ARCHEOASTRONOMIA LIGUSTICA
Pubblicato in: Atti del V Congresso Nazionale della Società Italiana
di Archeoastronomia, Osservatorio Astronomico di Brera - Milano, 2005, pp. 9-28.
IPOTESI ASTRONOMICA SULLA “STELLA DI BETLEMME” E SULLE ASPETTATIVE
ESCATOLOGICHE COEVE NEL MONDO MEDITERRANEO
Ettore
Bianchi, Mario Codebò, Giuseppe Veneziano
Abstract.
Since about the second century b. C.
to about the second century a. C. several eschatological hopes spread over the
Asiatic, African and European Mediterranean area among Latin, Greek, Jewish,
etc. peoples, sometimes being the cause of rebellions too: peoples were waiting
for a new age!
When Jesus Christ
was born, an unknown star guided the Magi to Bethlehem. An accurate reading of
the second chapter of the Gospel according to St. Matthew shows that this
unknown star was seen only by Magi. In fact king Herod was obliged to ask them
explanations. But who were the Magi? They were not wizards; they were
astronomers and astrologers. Therefore the unknown star which only they saw
either it was a St. Matthew’s lie or it was a heaven phenomenon or body which
only professional astronomers could see. Such a kind of heavenly phenomenon or
body are both the equinoctial points – vernal equinoctial point γ and autumnal
equinoctial point Ω – and
their praecessional movement. Just at the end of the first century b. C., the
two equinoctial points went into the new zodiacal constellations Pisces and
Virgo respectively; they had been in Aries and in Libra respectively for 2147,5
years. We suggest that the unknown star that only Magi saw it was the new
precessional positions of vernal point γ and
autumnal point Ω in
Pisces and in Virgo respectively.
But another rare
and meaningful heavenly phenomenon took place in 7 b.C.: planets Jupiter and
Saturn got their least angular separation three times in the same
constellation, which was just Pisces! We agree with people who suggest that
this threefold least angular separation between Jupiter and Saturn is the David
Star with six tips which got its previous threefold least angular separation in
Pisces in 980 b. C. But a more rare circumstance happened in 7 b. C.: the
threefold least angular separation of Jupiter and Saturn happened in the same
constellation where the Sun began to rise at the vernal equinox. The last time
it happened a similar heavenly circumstance was about 4100 b. C. in Taurus! We
suggest that the peoples of the first century b. C. thought that this very very
rare heavenly phenomenon was the beginning of a new era. We suggest that this
idea was strengthened by the entry of autumnal point Ω in Virgo
constellation, because according to the Greek-Latin mythology Virgo was the
goddess of Justice who was living with mankind on the Earth during the Golden
Age but
who
flew to the Heaven when mankind worsened from the Silver Age onwards; at the
end of the first century b. C. Virgo was coming back and a son of hers, the
Sun, was born, that is it rose in September (autumnal equinox), in her: a new
Sun for a new age. We suggest that this birth in Virgo was the origin or the
heavenly mark of some ancient myths and religious beliefs: the child referred
to by Virgil in his fourth Bucolica, the child born by a virgin in Isaiah 7,14,
the maidenly birth of Jesus.
We suggest that the contemporaneity
of all these heavenly events – equinoctial Sun entry in Pisces and in Virgo
after 2147,5 years; the threefold least angular separation of Jupiter and
Saturn in Pisces after 854 years; the concomitance of the threefold least
angular separation of Jupiter and Saturn in the same constellation in which one
of the two equinoctial points has just arrived after about 4100 years; the
return of Virgo constellation and the birth=rising of autumnal equinoctial Sun
in her – was the factor of the eschatological hopes for a new age at the
beginning of the Christian era.
1.
Introduzione.
Scopo
del seguente contributo è di presentare una nuova, suggestiva ipotesi sul tema
della cosiddetta Stella di Betlemme. La dissertazione è articolata in tre
parti: nella prima si evoca la comparsa, in Italia e in Oriente, nel pieno del
crollo della Repubblica Romana, di speranze che prossimamente, dall’alto,
sarebbe stata instaurata in mezzo agli uomini una nuova e durevole Età
dell’Oro. Nella seconda parte si discutono criticamente le varie e interessate
supposizioni, formulate già in antico, intorno alla vera natura dell’astro che
avrebbe accompagnato la nascita del Salvatore. Nella terza e ultima parte si
ricostruisce la straordinaria concomitanza, nel cielo di quel tempo, fra una
triplice congiunzione di Giove e Saturno e l’epocale passaggio del Sole,
all’equinozio primaverile, dalla Casa dell’Ariete a quella dei Pesci. La nostra
conclusione è che vaste fasce popolari, munite di fervida immaginazione e
animate da grandi speranze, abbiano trasfigurato un rarissimo e per certi versi
inquietante fenomeno naturale, segnalato con buon anticipo dagli astronomi, nel
clamoroso annuncio del Regno di Cristo.
2.
Il Millenarismo: una concentrazione di timori e speranze.
Nella
Storia, esistono “epoche d’angoscia”, nelle quali il sangue scorre a fiumi, e più
generazioni di uomini hanno da temere per sé e per i propri beni; nel
prolungato clima d’insicurezza, nasce una logorante preoccupazione
escatologica: gli sforzi individuali non sembrano più garantire il successo o
la sconfitta nella vita quotidiana, così come i riti della tradizione e persino
le preghiere personali sembrano non commuovere più gli Dei; viceversa, viene
spontaneo di collegare il destino dell’Umanità nel suo insieme a un dramma
cosmico, le cui cause ultime sfuggono alla comprensione, ma che certamente
prevede la fine del mondo attuale, irrimediabilmente corrotto, e la promessa di
un avvenire migliore, foriero di godimento materiale e/o di beatitudine
spirituale per tutti. Si suole definire Millenarismo la fervida credenza che,
prossimamente, per volere divino, la terra sarà purificata dai malvagi e
rimarrà incontaminata per un lungo arco di tempo, ad es. per mille anni. Un
corollario, all’idea di un rinnovamento prossimo venturo, è che i buoni
sapranno intravedere, da inequivocabili segni, quando l’ora fatale starà per
scoccare; tali segni saranno di vario genere: fulmini, terremoti, pestilenze,
inondazioni, etc. e soprattutto insoliti movimenti degli astri visibili,
comunemente considerati quali privilegiati messaggeri degli Dei.
2.1
Aspettative neo-pitagoriche.
L’ultimo
secolo della Repubblica Romana fu precisamente una di queste epoche cariche
d’angoscia, che vide, in tutto il mondo mediterraneo, un’ondata di violenza
politica su proporzioni oceaniche. A Roma, cuore dell’Impero, il confronto fra optimates
e populares, vale a dire fra esponenti della grande proprietà
fondiaria e rappresentanti dei cittadini a basso reddito, degenerò in ripetuti
scandali, minacce di colpi di stato e soprattutto in tremende guerre civili,
con le loro orribili scie di espropri, esecuzioni, rappresaglie. Approfittando
dei torbidi, gli schiavi rusticani insorsero in gran numero, guidati dal famoso
gladiatore Spartaco, mentre molti di quelli impiegati nelle città costiere
dettero vita a gravi fenomeni di pirateria marittima. Dal canto loro, i popoli
italici, che da tempo prestavano servizio militare nelle legioni ma rimanevano
politicamente discriminati, domandarono giustizia, e si sollevarono in armi
contro i Romani. Tuttavia, ciò che in questa sede è di somma importanza,
milioni di contribuenti greci e orientali, esasperati dal gravame fiscale e
dalle sopraffazioni degli esattori, tentarono più volte di recuperare la loro
libertà, appoggiando dapprima le micidiali avventure di Mitridate, re del
Ponto, e poi le spedizioni dei lontani ma indomiti Parti.
