ARCHEOASTRONOMIA LIGUSTICA
Pubblicato in: Quaderni del LASA, Laboratorio di Antropologia Storica e Sociale
delle Alpi Marittime, n. 2 - marzo 2005, pp. 9-28.
LA ROCCIA CAMUNA DEL SOLE: UN'IPOTESI
ARCHEOASTRONOMICA
Mario Codebò, Piero Barale, Marco Castelli, Henry De Santis, Liliana Fratti, Elena Gervasoni
1) Introduzione.
Nel 1997 Elena Gervasoni, promotrice dell'archeoastronomia in Val Camonica (Gervasoni 1997), mostrò ad Enrico Calzolari ed a Mario Codebò il complesso noto come "capitello dei due pini" (nel comune di Paspardo, in località Plas, nella provincia di Brescia, Italia), già studiato dal Centro Camuno Studi Preistorici CCSP (Anati 1957, pp. 189-220; 1982) e datato al periodo camuno III-A (III millennio a. C.). Mario Codebò ritenne subito di potervi ravvisare le tipiche caratteristiche del luogo di culto su altura. Poiché il sito appariva promettente, si decise di avviarvi un'indagine archeoastronomica.
2) I luoghi di culto su alture.
Secondo M. Codebò i siti di questo genere sono generalmente caratterizzati dai quattro seguenti aspetti:
1) posizione dominante su di una vasta area sottostante;
2) amplissima panoramicità;
3) tracce materiali di frequentazione cultuale nella preistoria;
4) segni di cristianizzazione con probabile scopo "esorcistico".
Luoghi di questo genere sono abbastanza frequenti nell'arco alpino, ancorché non sempre dotati di tutte le quattro caratteristiche summnezionate. Per citare un esempio ben studiato, il M. Castello sull'altopiano dello Sciliar, "luogo di rogo votivo" in provincia di Bolzano (Leonardi 1991, pp. 60-61; AA.VV. 1999, pp. 54-55), manca dei segni di cristianizzazione, mentre gli altri tre aspetti sono tutti presenti.
Per quanto riguarda l'area ligure, M. Codebò ritiene che possa inquadrarsi in questo contesto la "Pietra di Marcello Dalbuono" nel Finalese (Codebò, 1995, p. 50; 1999, Symposium 1A: New Approaches), mentre I. Pucci ha fornito in passato una panoramica - anche troppo sintetica - dei luoghi di culto, accertati o presunti, degli antichi Liguri (Pucci 1997).
La località camuna Plas ha tutte le quattro caratteristiche sopra menzionate:
1) domina sulla conca sottostante, ove si trova la massima concentrazione delle incisioni rupestri camune (Capo di Ponte, Cemmo, Bedolina, Nadro, Naquane, ecc.);
2) il panorama è amplissimo: oltre 180° da nord a sud sul versante occidentale della valle;
3) i petroglifi più antichi sono datati al III millennio a. C. e quelli più recenti (esclusi i contemporanei) al medioevo;
4) i segni di cristianizzazione sono abbondanti: alcune croci lignee lungo il sentiero ed una cappella, recentemente restaurata, sita tra il "capitello dei due pini" ed un contiguo riparetto sotto-roccia (abri degli autori francesi).
A proposito di quest'ultimo, gli studi del CCSP hanno messo in evidenza un'antica frana che sigillerebbe sotto di sé gli strati preistorici (cortese comunicazione personale del prof. Anati a Mario Codebò in occasione del Valcamonica Symposium 1999).
Un ulteriore rafforzamento dell'ipotesi sacrale del luogo è dato dalla sua collocazione tra due montagne - il Pizzo Badile a est e la Concarena a ovest - comunemente ritenute "sacre" per gli antichi Camuni.
Il primo, di forma aguzza e slanciata, rappresenterebbe il principio maschile; la seconda, tondeggiante e ricca di fessure verticali in prossimità della cima, il principio femminile (Priuli 1983, foto n. 1; Beretta 1997, p. 68).
Non sarebbe
dunque casuale che la massima concentrazione di petroglifi si collochi proprio
in questa porzione di valle compresa tra queste due cime.
Un esempio analogo di connubio mistico tra due montagne, simboleggianti i
divini principi maschile e femminile, è stato riconosciuto da P. Barale e M.
