono sufficienti.
Se il calcolo eseguito ci fa supporre trattarsi di
un pianeta visibile ad occhio nudo occorre aggiungere anche la parallasse p
secondo la tavola 24 delle Tavole nautiche. Se, infine, abbiamo ragione di
credere trattarsi del Sole o della Luna occorre introdurre nella formula anche
i valori di parallasse e semidiametro: questi due astri, infatti, non appaiono
puntiformi come le stelle e i pianeti, ma presentano entrambi l’immagine di un
disco che ha un’ampiezza di circa mezzo grado. La parallasse va aggiunta nella
formula. Quella del Sole è molto piccola, essendo il suo valore
p Sole 2000.0 = 0°00’08,794148”
ed è pressoché costante, data la sua grande distanza
dalla terra; quella della Luna è maggiore e varia a seconda dell’altezza del
satellite sull’orizzonte astronomico. Se la Luna ha h=0°, ossia è al suo
sorgere o tramontare sull’orizzonte astronomico, il valore della sua parallasse
è
p Luna = 0°57’02,7”;
se il satellite ha una qualche altezza ho≠0°00’00”
il valore della sua parallasse è dato dalla formula:
p
Luna = 0°57’02,7” x cos ho.
Attenzione! Le EN danno la parallasse Lunare di ora
in ora per ogni giorno dell’anno, ma questi valori servono solo nel caso che la
Luna sia l’astro di cui abbiamo misurato con il teodolite l’angolo a dall’allineamento
delle paline e non quando essa è l’astro ignoto verso il quale supponiamo che
l’allineamento sia puntato: infatti in quest’ultimo caso noi ignoriamo
completamente la data e l’ora in cui essa si allineava con il monumento; perciò
la parallasse Lunare p da introdurre nella formula è solo quella calcolata con
l’espressione sopra riportata. Per un’esauriente disamina della parallasse si
veda in AA.VV. 1976-1987, pp.516-517, 528-529; Flora 1987, cap. XIII; Lenzi
1967, p. 23; Smart 1977, cap. IX; Zagar 1984, cap.IX.
Il semidiametro Sd o raggio angolare è la metà della
misura apparente del disco visibile del Sole e della Luna. Esso varia in
funzione diretta della distanza della terra dai due astri, perciò quello del
Sole varia in un ciclo di 365 giorni, mentre quello della Luna in un mese
sinodico. La tavola 23 delle Tavole Nautiche consente di calcolarlo in funzione
dell’altezza apparente o istrumentale (equivalente alla nostra ho) misurata con
il sestante, alla quale vanno apportate le correzioni d’indice e istrumentale
che non si applicano con le misurazioni al teodolite. Le EN riportano
direttamente giorno per giorno i valori del semidiametro Lunare e solare; ma,
come detto per la parallasse e per la medesima ragione, conviene inserire nella
formula dell’altezza vera il semidiametro medio. Questo è per il Sole
mediamente 0°16’01” e per la Luna mediamente 0°15’42,5” (Zagar 1984, p. 251).
Il semidiametro va sottratto se si considerano la levata od il tramonto del
lembo superiore del disco apparente del Sole e/o della Luna e va invece sommato
se si considerano la levata od il tramonto del lembo inferiore: personalmente
preferisco la seconda soluzione, perché ritengo più probabile che nella
preistoria si considerasse il disco intero come una vera e propria divinità
piuttosto che il suo primo od ultimo bagliore (Ra ed Aton nella civiltà
egiziana). Per approfondimenti circa il semidiametro ed in generale per la
trasformazione dell’altezza misurata od istrumentale in altezza vera si veda
Flora 1984 capp. Xi-XII-XIII.
In definitiva le formule archeoastronomiche per
trasformare l’altezza misurata ho in altezza vera hv con sufficiente precisione
sono le seguenti:
a)
valida per le stelle ed in prima approssimazione:
hv
= ho - R - (0,03 x √e)
b)
per i pianeti:
hv = ho - R - (0,03 x √e) + (p x cos ho)
c)
per Sole e Luna:
hv = ho - R - (0,03 x √e) + (p x cos ho) ± Sd
8) Infine si calcola la declinazione decl dell’astro
sconosciuto:
sen
decl = sen lat x sen hv + cos lat x cos hv x cos A
se si è misurato l’azimut A da N;
sen
decl = sen lat x sen hv - cos lat x cos hv x cos A
se si è misurato l’azimut A da S;
e con le tavole trigonometriche o con la funzione
arcoseno si ricava decl.