Molti di coloro che vissero nel I secolo a.C., disgustati per
le odiose sopraffazioni intorno a loro, le ingiustizie lampanti, l’orgia di
saccheggi e massacri, furono sollecitati a una riflessione in senso lato millenaristica.
In effetti, come poteva durare per sempre il deplorevole stato di cose, per il
quale una piccola parte dell’umanità, prospera, istruita ed influente,
sfruttava e umiliava la maggioranza dei suoi simili? Era inevitabile che gli
Dei preparassero una generale resa dei conti, a cui avrebbe fatto seguito una
radicale trasformazione del mondo. Per di più, l’osservatore perspicace avrebbe
potuto collegare due ordini di fatti: l’ineluttabile deterioramento dei
rapporti sociali su scala mediterranea con l’esaurimento di una vecchia
configurazione della volta celeste, e l’avvento di una nuova era per l’umanità,
che s’auspicava migliore, con l’inizio di una nuova fase astronomica di lunga
durata. Si attuò, in altre parole, un complesso gioco di analogie e di paragoni
che confusero non poco le idee, sia di chi cercava la salvezza a portata di
mano, sia di chi indagava i segni celesti. Il mutamento superno era la causa
della trasformazione sociale? Oppure era un sintomo della benedizione divina ai
cambiamenti in atto sulla terra? In entrambi i casi, il legame era stretto e
necessario. Codesta miscela concettuale, fatta di attese millenaristiche e
predizioni astronomiche, si può rintracciare in una particolare corrente del
pensiero dominante, il quale, va da sé, era quello della classe dominante
dell’epoca. La venerazione per Apollo, il Dio che personificava Helios,
“il Sole”, costituiva, da tempi remotissimi, il maggior nesso religioso fra
tutti i Greci, che periodicamente venivano convocati presso il Santuario di
Delfi, a pregare e discutere insieme. Col procedere degli eventi storici,
malgrado il suo carattere pan-ellenico, il culto apollineo mise profonde radici
nella coscienza dei Romani, così che, nell’avanzato I sec. a.C., il Dio del
Sole era divenuto quasi simbolo d’ecumenismo, vale a dire nume della
fratellanza che avrebbe dovuto ispirare, una volta accantonati gli attuali
dissidi, i vari popoli viventi sotto le insegne di Roma.
Alla progressiva affermazione di Apollo nel Pantheon antico
corrispose, sul piano delle mentalità, il rilancio di oscure teorie, elaborate
dai filosofi della scuola neo-pitagorica, su un periodico rivolgimento che
l’Universo avrebbe dovuto subire ogni mille anni; la transizione fra un ciclo
cosmico e il successivo sarebbe incominciata sotto la signoria di Apollo
stesso. Senza entrare qui nei dettagli, si ricordano due figure emblematiche
del millenarismo greco-romano: il primo è il senatore Publio Nigidio, noto per
i suoi studi di numerologia e astrologia, il quale, nel 49 a.C., allorché il
suo nemico Giulio Cesare varcò in armi il Rubicone, paventò l’imminenza di una
catastrofe della vecchia civiltà; infatti, egli avrebbe affermato: «O questo
mondo vaga senza alcuna regola nell’eternità e gli astri scorrono di moto
casuale, oppure, se determinano i destini, si sta preparando la completa
decomposizione dell’Urbe e del genere umano!» (Lucano, Phars.,I, vv. 642-645).
La seconda personalità interessante è quella del poeta Virgilio, che, in un
componimento giovanile, pubblicato nel 40 a.C., salutò con entusiasmo il
ritorno della pace e della giustizia sulla terra, scrivendo: « la generazione
del Ferro giungerà alla fine e un’aurea prole crescerà in tutto il mondo: ormai
regna il tuo Apollo.» (Virgilio, Ecl., 4, vv. 8-10). L’autore, per fondare la
sua inebriante certezza, che l’era apollinea fosse appena cominciata, richiamò
due fonti degne di fede: da un lato, i vaticini di alcune misteriose
fattucchiere, invasate dal Dio, che erano chiamate Sibyllae; dall’altro,
come si vedrà più sotto, una serie di fortunate previsioni astronomiche,
relative agli spostamenti del Sole sullo sfondo delle principali costellazioni.
2.2 Aspettative
ebraiche.
Il pessimismo di Nigidio e l’esultanza di Virgilio furono le
due opposte modalità con cui i circoli dirigenti romani immaginarono che, sullo
scorcio del I sec. a.C., grandi mutamenti su scala globale fossero in vista.
Una diversa ma convergente ideologia, che contribuiva ad animare le speranze
nell’avvento di una nuova epoca per l’Umanità, fu rappresentata dal
Messianesimo ebraico.
Nella tarda età repubblicana, gli Ebrei avevano poco a che
spartire con l’immagine di loro che circolava in Europa fino a cinquant’anni
fa. Intanto, essi erano moltissimi, in tutte le metropoli ellenistiche che
s’affacciavano sul Mar Mediterraneo e nell’Urbe stessa, e non costituivano
affatto minoranze chiuse e guardate a vista nei ghetti. Inoltre, essi erano
animati da un vivace spirito missionario e praticavano il proselitismo
apertamente, non costretti nei limiti di sinagoghe autorizzate. Infine, essi
avevano fama di elementi sediziosi, tutt’altro che timidi e passivi esecutori
delle volontà dei potenti: tale opinione derivava dal fatto che essi, nel
recente passato, guidati dalla casata dei Maccabei, avevano difeso con accanimento
la loro libertà, battendosi contro i feroci eserciti mercenari dei re di Siria;
e persino nei confronti della super-potenza romana non s’erano mostrati affatto
arrendevoli, ottenendo che la Giudea fosse inquadrata in un reame vassallo
semi-indipendente, piuttosto che in una provincia come le altre. In altre
parole, nel I sec. a.C., gli Ebrei erano numerosi, motivati e irrequieti a
sufficienza, per influenzare con le loro credenze vaste fasce popolari delle
grandi città mediterranee, cioè modesti artigiani, minuscoli bottegai, manovali
salariati, poveri nullatenenti, schiavi domestici, e tutta la negletta plebe,
che le rispettive borghesie municipali, e l’arrogante nobilitas di Roma,
sfruttavano e opprimevano quotidianamente.
Com’è noto, a differenza dei Gentili, loro vicini, gli Ebrei
seguivano una religione monoteistica, basata su Yahweh, Dio unico
e onnipotente; inoltre, mentre per la concezione greco-romana la vita dei
popoli si svolgeva su orbite cicliche, per gli Ebrei la Storia aveva una
traiettoria unidirezionale: il Signore aveva realizzato un dì il Paradiso
Terrestre per gli uomini, ma costoro, ingrati, avevano ceduto alle tentazioni
maligne, col risultato che erano decaduti sempre di più dalla primigenia
condizione di purezza d’animo e salubrità di corpo; per fermare il degrado,
Yahweh aveva mandato loro atroci punizioni, eloquenti profeti e saggi sovrani,
tutti usciti dalla fidata stirpe di Israele, ma ogni sforzo era stato vano;
l’ultima speranza di salvezza per l’Umanità, abbruttita e sofferente, stava
nell’invio dal cielo di un Messia, cioè di un “Unto del Signore”; costui,
personaggio di genuina stirpe davidica, con la parola e all’occorrenza con la
spada, avrebbe dovuto raddrizzare i torti mondani e aprire ai giusti, una volta
per tutte, le porte dell’Eden. Se è vero che simili idee escatologiche erano
patrimonio comune a tutto l’antico Ebraismo, tuttavia è innegabile che, nei
secoli II e I a.C., per l’urgenza delle necessità politiche, si intensificò via
via la speranza di vedere, nell’immediato futuro, l’arrivo in Palestina di un
Salvatore, che fosse o un audace riformatore dei costumi o un capace
condottiero d’eserciti.