Codebò nel proverbio piemontese "il Monviso sposa la Bisalta". Il
primo, massima vetta delle Alpi a sud della Valle d'Aosta, con la sua forma
aguzza e "fallica" ed i suoi 3841 metri di altezza, si staglia
nettamente sul profilo più basso delle Alpi Cozie circostanti, le cui altezze
non superano i 3500 metri circa di quota. Chiamato in latino Mons Vesulus, pare
che il suo nome derivi da una radice preindoeuropea *ves = altura, nel senso di
"monte isolato e visibile da lontano" (Bruno 1991, p. 87).
La seconda, vicinissima a Cuneo ed all'antica Augusta Bagiennorum (Barale,
Codebò, De Santis 2001, pp. 489-502), con la sua vetta a forma di esteso ed
ondulato altopiano terminante ad ogni estremità con due tondeggianti
prominenze, richiama alla mente, particolarmente da alcune angolazioni, il
profilo del seno femminile.
Poiché "bis" significa "due", il nome stesso vuole forse
indicare il fatto che la montagna ha due cime: "bis alta" = "due
volte alta" o "con due cime".
3) La località Plas.
L'attenzione degli scriventi fu subito attratta dal così detto "petroglifo del Sole"(foto n. 1), costituito da un cerchio affiancato da altri due più piccoli e dal quale si dipartono tre fasci di raggi rivolti verso il basso, con andamento verticale quello centrale ed obliqui gli altri due.
Foto n.1 (Foto Mario Codebò).
Esso è presente anche altrove:
1) sulle statue-stele di Caven, Cornal e Valgella;
2) sulla faccia n. 1 del masso di Borno;
3) in altre località europee.
Comunemente è interpretato come un pendaglio ornamentale o come un simbolo solare.
Gli scriventi,
però, ritengono che le due interpretazioni non siano tra loro incompatibili:
infatti una rappresentazione simbolica di qualcosa dal significato pregnante
può facilmente trasformarsi in un oggetto ornamentale da indossare. Basti
pensare alla croce cristiana portata, generalmente al collo, da molti fedeli.
Più avanti ritorneremo sulla dinamica psicologica del simbolo e sulla sua
evoluzione da oggetto reale ad oggetto simbolico intrapsichico alla luce delle
dottrine freudiane.
Riconosciuto, dunque, in località Plas un possibile luogo di culto,
nell'impossibilità di ricavare prove certe dallo scavo - l'unica area che
potrebbe dare qualche risultato è quella del riparetto sotto-roccia, sigillata
dalla frana - si scelse di svolgere una ricerca indiziaria basata sugli
elementi di superficie, anche allo scopo di fornire elementi ed un possibile
indirizzo per future, approfondite indagini.
La panoramicità del luogo verso ponente; la presenza dell'inconfondibile simbolo solare sulla parte superiore del capitello; il "petroglifo solare" sulla sottostante "roccia del Sole" (fig. n. 1); la particolare morfologia della rocciosa parete valliva orientale - quasi verticale, sì che il Sole in località Plas sorge già quasi allo zenit - spinse gli autori ad ipotizzare che l'oggetto del culto fosse il Sole al tramonto.
Fig.n.1 (Disegno Piero Barale).
Di conseguenza furono programmate una serie di osservazioni ai solstizi ed agli equinozi.
Ovviamente, non cambiando l'azimut del Sole in occasione di questi ultimi, fu indifferente osservare intorno al 21/03 od al 23/09, mentre per i primi, rappresentando essi le massime amplitudini (1) dell'astro diurno nel corso dell'anno, fu necessario programmare distinte osservazioni intorno al 22/12 ed al 21/06. Inoltre, poiché ai solstizi il moto apparente del Sole sembra arrestarsi per alcuni giorni - da cui il termine "Solis statio" - prima di invertire la sua direzione, ed agli equinozi, invece, raggiunge la massima velocità modificando sensibilmente l'azimut ogni giorno, fu necessario programmare alla data esatta del fenomeno le osservazioni equinoziali, mentre poterono essere eseguite validamente anche nei due-tre giorni antecedenti o successivi quelle solstiziali. In altre parole, per eseguire i rilievi necessari, si ebbero a disposizione un solo giorno utile agli equinozi e circa cinque a ciascun solstizio. Infine, a complicare ed allungare ulteriormente le indagini, si presentò, come sempre, il rischio che, nei pochi giorni utili alle osservazioni, condizioni meteorologiche avverse nascondessero completamente il Sole: cosa che si verificò puntualmente al solstizio invernale del 1997.