Dal valore numerico della declinazione e dal suo
segno algebrico si deduce di quale astro si tratta. Qui di seguito do i valori
(pressoché uguali sia per l’alba che per il tramonto) che furono maggiormente
oggetto di indagine da parte dell’uomo preistorico.
a)
Sole al 2000.0
21/03 (equinozio di primavera): decl 0°
21/06 (solstizio d’estate): decl +23°26’21,448”
23/09 (equinozio d’autunno): decl 0°
21/12 (solstizio d’inverno): decl -23°26’21,448”
b)
Luna piena intorno ai solstizi ogni 6798 giorni (Meeus 1990, p. 68) o
6793 giorni (Zagar 1984, p. 236, nota 1), pari a 18,61 anni:
21/06 decl +28°35’21,45”’; decl +18°17’21,45”
21/12 decl
-28°35’21,45”; decl -18°17’21,45”
La
declinazione del Sole e della Luna varia nei secoli per effetto della
precessione planetaria che fa aumentare o diminuire l’obliquità dell’eclittica
E di circa 0,47” all’anno, secondo un ciclo plurimilienario mal noto.
Attualmente sta diminuendo.
Una nota
formula per calcolarla, con un errore stimato di 1” dopo ±2000 anni da quello
di partenza e 10” dopo ±4000 anni, è la seguente, dovuta alla International
Astronomical Union (I.A.U.):
E = 23°26’21.448” - 0°00’46,8150” x T - 0°0’00,0059” x
(T)² + 0°00’00,001813” x (T)³.
dove
23°26’21,448” è il valore dell’obliquità dell’eclittica all’anno 2.000 d.C. e T
è il tempo (+ nel futuro e – nel passato) in secoli giuliani di 36525 giorni
dal 2.000 d.C.
Ben più
precisa – con un errore stimato di 0,01” dopo 1000 anni e di pochi secondi dopo
±10000 anni da quello di partenza - è la formula di Laskar:
E =
23°26’21,448”-0°00’4680,93”U-0°00’01,55”(U)2+0°00’1999,25”(U)3-0°00’51,38”(U)4-0°00'249,67”(U)5-0°00’39,05”(U)6+0°00’07,12”(U)7+0°00’27,87”(U)8+0°00’05,79”(U)9+0°00’02,45”(U)10
dove U è il
tempo (+ nel futuro e – nel passato) in unità di 10000 anni giuliani dal
2000.0, pari a T/100 (Meeus 1998, pp. 147-148).
Meno precisa
è:
E =
23°26’21,448” - 0,0130125 x T - 0,00000164 x (T)² + 0,000000503 x (T)³ +
0,00256 x cos (259,18 - 1934,142 x T)
Nell’emisfero
boreale il segno algebrico sarà, ovviamente, + per la declinazione
settentrionale (ossia estiva) e - per quella meridionale (ossia invernale).
L’inverso in quello australe.
Per la Luna
occorre sommare a ±23°26’21,448” il valore dell’obliquità dell’orbita lunare
(che resta costante), pari mediamente a ±5°09’ con il suo segno algebrico.
Per quanto
riguarda le stelle, la loro declinazione è propria per ciascuna e varia
lentamente nel tempo per effetto della precessione degli equinozi e del moto
proprio di ogni stella. Anche in questo caso i calcoli sono validi entro ±
poche migliaia di anni. Per l’identificazione di stelle è conveniente servirsi
di tabelle di coordinate equatoriali aggiornate ogni cinquecento anni: trovata
in esse la stella probabilmente interessata, se ne calcolano con precisione le
coordinate che si verificano con la w trovata con la formula sopra riportata.
Per i calcoli relativi si veda in Meeus 1990, capp. 16 e 17; Smart 1977, capp.
10 e 11; Zagar 1984, capp. VII e XIII.
Infine, circa
i pianeti ricordo che attualmente nell’ambito preistorico europeo e
mediterraneo non si conoscono allineamenti relativi ad essi. Per i
calcoli sul loro moto rinvio direttamente ai testi di astronomia sferica già
citati.