L’attesa era fondata su alcuni testi “apocalittici”, cioè
imperniati su rivelazioni prodigiose, tra i quali il più letto era il Libro di
Daniele; in esso si narrava di come, nel lontano VI sec. a.C., il re babilonese
Nabuchodonosor avesse fatto un sogno spaventoso: tutti i grandi Imperi, uno
dopo l’altro, sarebbero stati destinati alla perdizione; l’ultimo sarebbe
andato in rovina subito prima dell’instaurazione del Regno di Dio (Dan., 2,
1-49). In un altro celebre passo, si prevedeva che la venuta del Messia sarebbe
caduta 69 settimane settenarie, cioè 483 anni, dopo la fine della cattività
babilonese (Dan., 9, 24-27 ); a seconda dell’evento preciso dal quale si faceva
decorrere il tempo pre-fissato, si poteva trovare uno spettro di date comprese
fra il 54 a.C. e il 77 d.C. Soprattutto gli anni di regno di Erode il Grande,
fra 37 e il 4 a.C., furono caratterizzati da un vero e proprio parossismo
messianico, che generò avventurieri politici come Ezechia e Giuda di Gamala;
bizzarri eremiti come Giovanni Battista; briganti come Atroneo, Simone lo
Schiavo e Bar-habba, che in Aramaico voleva dire “(figlio) del Padre”; astuti
taumaturghi come Simone il Mago; e altri personaggi affini, che potrebbero aver
dato origine alla composita leggenda di Gesù il Nazareno.
Comunque,
non bisogna credere che, per fissare la data d’avvento del Messia, gli Ebrei si
affidassero solo o prevalentemente alle indicazioni scritturali, come quella
sopra evocata; un ulteriore strumento di previsione erano i calcoli astronomici
e le relative speculazioni teoriche. Va sfatato il pregiudizio in merito alla
presunta estraniazione degli Ebrei dallo studio del cielo: è vero che, presso
di loro, le pratiche di “astrologia genetliaca”, con le loro vane capacità di
pronosticare i successi o le sconfitte individuali, erano condannate senza
appello; tuttavia, un tipico tema di “astrologia universale”, come la visione
di un mirabile segno celeste, che avrebbe annunziato la nascita o il
pronunciamento del Messia, era perfettamente accettabile; in particolare, si
nota come il Sole avesse un ruolo ricorrente e significativo nella Bibbia: si
va dal Sole che brillerà come non mai (Isaia, 30, 26), illuminando a giorno la
notte (Zaccaria, 14, 7), al Sole della Giustizia che rifulgerà nel giorno del
Giudizio Universale (Malachia, 4, 2).
Analogamente, ma con un
ruolo più tecnico, il moto del Sole ritorna nella letteratura
“intertestamentaria”, collocabile cioè a cavallo fra Antico e Nuovo Testamento:
ad es., il Libro dell’Astronomia, risalente circa al 200 a.C.,
svolge una dura polemica contro chi pretendeva di adottare le fasi lunari,
piuttosto che i mesi solari, nella determinazione delle Pasque e delle altre
ricorrenze festive (Enoc Etiopico, 72-82). A parte la complessa questione della
precedenza, presso gli Ebrei, del calendario lunare su quello solare, o
viceversa, si deve ammettere che i loro sapienti avevano, quanto meno, una
buona dimestichezza con i moti planetari.
2.3 Aspettative zoroastriane.
Forti spinte escatologiche, nel I sec. a.C., si avvertirono
anche in un'altra religione monoteista, e precisamente nel Mazdeismo, che era
la fede dominante tra le popolazioni dell’altopiano iranico, delle montagne che
s’ergevano ai suoi margini, nonché di parte della Mesopotamia. Codesto
Mazdeismo era sorto nel VI sec. a.C., quando un maestro eccelso di nome
Zarathushtra, riflettendo sul Fuoco e sul Sole, che illuminavano e scaldavano
il mondo, si convinse che essi erano null’altro che le apparenze sensibili di
un Essere Supremo, altrimenti infinito, invisibile ed ineffabile, chiamato
Ahura Mazda, “il Signore Saggio”. Secondo gli insegnamenti di Zarathushtra, nei
pensieri, nelle parole e nelle opere degli uomini s’esprimeva una perpetua
dialettica degli opposti: Spenta Mainyu contro Angra Mainyu, Luce contro
Tenebre, Bene contro Male. A questo proposito, sappiamo che i teologi persiani
erano divisi in almeno due correnti: da una parte c’era chi pretendeva che il
Bene e il Male fossero manifestazioni gemelle ma speculari della stessa volontà
di Ahura Mazda: Dio aveva rimesso la scelta fra il Bene e il Male al libero
arbitrio di ciascun uomo, che così veniva messo alla prova nel corso della sua
vita terrena. In contrasto con tale visione “esistenzialista”, riservata ai
circoli colti, la moltitudine e il basso clero, in modo assai semplicistico,
credevano che il Bene fosse frutto del luminoso Ahura Mazda, mentre il Male
fosse opera di una divinità antagonista, il tenebroso Ahreman, “il Diavolo”.
La concezione dualistica, popolaresca, del Mazdeismo
implicava che la storia dell’Umanità fosse stata la storia della strenua lotta
che il Bene e il Male avevano ingaggiato fra loro ai primordi del mondo; prima
o poi, il titanico duello fra gli Dei sarebbe arrivato ad una soluzione
definitiva: un giorno, che si sperava non lontano, il Signore Saggio avrebbe
inviato sulla terra una creatura sovrumana, lo Saoshyant, “il Redentore
Universale”; costui sarebbe riuscito a distruggere Ahreman, a resuscitare i
morti, e a decretare il Giudizio Finale; dopo che i meriti e i torti di ciacun
uomo fossero stati divisi, contati e pesati, si sarebbe finalmente instaurato
lo Khshatra, il millenario Regno di Dio (Yasna , 34, 13-18.).
Gli Zoroastriani, e in particolare i Magi, vale a dire i loro
sacerdoti specializzati nella osservazioni astronomiche e nella divinazione,
erano certi che, in concomitanza con l’evento straordinario della nascita del
Salvatore, si sarebbe prodotto in cielo un fenomeno mai visto prima,
probabilmente, più che la comparsa di una stella, un’anomalia nel corso del
Sole, l’astro prediletto dal Signore Saggio, che avrebbe così dato un
inequivocabile segnale della consumazione di un intero ciclo cosmico.
Le tendenze millenaristiche fra i seguaci di Zarathushtra,
piuttosto contenute finché sulla Persia regnarono gli Achemenidi, si
rafforzarono dopo le conquiste di Alessandro Magno, e, più ancora, dopo
l’ascesa al trono della dinastia partica degli Arsacidi, i quali non sempre
rifuggivano dal fanatismo religioso. Alla fine del I secolo a.C., dal punto di
vista romano, il Mazdeismo radicale era un pericolo da non sottovalutare,
perché esso era protetto dai Parti, i quali potevano dirsi l’ultimo avversario,
degno di questo nome, che Roma avesse ancora nel Vicino Oriente. Chiaramente, i
sovrani partici miravano ad espandere il proprio regno a spese delle contermini
province imperiali di Armenia, Cappadocia e Siria; dunque s’intuisce quale
insidia rappresentasse, per il morale e la lealtà dei provinciali, tartassati e
umiliati dall’odioso sistema tributario, un ben studiato messaggio di salvezza,
propagandato direttamente da predicatori mazdeici, miranti a suscitare adepti e
simpatizzanti entro i confini del nemico. Non può essere casuale se, a un certo
punto, persa la pazienza, le autorità romane fecero bruciare, in un sol fascio
con i Libri Sibillini apocrifi e con la letteratura apocalittica giudaica, gli
Oracoli di Istaspe (Giustino, Apol., 1, 44, 12); di costui si sa poco o nulla,
ma sembra che fosse stato un discepolo o commentatore di Zarathushtra e che
avesse predetto l’imminente arrivo del Redentore Universale.