Tutto ciò rende ragione del fatto che il nostro studio richiese due anni abbondanti di tempo prima di essere completato.
A proposito del ritardo cronologico di tre/quattro giorni tra il vero fenomeno astronomico dei solstizi e l'inversione apparente del moto solare, può essere interessante notare che proprio al terzo giorno successivo alla data media del solstizio invernale - 22/12 - e di quello estivo - 21/06 - sono state poste, nella liturgia cattolica, le ricorrenze della nascita di Gesù Cristo e del Suo precursore Giovanni Battista, a sottolineare che il Primo è l'autentico "Sol invictus", iniziatore della nuova epoca testamentaria di luce per il mondo, ed il secondo è la conclusione di quella antica.
E' interessante notare il fatto che numerosi studi archeoastronomici (Gaspani 1999, pp. 30-39; Lebeuf 1991, pp. 195-203; Romano 1985; 1992, pp. 47-67; 1995, pp. 93-111), fra cui anche alcuni di due autori del presente lavoro (Bulgarelli, Codebò, De Santis 1998, pp. 206-220; Bonòra, Calzolari, Codebò, De Santis 1999, pp. 285-292; Bonòra, Codebò, De Santis, Marano Bonòra 2000, pp. 171-177; Codebò 2001, pp. 125-129; Codebò 2003, pp. 45-50; Codebò e De Santis 2003, pp. 35-44; Codebò e De Santis c.s.) e qualcuno non privo di qualche inesattezza (Gaspani 1998, pp. 34-41), hanno posto in evidenza le notevoli conoscenze astronomiche dei monaci medioevali e l'attenzione ai relativi fenomeni nella costruzione degli edifici del culto cristiano: lo studio dell'archeoastronomia medioevale cristiana – che ha avuto un pioniere in Aldo Tavolaro - è un interessante capitolo, ancora in embrione, di questa nuova disciplina.
4) Il "petroglifo del sole".
Questo petroglifo, a causa della sua particolare forma (fig. n. 2), è suscettibile di ulteriori interpretazioni. Infatti esso ben si presta a rappresentare le tre più significative posizioni quotidiane del Sole: alba, mezzogiorno (ovvero: la sua culminazione al meridiano locale) e tramonto.
Fig.n.2 (Disegno Piero Barale).
Ma, come si è detto, la morfologia del luogo, che impedisce totalmente la visuale del sorgere mentre offre la massima visuale del tramonto in tutti i giorni dell'anno, e la presenza di raggi rivolti verso il basso, comunemente interpretabili come simbolo del tramonto là dove invece quelli rivolti verso l'alto simboleggerebbero il sorgere, fanno propendere piuttosto per il simbolismo dell'escursione annua del Sole sulla linea occidentale dell'orizzonte visibile. In tale contesto interpretativo, il fascio centrale rappresenterebbe il tramonto agli equinozi ed i due laterali il tramonto ai solstizi.
Per verificare tale ipotesi, si suppose che l'angolo formato dai tre fasci di raggi (verticale quello centrale ed obliqui i due laterali) coincidesse in una certa misura con quanto effettivamente visibile sulla linea dell'orizzonte.
Rilevata su lucido l'incisione da parte di P. Barale, le misure angolari ottenute furono le seguenti:
a) margini interni del fascio di sinistra e del fascio centrale: 32°;
b) margini interni del fascio di destra e del fascio centrale: 28,5°;
c) margini interni del fascio di sinistra e di quello di destra: 60.5°.
4a) Le misure astronomiche e l’interpretazione.