Esempio
numerico
Nell’esempio
numerico che segue, relativo al dolmen di Borgio Verezzi (SV) sul M. Caprazoppa
(Giuggiola 1984, pp. 67-69; Priuli e Pucci 1994, p. 136; Codebò 1997) era
necessario misurare l’angolo a tra
entrambi i lati della costruzione ed il Sole. Ciò fu reso possibile in una sola
battuta (ossia con una sola misurazione angolare) grazie ad una procedura (il cui
algoritmo sintetico è riportato in Codebò 1997) appositamente elaborata da
Mario Monaco, segretario dell’Associazione Astrofili Savonesi, che effettuò la
campagna insieme a me.
Nel caso del
dolmen di Borgio Verezzi (SV), i dati iniziali furono:
giorno
dell’osservazione: 26/12/1994;
ora civile
tm: 12.53.35
latitudine :
44°10’23”N
longitudine
l: 8°18’52”E
e: m. 302,5
s.l.m.
angolo a’: 57°09’40”
angolo a:
48°45’39”
01) Tm
(12.53.35. - 01.00.00) = 11.53.35
02)
Tm 11.00.00 26/12/1994: |
Tv 344°52’42”+ |
Im 00.53.35 : |
Iv 013°23’48”= |
Tv 11.53.35 26/12/1994 |
358°16’30” |
03)
Tv |
358°16’30”
+ |
Long. |
008°18’52”E
= |
tv |
366°35’22”- |
|
360°00’00” |
Tv |
006°35’22” |
poiché il
valore assoluto del tv supera i 360°, ad esso vanno sottratti appunto 360°
04)
decl Sole 26/12/1994 Tm 11.00.00: |
S -23°21’48”+ |
Im 00.53.00 d+0,1 |
pp.
00°00’06”= |
decl Sole 26/12/1994 Tm 11.53: |
-23°21’42” |
(N.B. la declinazione meridionale del Sole, quale si
verifica al solstizio d’inverno, si indica con il suo valore numerico preceduto
dal segno -; al contrario, quella settentrionale, quale si verifica al
solstizio d’estate, si indica con il suo valore numerico preceduto dal segno +.
Ciò convenzionalmente sia nell’emisfero boreale che in quello australe. Perciò
la declinazione del Sole al solstizio invernale dell’anno 2000 d.C. si indica
con: -23°26’21,448”; quella al solstizio estivo si indica con: +23°26’21,448”.
Il valore numerico della declinazione è simile tanto all’alba quanto al
tramonto. Esso varia nel corso dei secoli per effetto della precessione
planetaria che sarà descritta dettagliatamente in un prossimo lavoro).
Decl Sole 26/12/1994 Tm 11.00.00: |
S -23°21’48”+ |
Im 00.54.00 d +0,1: |
pp.
00°00’06”= |
decl Sole 26/12/1994 Tm 11.00: |
-23°21’42” |
quindi:
Decl. Sole 26/12/1996 Tm 11:53:35 = -23°21’42”
05) sen h Sole = sen -23°21’42” x sen 44°10’22” + cos
-23°21’42” x cos 44°10’22” x cos 6°35’22”
h Sole = 22°11’46,06”
06) cos As = (sen
-23°21’42” - sen 44°10’22” x sen 22°11’46,06”) / (cos 44°10’22” x cos
22°11’46,06”)
As = 360° - 173°28’00,67” = 186°31’59,33”
7)
Da questo punto i calcoli si raddoppiano poiché gli
angoli misurati con il teodolite sono due: a’ e a.
A’ allineamento paline’: |
186°31’59,33”- |
angolo a’ |
057°09’40,00”= |
A’ allineamento paline’: |
129°22’19,33” |
A allineamento paline: |
186°31’59,33 ”- |
angolo a |
048°45’39,00”= |
A allineamento paline: |
137°46’20,33” |
8) hv = 0° -
0°36’29” - (0,03 x √302,5) + 0°57’02,7” + 0°15’42”
hv =
0°04’57,31”
(N.B.: in
questa occasione, per un complesso di motivi, non si è corretta la rifrazione
per la temperatura e la pressione barometrica: conviene, invece, farlo sempre.
Inoltre nel calcolo di hv sono stati inseriti subito i dati della parallasse e
del semidiametro lunari: ciò perché vi erano già fondati motivi per ritenere
che fosse proprio la Luna l’astro interessato. Nei casi ignoti conviene seguire
le procedure di approssimazioni successive descritte ai punti 8a e 8c).