Una possibile alternativa di diffusione, per il Millenarismo
mazdeico, era che esso fosse raccolto dalle vivaci comunità giudaiche di
Babilonia, Seleucia al Tigri e Ctesifonte, e rilanciato fra gli Ebrei sparsi
per tutto il bacino mediterraneo, che già vivevano in un’atmosfera satura di
tensione messianica; dopotutto, il celeberrimo racconto evangelico sui Magi,
andati presso la culla di Gesù Bambino, se riletto in termini politici,
potrebbe adombrare un intento filo-partico, nella misura in cui rievoca
l’obiettiva convergenza che, allo scadere del I secolo a.C., fu raggiunta fra
gli Ebrei messianici dentro l’Impero romano ed autorevoli esponenti del clero
mazdeista oltre frontiera.
3. La stella e l’adorazione dei Magi nell’iconografia
cristiana.
Le fonti storiche in cui si parla della stella di Betleem e
dei Magi si riducono in realtà al solo Vangelo di Matteo che, fra i quattro
Vangeli canonici (gli altri tre sono quelli di Marco, Luca e Giovanni), è
l’unico che ne parla. Il Vangelo di Luca, che pure è quello che si dilunga
molto di più di tutti gli altri sui particolari della Natività, neppure
menziona i saggi uomini che dall’Oriente vennero guidati da una stella fino
alla presenza di Gesù per portargli doni. Eppure, entrambi i Vangeli furono
composti nella seconda metà del I secolo d.C. Essi concordano in molte cose;
sul fatto che Gesù nacque a Betleem, che ciò accadde durante gli ultimi anni
del re Erode il Grande, che la sua nascita fu preannunciata da un angelo. Ma
solo in Matteo si parla di questo evento astronomico che guidò i Magi.
Analizziamone il contenuto passo per passo.
3.1 Matteo 2,1–2
“Essendo Gesù nato a Betleem di Giudea ai giorni del re
Erode, ecco, degli astrologi [i Magi] vennero da luoghi orientali a
Gerusalemme, dicendo: “Dov’è il re dei giudei che è nato? Poiché vedemmo la sua
stella [quando eravamo] in oriente e siamo venuti a rendergli omaggio”.
Il termine “in oriente”, che deriva da una traduzione
letterale del testo greco (en ti anatoli) ε̉ν
τη̣̃
α̉νατολη̣̃, secondo alcuni studiosi,
tra cui il celebre archeologo biblico W. F. Albright, potrebbe celare un
significato più profondo. Esso potrebbe anche significare “alle prime luci
dell’alba” o “nelle luci dell’aurora” ponendo così in evidenza quando la stella
era osservabile più che dove: cioè all’alba, al sorgere eliaco.
Un altro fatto interessante è che nei passi biblici non si
parla di grotta(1), e non si parla neanche di stalla, ma di una “casa”, segno
che dal momento della nascita al momento dell’adorazione dei Magi erano intercorsi
parecchi mesi, mesi durante i quali il fenomeno astronomico era rimasto ben
visibile agli astrologi. Perciò, all’epoca del suo incontro con i Magi, Gesù
poteva avere già diversi mesi. A indicare che non era più un neonato c’è il
fatto che, quando i Magi non tornarono da Erode, questi ordinò l’uccisione di “tutti
fanciulli di Betleem e di tutti i suoi distretti, dall’età di due anni in giù,
secondo il tempo del quale si era accuratamente informato dagli astrologi.”
(Matteo 2,16).
Cosa era allora quel segno nel cielo? Dal testo biblico
emerge subito una prima importantissima constatazione: Matteo non fa
assolutamente cenno ad una cometa, ma parla di una stella nel senso generico
del termine. Il simbolismo della cometa appare per la prima volta nell’iconografia
cristiana all’inizio del XIV secolo. Nel 1301 Giotto da Bondone aveva osservato
personalmente la fantastica apparizione della cometa di Halley e, nel 1304,
quando dovette affrescare la Cappella degli Scrovegni a Padova, non resistette
all’idea di disegnarla sulla scena della Natività. In numerosissimi altri
dipinti dell’epoca essa appare quasi invariabilmente come una semplice stella
o, tutt’al più, come un globo luminoso.
Quale fenomeno, dunque, può aver attirato l’attenzione dei
Magi? Di seguito analizzeremo tutti i possibili casi che possono permettere una
interpretazione astronomica di questo fenomeno.
3.2 Analisi astronomica della stella di Betlemme.
Sulla natura del fenomeno astronomico narrato nel Vangelo di
Matteo sono state avanzate numerose interpretazioni, a volte alquanto bizzarre.
Comunque, le interpretazioni più attendibili si possono ricondurre in realtà a
pochi eventi celesti, i quali vengono esposti di seguito.
3.2.1 Il pianeta Venere.
In certi periodi Venere presenta la particolarità di essere
particolarmente brillante, al punto da penetrare con la sua luce le brume
dell’orizzonte creando spettacoli a volte spettrali. Tuttavia è praticamente
improbabile che i Magi, osservatori abituali dei suoi moti nel cielo e delle
sue variazioni di luminosità, avessero intrapreso un così lungo viaggio solo
per Venere (2).
3.2.2 L’ipotesi cometaria.
L’ipotesi di una cometa alla base del fenomeno riportato nel
Vangelo di Matteo, prende soprattutto forza dopo la rappresentazione della
cometa di Halley sulla scena della natività, che Giotto dipinse nel 1304 nella
cappella degli Scrovegni a Padova. Alcuni arrivarono ad ipotizzare che la
stella che guidò i Magi potesse essere proprio la cometa di Halley (che si
ripresenta nelle vicinanze della Terra ogni 76 anni circa), ma questa ipotesi
cadde quando in base ai calcoli sul suo periodo si scoprì che la cometa era
passata al perielio (il punto più vicino al Sole) esattamente il 10 ottobre del
12 a.C., data ritenuta troppo anticipata per la nascita di Gesù. Inoltre, una
cometa così luminosa sarebbe stata certamente vista da tutti, anche da Erode,
che non si sarebbe trovato nell’imbarazzo di doverne chiedere notizia ai Magi
in privato.
Tra le migliaia di comete a periodo noto, non se ne conosce
alcuna che sia passata vicino alla Terra nel periodo supposto per la nascita di
Gesù. Si può quindi escludere l’ipotesi cometaria a meno che non si fosse
trattato di una cometa a lunghissimo periodo, passata per una volta vicino alla
Terra e mai più ritornata (a questa classe appartiene, ad esempio, la cometa
Hale-Bopp, passata nelle vicinanze del nostro pianeta nel marzo-aprile del
1997).
3.2.3 Nova o Supernova.
In astronomia si definisce Nova (o Stella Nova) quella stella
la cui luminosità aumenta improvvisamente per un tempo relativamente breve,
fino a diventare 60-80 mila volte quella iniziale. In entrambi i casi (Nova o
Supernova) la luminosità presenta un aumento repentino, un massimo, seguito da
un lento declino fino a una magnitudine all’incirca uguale a quella precedente
lo stato iniziale (nel caso delle Novae), o fino a scomparire del tutto alla
vista (nel caso delle Supernovae).
L’ipotesi di una Nova alla base del fenomeno della stella di
Betleem fu formulata dall’astronomo polacco Johannes Keplero quando, il 9
ottobre 1604, fu testimone dell’esplosione di una supernova (battezzata poi
come stella nova di Keplero) apparsa nella costellazione di Ofiuco. Questa
supernova divenne per alcune settimane brillante come Venere, per cui Keplero
pensò che un simile avvenimento potesse essere all’origine della stella
descritta nel Vangelo di Matteo.