Le campagne di misurazione furono effettuate con i seguenti strumenti:
a) squadro sferico graduato a lettura diretta dei 5 primi centesimali (corrispondenti a 0°04'30" sessagesimali) per le misure azimutali;
b) inclinometro Suunto a disco con lettura diretta di 1° sessagesimale e stima del quarto di grado per le misure zenitali;
c) orologio Jughans radiocontrollato, commercializzato con un errore pari a ±0,0000000027 secondi al giorno, corrispondenti a ±0,000000986175 secondi per anno tropico di 365,2422 giorni solari. Questo strumento altro non è che un normale orologio al quarzo, dotato di una radio che ogni ora riceve il segnale emesso, sulla frequenza di 77,5 kHz, dalla trasmittente ubicata presso Frankfurt am Main, la quale, a sua volta, riceve via cavo l'ora campione dell'orologio al cesio 133 del Physikalisch-Techniscen Bundesanstalt di Braunschweig.
Come è noto, i 9 192 631 770 di "oscillazioni" al secondo dell'atomo di cesio 133 costituiscono, attualmente, il metodo standard di misurazione del tempo.
Una valida alternativa all'orologio radiocontrollato è il GPS, poiché il segnale orario che riceve proviene anch'esso da orologi al Ce 133 per il tramite della rete satellitare Global Position System;
d) bussola prismatica Wilkie a lettura diretta di 1° e stima di 0°30' sessagesimali per le misure magnetiche;
e) livelle toriche e filo a piombo per la messa in stazione degli strumenti;
f) paline topografiche;
g) doppio decametro a nastro;
h) macchine fotografiche reflex Yashica FX-3 Super con obiettivo zoom mm. 35-70 1:3,5-4,8 e Praktica con ottiche Zeiss.
Le misure ed i calcoli astronomici furono eseguiti con i metodi descritti in Codebò 1997, pp. 39-109, frutto, per altro, di una semplice collazione di altri testi ivi citati in bibliografia.
Le coordinate
geografiche del sito, determinate con triangolazioni magnetiche ed altimetria
su carte topografiche I.G.M. 1:25.000 e 1:100.000, sono risultate le seguenti:
lat. 46°02'24"N,
long. 10°21'49"E,
q.m. 900 s.l.m. (dati europei 1950).
Con il rilevante
contributo di Giuseppe Brunod, Sandro Panteghini, Federico Troletti, Paolo
Turelli ed altri amici, furono organizzate osservazioni del tramonto del Sole
agli equinozi ed ai solstizi, che, anche a causa di condizioni meteorologiche
non sempre favorevoli, si sono protratte per oltre due anni.
Esse hanno consentito di determinare visivamente e con precisione i punti
dell'orizzonte visibile in cui il Sole scompare e di misurarne con gli
strumenti l'angolo di separazione.
Il 20/03/1998 alle ore 16.36 TU (ore 17.36 italiane) fu identificato il punto
del tramonto equinoziale apparente in una falsa sella – in realtà
prospettica - tra la vetta della Concarena a sud e del M. Elto (o del Pizzo
Garzeto) a nord (foto n. 2). L'azimut astronomico Aa è oggi 264°, essendo l'altezza
dell'orizzonte visibile ho = +7°. L'azimut magnetico Amg fu misurato in 260°.
Foto n.2 (Foto Mario Codebò).
Il 18/12/1998 (e giorni successivi) il punto del tramonto solstiziale invernale apparente fu identificato sul versante meridionale della Concarena (foto n. 3), con altezza dell'orizzonte visibile ho = +7° ed azimut magnetico Amg 225°.
Purtroppo, non essendo stato accidentalmente rilevato l'istante del tramonto, non è stato possibile calcolare l'azimut astronomico Aa.
Foto n.3 (Foto Marco Castelli).
Il 18/06/1999, alle ore 18.41 UT (ore 19.41 italiane), il punto del tramonto solstiziale estivo apparente fu identificato dietro la vetta del M. Elto (o del Pizzo Garzeto) (foto n. 4), con un'altezza dell'orizzonte visibile ho = +14°, un azimut magnetico Amg = 289° ed un azimut astronomico Aa = 290,5°. Quest'ultimo, a causa della precessione planetaria, risultava essere 291,3° nel 2500 a. C.
Foto n.4 (Foto Mario Codebò).
Gli angoli di separazione, misurati
fra i tre punti suddetti, sono, dunque, i seguenti:
a) 27,8° (media fra 29° misurati con lo squadro sferico graduato e 26,5°
risultanti dalla differenza tra gli azimut astronomici, con scarto quadratico
medio s.q.m.= ± 1,4° tra il punto equinoziale e quello solstiziale estivo;
b) 34,5° tra il punto equinoziale e quello solstiziale invernale, misurati con
lo squadro sferico graduato.
c) 62,35° (64° magnetici) tra i due punti solstiziali estivo ed invernale,
espressione dell'escursione locale annua apparente del sole.