9)
sen decl’ = sen 44°10’22” x sen 0°04’57,31” + cos 44°10’22” x cos 0°04’57,31” x
cos 129°22’19,33”
decl’
= -26°59’57,53”
sen
decl = sen 44°10’22” x sen 00°04’57,31” + cos 44°10’22” x cos 00°04’57,31” x
cos 137°46’20,33”
decl = -32°00’43,52”
10) In questo caso è opportuno anche calcolare il
valore dell’azimut medio Am, corrispondente con ottima approssimazione
all’azimut dell’asse medio del vano del dolmen, altrimenti difficilmente
misurabile:
Am = (129°22’19,33” + 137°46’20,33”) / 2 =
133°34’19,83”
cui corrisponde la seguente declinazione media:
sen
decl.m = sen 44°10’22” x sen 00°04’57,31” + cos 44°10’22” x cos 00°04’57,31” x
cos 133°34’19,83”
decl m = -29°33’43,59”
Come vedremo in un prossimo articolo, si può
tentare, con molta prudenza ed incertezza, di determinare l’epoca di erezione
del monumento indagato in base all’obliquità dell’eclittica.
2) metodo del calcolo dell’angolo orario
Con questo metodo si sostituiscono le procedure ed i
calcoli dei punti nn. 1, 2, 3 con una formula che dà direttamente l’angolo
orario H del Sole (essa vale solo per questo astro!) in base al Tm (qui
chiamato Universal Time: UT) di Greenwich, determinato con il cronometro
astronomico, alla longitudine ed all’equazione del tempo ET. Esso si utilizza
tutte le volte in cui non si dispone ditabulazioni di ora in ora per ogni
giorno dell’anno, come solitamente capita con le Effemeridi Astronomiche (a
differenza di quelle Nautiche). La complicazione maggiore è data dalla
necessità di calcolare la declinazione w del Sole nell’istante cronometrato
partendo da un valore tabulato alla sola mezzanotte (ore 0.00.00.) di
Greenwich, anziché a ciascuna ora del giorno. Le Effemeridi Nautiche
semplificano molto i calcoli, riducendo il rischio di errori.
H = (UT - ore 12.00.00)
x 15 - (± long) - (ET x 15).
In questa formula la longitudine long va considerata
positiva (segno +) quando ad W di Greenwich e negativa (segno -) quando ad E.
Una volta calcolato l’angolo orario H del Sole ci si
inserisce nella procedura descritta nel metodo nautico a partire dal punto n.
5), a partire dal quale si procede con le stesse formule.
Esempio numerico
H = (11.53.35 - 12.00.00) x 15 - (-8°18’52”) -
(00.00.30 x 15) H = 6°35’07”
Come si vede, l’angolo orario H del Sole ottenuto
con questa formula differisce di 0°00’15” da quello ottenuto con il metodo
nautico al punto 3). Ciò si verifica spesso utilizzando tabulazioni fra loro
diverse ed in genere è dovuto a differenti arrotondamenti dei valori numerici;
è sempre bene, comunque, risalire, fino a che è possibile, a valori precisi e
concordi. Utilizzando il valore decl = -23°21’42” come dalle Effemeridi
Nautiche (perché non dispongo di altre effemeridi 1994) il calcolo procede come
segue:
5)
sen h = sen -23°21’42” x sen 44°10’22” + cos -23°21’42” x cos 44°10’22” x cos
6°35’07”
h =
22°11’47,29”
6)
cos As = (sen -23°21’42” - sen 44°10’22” x sen 22°11’47,29”) / (cos 44°10’22 x
cos 22°11’47,29”)
As = 360° - 173°28’15,48” = 186°31’44,52”
7)
A’ allineamento paline’: |
186°31’44,52”- |
angolo a’ |
057°09’40,0”= |
A’ allineamento paline’: |
129°22’04,52” |
A allineamento paline |
186°31’44,52”- |
angolo a |
048°45’39,00”= |
A allineamento paline |
137°46’05,52” |
8) hv = 0°00’00” - 0°36’29” - (0,03 x √302,5)
+ 0°57’02,7” + 0°15’42”
hv = 0°04’57,31”
9) sen decl’= sen 44°10’22”
x sen 0°04’57,31” + cos 44°10’22 ” x cos 0°04’57,31” x cos 129°22’04,52”
decl’ = -26°59’48,31”
sen decl = sen 44°10’22” x sen 0°04’57,31” + cos
44°10’22” x cos 0°04’57,31” x cos 137°46’05,52”
decl = -32°00’35,1”
sen decl m = sen 44°10’22” x sen 0°04’57,31” + cos
44°10’22” x cos 0°04’57,31” x cos 133°34’05,02”
decl m =
-29°33’34,74”
Come si vede
risulta alla fine una piccola differenza di pochi arcosecondi tra i valori
ottenuti con il metodo nautico e quelli ottenuti con il metodo dell’angolo
orario: essa è dovuta, come ho detto, fondamentalmente a differenti
arrotondamenti. Ai fini del nostro scopo, se si esclude il tentativo di
determinare l’età del monumento con il metodo dell’obliquità
dell’eclittica, è praticamente ininfluente. Mi riprometto, in ogni caso, di
ritornare in futuro più approfonditamente sull’argomento.