A sfavore di tale ipotesi giocano però alcuni fattori.
Innanzi tutto, tale fenomeno è in realtà estremamente raro da osservarsi ad
occhio nudo, dal momento che per essere visibile deve avvenire nella nostra
galassia. Nessuna supernova è stata più osservata nella Via Lattea dai tempi di
Keplero (3). Si stima che la frequenza media di un tale avvenimento all’interno
della nostra galassia, sia di un evento ogni 400 anni. Un altro fattore che
tende ad escludere l’ipotesi della stella Nova è che il periodo di massima
luminosità va da pochi giorni a tre settimane circa, mentre il fenomeno
osservato dai Magi durò molti mesi.
3.2.4 La congiunzione apparente (4) planetaria.
È forse l’ipotesi che allo stato attuale gode di più credito
tra gli studiosi di questo affascinante avvenimento. Anch’essa fu avanzata da
Keplero, nel 1603. In quell’anno egli fu testimone di una stupenda congiunzione
apparente tra Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci. Ciò fece maturare
in lui la convinzione che un tale fenomeno potesse avere avuto un profondo
significato simbolico per i Magi. Partendo da questa base Keplero calcolò a
ritroso la posizione dei due pianeti e si accorse che nell’anno 7 a.C. Giove e
Saturno erano entrati in congiunzione apparente fino ad un grado di separazione
angolare, misura corrispondente a due volte la grandezza della Luna piena. Ma,
cosa più eclatante, ciò era avvenuto per ben tre volte di seguito in un anno e
sempre nella stessa costellazione, quella dei Pesci, rispettivamente il 29
maggio, il 29 settembre e il 4 dicembre. Le congiunzioni triple tra Giove e
Saturno si ripetono ogni 120 anni, ma ci vogliono circa 800 anni perché questo
avvenga nella costellazione dei Pesci.
Questo fenomeno, dal punto di vista astrologico, è pregno di
significati simbolici, i quali di certo non dovettero sfuggire ai Magi. Secondo
lo scrittore rabbinico medioevale Isaac Abrabanel (o Abarbanel), la
costellazione dei Pesci godeva di un significato assolutamente particolare per
gli Ebrei. Per gli astrologi medioevali quella dei Pesci era considerata la
“casa degli Ebrei”; Giove era considerato il pianeta dei re; Saturno era il
pianeta protettore della Palestina. Questa interpretazione troverebbe conferma
anche in Tacito, il quale identificava Saturno con la divinità che in Israele
veniva adorata il giorno di sabato, Jahvèh o Geova.
Che Giove incontrasse Saturno sotto il segno dei Pesci per ben tre volte era un
chiaro segno che un Re potente era comparso in Palestina. Inoltre questo
fenomeno, protrattosi per un periodo di tempo così lungo, può benissimo aver
accompagnato i Magi durante il loro viaggio verso la Giudea.
A corroborare invece la data del 2 a.C. ci furono alcuni
eventi astronomici rilevanti, che furono descritti da astronomi cinesi e da
numerosi autori classici perché in coincidenza con importanti celebrazioni
avvenute a Roma per il 25° anniversario dell’incoronazione di Cesare Augusto
(Ottaviano), durante le quali il Senato gli conferì il titolo di “Padre della
Patria”, e che coincidevano anche con il 750° anniversario della fondazione di
Roma. Il 17 febbraio del 2 a.C. Giove entrò in congiunzione apparente con
Regolo, la stella più brillante della costellazione del Leone. Il 17 giugno
dello stesso anno Giove e Venere furono in congiunzione apparente sempre nella
costellazione del Leone. L’8 maggio Giove si avvicinò per la terza volta in
pochi mesi a Regolo. Il 27 agosto, infine, Giove, Marte, Venere e Mercurio si
trovarono tutti raggruppati in una piccola zona sempre nella costellazione del
Leone. Anche questi ultimi eventi acquistano un profondo significato simbolico
dal punto di vista astrologico. La costellazione del Leone, la prima dello
Zodiaco, governata dal Sole, rappresentava il potere dei sovrani. La sua stella
più brillante, Regolo, derivava il suo nome proprio dal suffisso latino rex (=
re) ed era considerata la stella che proteggeva i sovrani. Giove era
considerato il dio protettore dell’impero e Venere era ritenuta la madre della
famiglia Augusta. Il fatto che tutti questi oggetti celesti si incontrassero il
17 giugno del 2 a.C. con la Luna piena (sacra a Giove) nella costellazione del
Leone, non deve essere certamente sfuggito a coloro che osservavano il cielo
per trarre buoni auspici e per avere più ampie conferme della benevolenza degli
dèi verso il tanto acclamato imperatore.
Lontano da Roma e dal suo potere, l’evento può essere stato
interpretato in relazione all’avvento di un nuovo regno, forse non
necessariamente di origine terrena, e alla nascita di un nuovo re. Un’altra
profezia facente riferimento alla nascita di Gesù è quella di Numeri 24, 17
“ Una stella
certamente verrà da Giacobbe, e uno scettro si leverà da Israele.”
La stella (significato simbolico) è riferita inizialmente al
re Davide, ma viene applicata successivamente dalle profezie di Geremia 23,5 e
di Ezechiele 21,27 allo stesso Gesù Cristo, il quale, secondo le genealogie
esposte nei Vangeli di Matteo e di Luca, è un diretto discendente del re Davide.
Anche in questo caso, la nascita di un re, celeste, viene dunque
metaforicamente rappresentata dall’apparire di una stella.
3.3 Chi erano i Magi?
La tradizione e l’arte religiosa menzionano spesso la figura di
tre “Re Magi” che furono condotti da una stella al luogo della nascita di Gesù.
In realtà il angelo di Matteo parla dei Magi al plurale, ma senza menzionarne
il numero e senza affermare che fossero re persiani, come qualcuno sostiene. In
effetti queste idee si diffusero a partire dal VI secolo, grazie ad una
versione armena che riprendeva la storia della natività e che per prima
menziona il numero dei Magi come pure i loro nomi (Melchiorre, Gaspare e
Baldassarre). Chi erano allora i Magi ?
Il termine greco originale che traduce la parola Magi è
Μάγοι, (= Maghi). Secondo lo storico greco Erodoto (V
secolo a.C.) i Magi erano in origine una delle sei tribù in cui si era diviso
il popolo del Medi (I, 101). Successivamente, presso i Persiani il nome aveva
assunto il significato generico di “sacerdoti”. Un rinomato dizionario biblico
riporta quanto segue: “[I Magi] asserivano di interpretare i sogni, e avevano
l’incarico ufficiale dei sacri riti…erano, in breve, la classe dotta e
sacerdotale, e avevano, si supponeva, l’abilità di trarre dai libri e
dall’osservazione delle stelle una percezione soprannaturale di eventi
futuri…Ricerche successive tendono a considerare Babilonia piuttosto che la
Media e la Persia il centro dell’attività dei Magi. In origine i sacerdoti Medi
non erano chiamati Magi…Dai Caldei ereditarono tuttavia il nome di Magi
riferito alla casta sacerdotale, e così si spiega quanto dice Erodoto secondo
cui i Magi erano una tribù della Media (5).”