Come si vede, questi valori hanno una buona concordanza con quelli del
petroglifo (tab. n. 1):
tabella n. 1. |
orizzonte |
petroglifo |
arco equinozi/solstizio estivo |
27,8° |
28,5° |
arco equinozi/solstizio invernale |
34,5° |
32° |
arco solstizii estivo/invernale |
62,35° |
60,5° |
Riteniamo, quindi, provata l'ipotesi iniziale: il "petroglifo del sole" è, probabilmente, la rappresentazione simbolica dell'escursione annua solare sull'orizzonte occidentale visibile dalla località Plas.
Ad ulteriore conferma di ciò e del fatto che il sito era, probabilmente, un luogo destinato al culto del sole, Codebò ha potuto osservare un interessante fenomeno: al solstizio d'estate, pochi minuti prima della completa scomparsa del disco dietro la vetta del M. Elto (o del M. Garzeto), i raggi dell'astro vanno ad illuminare l'incisione del sole a ventiquattro raggi sulla parte superiore del Capitello dei Due Pini, mentre la restante parte della composizione rimane in ombra.
Purtroppo, durando il fenomeno solo pochi minuti ed essendo stato allora del tutto inaspettato, egli non fece in tempo a fotografarlo.
4b) I due cerchi laterali minori.
Essi potrebbero
rappresentare, con il cerchio maggiore centrale, le tre posizioni del Sole
all'alba, al mezzogiorno ed al tramonto, oppure ai solstizi ed agli equinozi.
Ma la prima ipotesi ci pare scartabile in conseguenza, come già detto, della
geomorfologia del luogo che rende visibile il sorgere del Sole praticamente a
mezzogiorno, e la seconda in conseguenza della rappresentazione di solstizi ed
equinozi per mezzo dei tre fasci di raggi.
Resta pertanto una sola, a nostro parere, plausibile ipotesi astronomica: essi
rappresentano il moto della Luna attorno al Sole durante i suoi due cicli
sinodico e di retrogradazione dei nodi. Il primo ha un periodo di 29,53059
giorni (Zagar 1948, p. 238) ed il secondo di 6798 giorni (Meeus 1990, p. 68.) o
6793 giorni (Zagar 1948, p. 236).
La Luna, infatti, essendo la sua orbita inclinata mediamente di 05°09' sul piano dell'eclittica, durante ogni mese sinodico sembra spostarsi a destra e a sinistra del Sole, effettuando una sorta di vera e propria “danza” (Cossard, 1993, pp. 83-84) attorno all’astro diurno. Ci pare quindi plausibile il parallelo tracciato da Gaudenzio Ragazzi tra fenomeni celesti e certe danze rituali, le seconde essendo rappresentazione delle prime (Brunod, Ferreri, Ragazzi 1999, pp. 149-167).
Per effetto della retrogradazione dei nodi, questo movimento lunare raggiunge un massimo ogni 6798 (o 6793) giorni, corrispondenti a 18,61 anni, pari a 18 anni e 222,65 giorni, ossia circa 18 anni e 7 mesi. In occasione di questo massimo la Luna sorge e tramonta più a nord e più a sud dei punti di levata e tramonto del Sole, rispettivamente, al solstizio d'estate e a quello d'inverno.
Il fenomeno è molto appariscente e le indagini archeoastronomiche condotte sui principali megaliti europei hanno dimostrato che fu molto osservato durante la preistoria (Burl 1993; Hadingham 1978; Proverbio 1989; Romano 1992; Cossard 1993).
In particolare, la necropoli calcolitica di St. Martin de Corléans presso Aosta (Italia) fu impostata fin dalla sua prima fase (circa 3100 a. C.) proprio nella direzione in cui l'astro notturno sembrava "rotolare" lungo il fianco di una montagna prospiciente - esattamente verso il punto in cui veniva brevemente occultata da una piccola cima prominente - quando, ogni 18,61 anni, raggiungeva il suo estremo azimut meridionale, sorgendo e tramontando più a sud del Sole al solstizio d'inverno (Cossard, Mezzena, Romano 1991, pp 43-61; Romano 1992, pp. 75-84).