Parte IV: conclusioni.
Nel presente
lavoro ho voluto dare una panoramica generale dei problemi fondamentali, delle
procedure e dei calcoli che si devono affrontare in archeoastronomia. Nei
prossimi lavori mi propongo di entrare più dettagliatamente in ciascun
argomento. In ogni caso i lettori sono già in grado, a questo punto, di
eseguire rilevamenti autonomi.
Parte V: appendice
bibliografica minima ragionata.
Come visione generale dell’archeoastronomia sono
fondamentali ed indispensabili almeno i due seguenti testi: Proverbio 1989;
Romano 1992.
Per l’astronomia sferica, teorica e di posizione e le
relative procedure di calcolo ritengo essere il testo più utile ed accessibile
per le specifiche esigenze dell’archeoastronomia: Flora 1987, perché, in
definitiva, l’archeoastronomia corrisponde all’astronomia visuale diretta della
navigazione, mentre molte parti (problema dei due e dei tre corpi,
determinazione di orbite di corpi del sistema solare, stelle binarie, ecc.)
normalmente trattate nei testi classici di astronomia sferica e teorica - tipo
Smart 1977 e Zagar 1984 - interessano solo marginalmente l’archeoastronomo. In
definitiva, un programma di studio basale di astronomia sferica, teorica e di
posizione, si realizza con Flora 1987, capp. I-IV, VII, IX-X, XII-XIII,
XVI-XVIII e con Smart 1977, capp. I-XI, XV. Per il problema della
determinazione astronomica delle coordinate geografiche di un sito: Flora 1987,
capp. XIX-XXII e Smart 1977, cap. XIII.
Per una
versione aggiornata e semplificata dei calcoli astronomici e per la
compilazione di un programma computerizzato di calcolo, semplice e nello stesso
tempo rigoroso, fondamentali sono: Meeus 1990 e 1998.
Per la teoria
e la pratica degli strumenti di misura (fra cui il teodolite) e per il
trattamento delle misure (teoria degli errori applicata alle misure
topografiche): Bezoari, Monti, Selvini 1989.
Per gli aspetti
archeologici: Camps 1979 e 1982; Cocchi Genick 1983, voll. I e II.
Per l’uso
delle carte topografiche, della bussola, dell’inclinometro e per i problemi
generali di orientamento: Corbellini 1985; Maddalena 1988; Sestini 1984.
Per una
sintesi generale degli studi archeoastronomici anglosassoni: Burl 1993.
Per le
informazioni generali e la rigorosa metodologia di studio, importante è la
lettura dei classici testi di A. Thom, ormai reperibili solo in biblioteche:
(1967) Megalithic sithes in Britain, Oxford Univ. Press;
(1971) Megalithic Lunar observatories, Oxford Univ.
Press;
(1977) La géométrie des alignements de Carnac, Rennes;
(1978) Megalitic remains in Britain and Brittany,
Oxford Univ. Press
(per la
bibliografia completa di Thom si veda nelle bibliografie allegate a Burl 1993,
Hadingham 1975, Proverbio 1989).
Infine sono
indispensabili al ricercatore di archeoastronomia le Effemeridi e le varie
Tabelle ad esse associate.
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