I Magi erano quindi in realtà sacerdoti e astrologi, secondo
alcuni studiosi, provenienti dalla città di Sippar, dove esisteva una rinomata
scuola di astrologia. Un testo arabo, conservato alla Laurenziana di Firenze li
ricollega addirittura al culto di Zarathustra, fondatore della dottrina del
mazdeismo, del magismo e delle pratiche esoteriche. Questo collegamento viene
confermato da un testo apocrifo risalente al medioevo, il cosiddetto “Vangelo
Arabo sull’Infanzia del Salvatore” dove si legge: “Nato il Signore Gesù a
Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco che dei Magi vennero a
Gerusalemme, come aveva predetto Zaradusht, portando seco dei doni…”. A ragione
dunque Giustino Martire, Origene e Tertulliano, nel leggere il passo riportato
nel Vangelo di Matteo 2,1, considerarono i magòi degli astrologi. Lo stesso
Tertulliano nella sua opera De Idolatria, al capitolo IX, scrive: “Conosciamo
la mutua alleanza fra magia e astrologia. Gli interpreti delle stelle furono
dunque i primi a…presentare [a Gesù] doni.”
3.4 La stella di Betleem nelle Sacre Scritture: le possibili
risposte.
Al di là di tutte le
supposizioni che si potrebbero fare, le Sacre Scritture rimangono comunque la
fonte privilegiata da cui trarre informazioni sull’affascinante e misterioso
fenomeno della stella di Betleem. Dall’analisi asettica del libro di Matteo
però emergono delle profonde incongruenze con le tradizioni natalizie che la
storia ci ha tramandato, incongruenze che fanno assumere a questo fenomeno
celeste una connotazione più sinistra che divina.
Uno degli scritti apocrifi più famosi, il Protovangelo di
Giacomo, composto agli inizi del II secolo d.C., al capitolo 21 così descrive
il fenomeno visto dai Magi (6):
«I Magi dicevano:
‘Dov’è nato il re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella nell’Oriente e siamo
venuti ad adorarlo’… Erode interrogò i Magi dicendo: ‘Quale segno avete visto a
proposito del re che è nato?’ I Magi risposero: ‘Abbiamo visto una stella
grandissima che splendeva tra queste stelle e le oscurava, tanto che le stelle
non apparivano più. E così abbiamo conosciuto che era nato un re a Israele’.».
La descrizione della stella vista dai Magi fa sorgere una
domanda legittima: se la stella era così brillante da oscurare con la sua luce
quelle vicine, come mai solo gli astrologi videro quel segno? Come mai a Gerusalemme
nessuno l’aveva vista?
A questo riguardo, se si tiene conto del fatto che i Magi
altro non erano che astrologi, l’enfasi data alla sua luminosità potrebbe
essere puramente simbolica, da mettersi in relazione solo con ciò che essa
avrebbe rappresentato: la nascita del più grande Re in Israele. Per questo essi
intrapresero quel lungo viaggio da Babilonia a Betleem.
Il fenomeno astronomico osservato dai Magi doveva quindi
essere importante dal punto di vista astronomico ma non certo eclatante se
visto da una persona normale. Da perfetti studiosi e conoscitori dei fenomeni
celesti quali erano allo scopo di trarne previsioni, essi avevano visto in
questo segno astronomico più un significato simbolico che un significato reale,
mentre a livello popolare esso poteva passare inosservato.
Quindi è legittimamente possibile affermare che: la stella
di Betleem potrebbe non essere stato un vero e proprio oggetto celeste, ma
piuttosto una configurazione planetaria interpretabile in chiave astrologica
esclusivamente dai Magi.
Un’altra incongruenza tra il testo biblico e le tradizioni
natalizie riguardano il ruolo svolto dalla stella di Betleem. Infatti, se si
leggono attentamente i passi del Vangelo di Matteo alla luce dell’intero
contesto biblico e li si paragonano alle odierne tradizioni natalizie, ci si
accorge subito che ci sono delle profonde discordanze. Le tradizioni vogliono
la stella come un segno divino, mandato da Dio a guidare i Magi affinché
potessero andare a rendere omaggio a suo figlio Gesù. Eppure in tutte le Sacre
Scritture l’astrologia viene considerata una pratica abominevole, demonica.
Come si conciliano le due cose?
Questo ragionamento ci conduce ad una domanda: se
l’astrologia era considerata da Dio e dai profeti della Bibbia come una pratica
abominevole e demonica, perché Dio avrebbe affidato a degli astrologi un segno
nel cielo per evidenziare la nascita di suo figlio Gesù sulla Terra? Come mai
solo gli astrologi videro quel segno?
Se si analizzano gli avvenimenti che quella stella mise in moto
si può notare che la sua apparizione potrebbe avere a che fare con un progetto
che mirava ad uccidere Gesù prima che egli potesse assolvere il suo mandato
divino. Matteo narra che la stella guidò i Magi prima a Gerusalemme da Erode, e
solo in un secondo tempo li condusse a Betleem da Gesù. Dopo aver presentato i
loro doni i Magi sarebbero dovuti tornare da Erode per dirgli dove si trovava
il bambino. Ma, secondo il racconto biblico, Dio intervenne facendo prendere
agli astrologi un’altra strada. Disse poi a Giuseppe di fuggire in Egitto,
perché Erode voleva uccidere Gesù. (Matteo 2,1–15). Quali conclusioni si
possono quindi trarre da queste argomentazioni?
4. Considerazioni
astronomiche.
4.1 Magi e magia.
Abbiamo detto più sopra che la stella di Betlemme fu visibile
per i soli Magi. La fonte evangelica è l’unica e la più antica in nostro
possesso sulla loro visita al Divino Bambino, mentre tutte le altre le sono
posteriori e dipendenti (Centini 1997).
Sappiamo da fonti extrabibliche (Erodoto I,101.107.120.128.132.140;
III,60.63-69.71.74-80.88.118.126.140.150.153; IV,132; VII,19.37.43.113.191;
crf. anche Panaino 2005, pp. 84-101) che i Μάγοι erano
i componenti di una popolazione meda particolarmente versata nelle conoscenze
astrologico-astronomiche e che operarono presso i re persiani come sapienti e
consiglieri, talora non alieni da intrighi di palazzo. La
μαγεία era esattamente la loro scienza, ossia
quel complesso di dottrine e di conoscenze astronomiche alla base delle
religioni iraniche che trovò la sua più completa formulazione nello
Zoroastrismo, il cui testo sacro – l’Avesta – andò quasi completamente perduto
nel II secolo a.C. durante la conquista macedone, tranne circa un quarto
dell’originale che sopravvive ancora oggi come testo sacro del Parsismo, che
dello Zoroastrismo è l’evoluzione.
Trascurando per motivi di spazio una disamina sul vocabolo e
sui suoi sinonimi, ci basti qui rilevare che nel mondo latino l’equivalente
della moderna magia era espresso prevalentemente con il vocabolo veneficium =
avvelenamento e che solo in epoca cristiana la
μαγεία ed il veneficium furono assimilati fino
all’identificazione, in quanto opera demoniaca. A tal proposito è interessante
notare come talune formule medioevali di veleni usati a scopo omicida (Bertol e
Mari 2001) riproducano quei supposti intrugli magici, a base di vari prodotti
vegetali ed animali, talora anche fantasiosi, che secondo la voce popolare
erano fabbricati da fattucchiere, streghe, maghi, ecc.
I Magi di Matteo 2 erano dunque esperti astronomi, non
stregoni, e ciò spiega perché poterono capire o addirittura vedere quanto agli
inesperti ed ai profani era precluso.
4.2 Il testo di Matteo capitolo 2.
Il testo greco – che per noi è l’originale, perché un
precedente in aramaico, molto probabilmente esistito, non ci é pervenuto –
ammette con riferimento alla stella due interpretazioni ugualmente corrette.
Mt 2,2 <…ε̉ίδομεν
γάρ αυ̉του̃
τόν α̉ςτέρα
ε̉ν τη̣̃ α̉νατολη̣̃
̣̃…>(7) può tradursi sia come stato in luogo <…vedemmo in oriente
la sua stella…>, sia come complemento di tempo <…vedemmo la sua stella al
sorgere…>. Il testo latino della Vulgata geronimiana traduce il testo greco
come complemento di luogo.