Ricordiamo che questa necropoli, scoperta nel 1969 e scavata fino al 1990 dalla Soprintendenza Archeologica della Valle d'Aosta sotto la direzione del dott. F. Mezzena, fu utilizzata circa dal 3100 al 1900 a. C. e che le sue strutture hanno rivelato ben 18 allineamenti astronomici così ripartiti:
4 verso il tramonto più meridionale della Luna
2 verso il tramonto più settentrionale della Luna
1 verso il sorgere più settentrionale della Luna
2 verso il sorgere del Sole al solstizio d'inverno
3 verso il tramonto del Sole al solstizio d'inverno
2 verso il sorgere di Betelgeuse (? Orionis) nel III millennio a. C.
3 verso il tramonto di Deneb (? Cycni) nel III millennio a. C.
1 verso il sorgere del Sole nelle feste di Beltane (primi di maggio) e/o Lamas (metà di agosto).
Chi volesse approfondire i particolari di questo straordinario monumento, può trovarli nei già citati lavori di Cossard, Mezzena, Romano 1991, di Romano 1992, di Cossard 1993 e di Mezzena 1997.
5) Confronti.
Il
"petroglifo del Sole" è riprodotto, in forma più o meno simile, in
altre località europee, le più interessanti delle quali ci sembrano le
statue-stele valtellinesi di Caven.
Qui il simbolo è completato da un grafo a forma di ferro di cavallo o di U,
costituito da più righe parallele semicurve e disposte alla base dei fasci di
raggi uscenti dal disco.
Esso non è presente in località Plas, ma abbiamo avuto la sorpresa di vedere da
qui sul fondovalle quello che riteniamo possa esserne il modello originale:
un'aratura del suolo a forma di ferro di cavallo (foto n. 5).
Foto n.5 (Foto Mario Codebò).
Già Giuseppe Brunod aveva fatto notare (Brunod 1997, pp. 95-118 e foto nn. 74-75) come tutt'oggi in alcune regioni europee - Spagna in particolare - sia ancora in uso questo peculiare modo di arare il terreno per la semina del grano.
Nel contesto della nostra interpretazione archeoastronomica, esso potrebbe rappresentare l'immagine della terra riscaldata, vivificata e fecondata dai raggi solari durante l'anno.
Ciò confermerebbe la tripartizione dell'iconografia statuaria camuna in mondo uranio nel registro superiore, mondo terreno in quello intermedio e mondo ctonio in quello inferiore (Anati 1982).
Una verifica
della bontà della nostra ipotesi potrebbe essere cercata proprio studiando le
altre località dove è rappresentato il medesimo grafo: se anche in esse si
riscontrassero le medesime condizioni di visibilità dei tramonti solstiziali ed
equinoziali, l'interpretazione astronomica del simbolo ne verrebbe notevolmente
rafforzata.
Sfortunatamente, essendo il petroglifo riprodotto frequentemente su strutture
mobili (come le statue-stele di Caven), di molti siti si è persa l'esatta
ubicazione, mentre, per uno studio archeoastronomico corretto, occorrono
coordinate geografiche, azimut ed altezze d'orizzonte estremamente precisi,
poiché modeste differenze, specie in altezza dell’orizzonte visibile ho,
possono alterare sensibilmente i risultati.
L'indagine, a carattere prettamente statistico, dovrebbe quindi essere condotta sui siti europei ove, come in località Plas, il grafo è riprodotto su rocce inamovibili. Ma ciò, temiamo, impone adeguati finanziamenti!
Vogliamo qui accennare anche all'interpretazione astronomica del "petroglifo del Sole" proposta, più o meno contemporaneamente alla nostra, da Adriano Gaspani (Gaspani 2000 a, pp 32-39): il grafo, riprodotto anche su almeno una moneta romana, commemorerebbe la comparsa di una stella cometa o di un meteorite particolarmente vistoso.