Mt 2,9
<…καί ι̉δου̃ ‘ο
α̉στήρ, ‘ό́ν
ει̉̃δον ε̉ν
τη̣̃ α̉νατολη̣̃
προη̃γεν
αυ̉τοὺς ‘έως
ε̉λθών
ε̉̀στάθη
ε̉̀πάνω ού
ὴ̃̉ν τὸ̀
παιδίον…> è tradotto nella Vulgata nel
modo seguente: <...et ecce stella, quam viderant in oriente, antecedebat
eos, usquedum veniens staret supra, ubi erat puer…> (Nestle & Aland 1963).
Tuttavia, poiché il
vocabolo greco ‘έως può ugualmente significare tanto l’avverbio
temporale “finché” quanto il sostantivo “aurora” – entrambi scritti esattamente
nello stesso modo, con le stesse lettere e gli stessi accento e spirito – la
frase del testo greco può parimenti tradursi correttamente e letteralmente,
ancorché un pò forzatamente, come segue:
«…ed ecco la stella,
che avevano visto al sorgere, li precedeva; l’aurora, sopraggiunta, si fermò
sopra il luogo ove era il bambino…»,
ad indicare che i Magi
arrivarono presso il bambino quando sorse l’aurora. Ammettendo che la stella
vista dai Magi fosse il sorgere del Sole agli equinozi nelle allora nuove
costellazioni dei Pesci e della Vergine, Mt 2, 9 significherebbe che essi
riconobbero il luogo dove era il bambino perché vi giunsero da Gerusalemme
giusto all’alba.
4.3 Le due nuove costellazioni equinoziali dei Pesci e della
Vergine.
Com’è noto i punti equinoziali γ e Ω –
rispettivamente primaverile ed autunnale – sono i due luoghi puntiformi
dell’intersezione dell’eclittica con l’equatore celeste. Essi sono dotati di
movimento precessionale retrogrado complessivo annuo pari a
0°00'50,290966" (al 2000.0J), che permette ad essi di percorrere:
a) l’intera eclittica in senso retrogrado in circa 25770
anni;
b) ciascuna stazione zodiacale (di 30°) in circa 2147,5 anni;
c) 1° in circa 71,6 anni.
Essi sono impercettibili ad occhio nudo e rilevabili solo
strumentalmente ed a causa della loro natura puntiforme e del loro moto sono
spesso assimilati ancora oggi a due stelle reali ma invisibili. Proprio intorno
agli anni in cui nacque Gesù, dopo circa 2147,5 anni la precessione generale li
aveva spostati dalle precedenti costellazioni dell’Ariete e della Bilancia a
quelle nuove in cui si trovano tutt’oggi: i Pesci e la Vergine. Era così
praticamente finita un’era e ne stava cominciando un’altra. Dal punto di vista
astrologico era quindi lecito attendersi l’avvento di un mondo nuovo.
La Vergine in particolare, identificata principalmente con
Δίκη = Αστραία =
Iustitia = la Giustizia, con la nascita di una nuova serie di grandi secoli –
<…magnus ab integro saeclorum nascitur ordo…> – “ritornava” sotto forma
di costellazione – <…iam redit et Virgo…> – dopo essersi volontariamente
esiliata dal mondo terreno fin dall’Età dell’Oro, secondo quanto tramandato
dalla mitologia greco-romana. Riteniamo che sia stato questo ingresso del Sole
autunnale nella costellazione della Vergine ad ispirare a Virgilio i versi 4-7
della sua IV Bucolica:
«Ultima Cymaei venit iam carminis aetas,
magnus ab integro saeclorum nascitur ordo;
iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna,
iam nova progenies caelo demittitur alto»
e la data d’inizio di tale Era, indicata ai vv. 11-12 – il
consolato di Asinio Pollione, nel 40 a. C.:
«Teque adeo decus hoc aevi, te consule,
inibit,
Pollio, et incipient magni procedere
menses: »
(Carea 1971, pp. 98-101)
– coincide piuttosto
bene con lo spostamento del punto equinoziale autunnale: stimando in 30°
l’ampiezza di ogni segno zodiacale, nella seconda metà del I secolo a. C. il
punto Ω aveva ormai attraversato l’intero segno della Bilancia ed entrava
in quella della Vergine.
Ecco che allora può diventare riconoscibile il puer ivi
citato nei versi 8-10
«Tu modo nascenti puero, quo ferrea primum
desinet
ac toto surget gens aurea mundo,
casta fave Lucina; tuus iam regnat Apollo»:
può essere il Sole
stesso che nasce nuovamente nella Vergine dopo 25770 anni e che nella mitologia
greco-latina era associato ad Apollo, dio della luce. Del resto il topos del parto
miracoloso di una vergine era molto comune nelle mitologie antiche; forse qui
Virgilio riecheggia, secondo una consuetudine orientaleggiante divenuta ormai
di moda nella Roma imperiale, un antico mito egiziano – già messo in evidenza
da Nedim Vlora (per sua cortese comunicazione verbale al convegno SIA del 2005)
– ed è plausibile che il poeta pensasse ad un ignoto paredro umano del Sole
sulla Terra.
Riteniamo altresì che
l’ingresso del punto γ nella costellazione dei Pesci ed i miracoli terreni
di moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 14,13-21; 15,32-39; Mc 6,30-44;
8,1-10; ; Lc 9,10-17; Gv 6,1-13) siano all’origine del primo e più antico
simbolo cristiano a noi noto – i pesci appunto, successivamente sostituito con
la croce – quasi che l’evento miracoloso terreno – che è fra i più
impressionanti dei Vangeli sinottici, tanto da essere menzionato pure in quello
di S. Giovanni, notoriamente più incline alla teologia cristologica che alla
narrazione – trovi la sua ratifica nel cielo, come Gesù aveva detto (Mt 16,19;
24, 30).
Ciò concorda con il
fatto assodato che solo più tardi il simbolo del pesce fu interpretato, nella
sua dizione greca ’̉ιχθύς, come acrostico della
formula confessionale <’Ιησούς = Gesù, Χριστός
= Cristo, Θεου ̃= di Dio,
̉’Υιός = figlio, Σωτήρ =
salvatore>.
Questo simbolismo dei pesci è ricorrente e notevole nella
teologia biblica:
a) essi sono miracolosamente moltiplicati con i pani – a loro
volta simbolo dell’Eucarestia – per nutrire il popolo di Dio (passi sopra
citati);
b) il Risorto appare agli Apostoli e mangia con essi pesce
arrostito, a dimostrazione della Sua esistenza in vita (Lc 24,42);
c) quattro dei dodici apostoli sono pescatori. Ad essi Gesù
aveva promesso di farli diventare “pescatori di uomini” quando li aveva chiamati
al proprio seguito (Mc 1,17; Lc 5,10);
d) Gesù preannuncia la sua resurrezione (Mt 12,39-40; Lc
11,29-30) rifacendosi espressamente alla permanenza del profeta Giona nel
ventre di un enorme pesce (Gn 2,1-11);
e) infine Tobia usa un pesce come rimedio farmacologico per
guarire suo padre Tobi dalla cecità e come rimedio esorcistico contro un
demonio (Tb 6,1-19);
Ma dal punto di vista astronomico vi è anche una seconda
coincidenza forse non casuale:
a) nel 55 a.C. (De Cesaris 2001) il punto γ era ancora,
secondo noi, al limite tra l’Ariete ed i Pesci, circa tra β Arietis e
ξ Piscium;
b) nel 1 a. C. esso era tra ο Piscium e ξ Piscium,
non molto distante da γ Arietis;
c) ma nel decennio 30-40 d. C. esso era tra ο Piscium ed
η Piscium, ormai lontano da qualsiasi stella dell’Ariete: quel decennio è
proprio quello in cui Gesù morì in supplizio inaugurando, secondo la visione
cristiana, la Nuova Alleanza.