Purtroppo, quando presentammo il nostro studio al Valcamonica Symposium 1999, il lavoro di Gaspani, benché già pronto, non era stato ancora pubblicato, né avevamo ancora avuto il piacere di conoscere l'Autore, cosa che capitò pochi mesi dopo alla presentazione del libro di Brunod, Ferreri e Ragazzi “La rosa di Sèllero e la svastica”. Non ci fu così possibile citarlo nel nostro primo studio. Noi riteniamo che l'interpretazione di Gaspani, benché seducente, abbia meno probabilità della nostra di essere esatta, perché basata, sostanzialmente, su similitudini di forma e d'immagine, mentre la nostra è confortata da alcuni sia pur deboli riscontri oggettivi, quali:
1) la concordanza tra le misure angolari del petroglifo e dei punti significativi di tramonto solstiziali ed equinoziali;
2) la visuale esclusivamente occidentale ma ampia che si gode da località Plas;
3) l'indiscutibile funzione “religiosa” di questo sito.
Diciamo che nessuna delle due ipotesi possiede elementi soverchianti o certiori rispetto all'altra, ma che la nostra ci sembra più semplice e più aderente al contesto.
6) Evoluzione del simbolo.
Sappiamo che il "petroglifo solare" è stato interpretato diversamente (per esempio, come pendente ornamentale).
A nostro parere ciò non è affatto in contrasto con il ben preciso significato astronomico da noi qui proposto.
Infatti, come noto, secondo la dottrina freudiana ortodossa la rappresentazione simbolica originaria di un "oggetto" o di un evento pregnante subisce con il tempo una separazione dall'"oggetto" rappresentato ed un'evoluzione autonoma, per cui, alla fine, il significato originario del simbolo viene completamente dimenticato o "rimosso" ed il simbolo stesso acquista una sua apparentemente totale autonomia, potendosene riconoscere gli originari rapporti con l'"oggetto-madre" solo per via analitica (S. Freud 1899, passim).
Il più cospicuo esempio di questo "lavoro di rimozione", del tutto analogo a quello "onirico", è la perdita del ricordo dell'originario scopo anti-incestuoso dei sopravvissuti tabù endogamici (S. Freud 1912-1913 passim).
Anche nel nostro caso, benché in presenza di un’assai meno pregnante motivazione pulsionale, possiamo ipotizzare un meccanismo simile: dimenticato, con il passare del tempo e delle generazioni, il significato astronomico originario, il "petroglifo del Sole" potrebbe essersi trasformato in un semplice ornamento, perdendo così il contatto immediato con l'evento (astronomico) che lo aveva generato.
Un destino simile potrebbe avere avuto la svastica dal suo originario significato alla sua diffusione come semplice figura ornamentale (su vasi, ecc.).
Che qualunque oggetto, purché con gli attributi necessari, possa diventare un simbolo e perciò possa essere in grado di rappresentare efficacemente il suo simbolizzato indipendentemente dalla propria arcaicità, ci pare efficacemente dimostrato dal dirigibile che, pur creato solo nella prima metà dell’appena trascorso XX secolo, immediatamente diventò uno dei simboli onirici più ricorrenti per rappresentare l’organo sessuale maschile (Freud 1899, pp.324, 328; 1900 p. 47; 1915-1917 p. 326), per svanire successivamente dai sogni in parallelo con la sua scomparsa reale dai cieli.
7) Gli altri petroglifi.
Sono stati indagati, particolarmente ad opera di P. Barale e M. Castelli, anche due antropomorfi ed una composizione a quattro coppelle (fig. n. 5) presenti, rispettivamente, lungo il sentiero e sul masso prospicienti la cappelletta votiva.
Fig.n.5 (Disegno Marco Castelli)
Pur abbandonate, grazie alla cortese segnalazione del Prof. Anati in occasione del Valcamonica Symposium 1999, le primitive ipotesi:
a) che fossero coevi al “capitello dei due pini”;
b) che vi sia il rapporto di fig. 6 tra le coppelle sul masso sigillante il paleosuolo dell’abri ed i fenomeni astronomici (Codebò, Barale, Castelli, De Santis, Fratti Gervasoni 1999); resta indiscutibile che:
1) l’antropomorfo a braccia aperte (fig. n. 3) ha la testa rivolta verso il punto del tramonto agli equinozi,
2) l’antropomorfo a tre gambe (fig. n. 4), che Piero Barale interpreta come una scena di zappatura, “lavora” guardando, anch’esso, il medesimo punto.