Ci pare perciò difficilmente obiettabile che, qualunque fosse
l’anno esatto dell’ingresso del punto γ in Pesci (il discorso è più
complesso per l’ingresso del punto Ω in Vergine, costellazione che misura
ben 45° contro i poco più di 30° dei Pesci), questo ingresso fosse considerato
come l’inizio di una nuova era e fosse contestualmente caricato di forti aspettative
e speranze, sia in ambiente giudaico-cristiano che pagano.
4.4 Congiuntura di eventi astronomici all’inizio dell’Era
Cristiana.
Posto che la stella che “...sorge da Giacobbe ...” (Nm 21,17)
e la Stella di Davide sembrano identificabili con la triplice congiunzione
apparente di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci durante l’anno 7 a.
C. (De Cesaris 2001), per i motivi sopra discussi riteniamo che le aspettative
escatologiche, che abbiamo visto essere così forti nel mondo mediterraneo agli inizi
dell’Era Cristiana, siano state in sostanza alimentate dalla singolare
concomitanza non di uno solo ma di più eventi astronomici cui vennero
attribuite valenze profetiche:
1) l’inizio, dopo oltre duemila anni, di una nuova era
zodiacale con l’uscita del Sole equinoziale dalle precedenti costellazioni
dell’Ariete e della Bilancia ed il suo ingresso in quelle dei Pesci e della
Vergine;
2) il fatto che Pesci e Vergine fossero costellazioni così
dense di significato sia per il mondo giudaico-cristiano che per quello pagano;
3) il ripetersi l’anno 7 a. C., dopo circa novecento anni,
della triplice congiunzione apparente di Giove e Saturno (De Cesaris 2001);
4) il fatto che questa triplice congiunzione apparente si sia
verificata proprio nella costellazione dei Pesci in cui il Sole aveva appena
cominciato a sorgere all’equinozio di Primavera;
5) il fatto che la seconda di queste tre congiunzioni del 7
a. C. si sia verificata nel mese di settembre, quindi mentre il Sole cominciava
a sorgere nella Vergine all’equinozio di autunno (De Cesaris 2001, p. 324);
6) il fatto che l’ultima volta in cui si verificò la
concomitanza di una triplice congiunzione apparente di Giove e Saturno in una
costellazione – il Toro – in cui era appena entrato uno dei punti equinoziali,
risaliva circa al 4100 a.C. (e precisamente al 4098 a.C. secondo il programma
Skyglobe36, con i limiti di precisione che questi programmi commerciali hanno):
ossia erano trascorsi più di 4000 anni dall’evento precedente. E non ci pare
del tutto casuale che appena qualche secolo dopo le letterature rabbinica e
cristiana abbiano anticipato a circa quattromila anni addietro la creazione
biblica che fino ad allora era stata datata a circa cinquemilacinquecento anni
addietro.
Ricordiamo qui che le numerose rappresentazioni ideografiche
di bovidi, soprattutto sotto forma di bucrani, così frequenti nel IV e nel III
millennio a.C. potevano forse rappresentare la costellazione del Toro nella
quale si trovava allora il punto vernale (Codebò e Felolo i.. r.) e che le
molteplici citazioni dell’ariete o del capro o del montone (in campo biblico
per brevità citiamo solo, tra i tanti passi, Gen 22,13 e Lv. 16,1-34 come i più
significativi) potevano forse simboleggiare la Costellazione dell’Ariete in cui
si trovava il punto vernale durante il II ed il I millennio a.C. Ciò ci sembra
in buon accordo con il fatto che, con il passare del tempo, il capro, animale
in origine espiatorio (Lv 16, 1-34) sia divenuto, fino ai giorni nostri, un
simbolo del Maligno: l’Antica Alleanza, stabilita sotto il segno dell’ariete
(Gen. 22,13) è soppiantata dalla Nuova Alleanza sotto il simbolo dei Pesci.
5. Conclusioni.
Nel presente lavoro abbiamo analizzato e confrontato tra loro
le forti aspettative escatologiche sorte nel mondo mediterraneo tra il I secolo
a.C. ed il I secolo d. C. e la singolare concomitanza di eventi astronomici
coevi. Abbiamo concluso che tra queste due realtà vi sono rapporti assai più
stretti di quanto fin’ora ipotizzato ed abbiamo sviluppato una tesi
sull’identità della stella di Betlemme – i punti equinoziali γ ed Ω –
fino ad oggi, a quanto ci risulta, mai avanzata. Nel fare ciò abbiamo dovuto
addentrarci nella lettura di svariate fonti giudaico-cristiane extrabibliche e
pagane, nelle quali abbiamo con sorpresa trovato frequenti e talora consistenti
riferimenti astronomici. Tutto ciò ci ha ulteriormente convinti –
sostanzialmente in accordo con De Santillana e von Dechend (De Santillana G.,
von Dechend H. 2004) – che il peso e l’importanza dell’astronomia nelle culture
del mondo classico e forse anche pre-classico sia stata in gran parte
sottovalutata. Questo sarà l’oggetto di una o più nostre future pubblicazioni.
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Note.
(1) Il termine grotta, tanto caro
all’iconografia natalizia simboleggiata dal presepio, appare per la prima volta
in uno scritto apocrifo, il Protovangelo di Giacomo, composto agli inizi del II
secolo d. C.
(2) Secondo una stima del tragitto dei Magi
effettuato dall’astronomo inglese D. Hughes dell’Università di Sheffield, nel loro
viaggio da Babilonia a Betlemme essi avrebbero percorso una distanza di circa
800 chilometri.
(3) L’ultima supernova visibile senza
l’ausilio di strumenti ottici – battezzata 1987A – esplose il 24/02/1987 nei
pressi della nebulosa della Tarantula, nella Grande Nube di Magellano (una
delle sei galassie satelliti che orbitano attorno alla Terra e che è visibile
nell’emisfero australe). Se si calcolano invece gli eventi all’interno della
nostra galassia, l’ultimo visibile ad occhio nudo fu quello di Keplero nel
1604.
(4) Secondo un uso errato purtroppo ormai
consueto, si usa il termine congiunzione – che propriamente esprime
l’identica ascensione retta di due o più corpi celesti – per indicare la
vicinanza apparente di due corpi sullo sfondo del cielo. Questo fenomeno
tecnicamente si esprime come separazione angolare. Per venire incontro
ad entrambe le esigenze, noi usiamo qui il temine congiunzione apparente per
indicare la separazione angolare. Essa viene definita stretta quando
i corpi sono talmente vicini da entrare nel campo visivo di un telescopio. Essa
viene definita tripla quando i due o più corpi celesti si avvicinano ed
allontanano per tre volte nell’arco di tempo di un anno solare.
(5) The Imperial Bible Dictionary, a cura di P. Faierbairn, Londra, 1874,
vol. II, p. 139.
(6) I Vangeli apocrifi furono scritti
successivamente a quelli canonici, soprattutto a partire dal II secolo. Essi
sono chiaramente un tentativo di provvedere informazioni che gli scritti
ispirati omettono deliberatamente - come le attività e gli avvenimenti relativi
alla vita di Gesù dalla Sua prima infanzia fino al battesimo – o di sostenere
dottrine o tradizioni che non trovano alcun fondamento nella Bibbia o sono in
contrasto con la stessa. La Chiesa Cattolica Romana nel Concilio di Trento (1512-1517,
1545-1563) stabilì che gli apocrifi non dovessero essere annoverati tra gli
scritti sacri del testo biblico.
(7) Poiché il nostro programma informatico di
scrittura non supporta il Greco antico, non è stato sempre possibile scrivere
spiriti e pedici correttamente. Di ciò ci scusiamo vivamente con i lettori e li
rimandiamo a Nestle e Aland.