Fig.n.3 (Disegno Piero Barale). |
Fig.n.4 (Disegno Piero Barale). |
Se essi sono veramente medioevali, allora la conclusione non sembra poter essere che una: l’uso del sito come “osservatorio” dei fenomeni solari occidentali salienti nell’anno si è protratto per ulteriori tremila anni circa, fino al Medioevo.
Fig.n.6 (Disegno Piero Barale).
E se, come scrisse Anati nel 1957 (Anati 1957, pp. 189-220), “…Il capitello dei due pini è l’ultima immagine sacra figurata in questo luogo nel quale una tradizione di culto si è tramandata fin dall’alba della civiltà camuna, probabilmente, senza interruzione per oltre tremila anni…”, noi, sottoscrivendo ciò, aggiungiamo che il culto fu, con ogni probabilità, quello del sole, accompagnato nel suo moto annuo dalla “danza” della luna.
Il fatto non deve stupire. Abbiamo già accennato più sopra all’importanza attribuita nell’edilizia religiosa cristiana alla puntigliosa ricerca ierofanica di allineamenti astronomici significativi, generalmente sostituiti con l’orientamento verso il sorgere od il tramontare del Sole nelle ricorrenze religiose più importanti (S. Natale, S. Giovanni Battista, S. Patrono cui la chiesa venne dedicata, ecc.): in Italia (Codebò 2001; 2003; Gaspani 2000 b) ed in Liguria ne sono state individuati parecchi esempi (Codebò e De Santis 2003; Bonòra, Calzolari, Codebò, De Santis 1999, c.s.; Bonòra, Codebò, De Santis, Marano Bonòra c.s; Bonòra, Calzolari, Codebò, De Santis c.s.).
Abbiamo anche accennato alla lunga frequentazione – dall’Età del Bronzo alla Tarda Romanità – del M. Castello sull’altopiano dello Sciliar (Bolzano) ed alla “Pietra di Marcello Dalbuono”, in cui un “masso-altare”, certamente connesso ai tramonti del Sole agli equinozi ed al solstizio d’estate, potrebbe essere stato innalzato dai frequentatori calcolitici (Maggi e Pastorino 1984, pp. 171-173) del vicino riparo Fascette I, ma fu certamente decorato con cruciformi e segni alfabetici in età medioevale (Codebò 1995, p. 34; 1999).
8) La questione degli equinozi (2).
Durante il
convegno internazionale Archeoastronomia: un dibattito tra archeologi ed
astronomi alla ricerca di un metodo comune che l'I.I.S.L., sez. di Genova, ha
organizzato nel 2002 (vedere in http://www.archaeoastronomy.it)
è stato discusso se gli allineamenti equinoziali preistorici fin'ora trovati
siano intenzionali o casuali.
Al convegno - tenutosi in due fasi, la prima a Genova e la seconda a Sanremo -
erano presenti, fra gli altri, anche Michael Hoskin e Clive Ruggles, rispettivamente
editor e associate editor della rivista Archaeoastronomy, Supplement to Journal
for the History of the Astronomy. Sul n. 22 del 1997 C. Ruggles (Ruggles 1997,
pp. S45-S50) aveva pubblicato l'articolo Whose equinox?, in cui, contrapponendosi
alla tesi esposta nell'articolo Pre-Hispanic equinoctial markers in Gran
Canaria pubblicato in due parti sulla stessa rivista (Esteban, Schlueter,
Belmonte, Gonzàlez 1996-1997), sostiene la sostanziale casualità degli
allineamenti equinoziali preistorici per il fatto che l'equinozio, a differenza
dei solstizi, non è un fenomeno eclatante e ben visibile e che solo misure
strumentali, perciò moderne, permettono di riconoscerlo. Ricordiamo che esso è
l'istante in cui il centro geometrico del Sole attraversa l'equatore
astronomico (cosiddetto equinozio vero); solo in questo momento - che, come
noto, si ripete due volte all'anno: intorno al 21/03 ed al 23/09 - l'angolo tra
eclittica, su cui si muove apparentemente il Sole, ed equatore celeste è 0°. La
conseguenza immediata di ciò è che la giornata è divisa in due metà identiche e
simmetriche: dodici ore di luce e dodici di tenebre.
Nonostante questa impossibilità visuale, nella Pre-Protostoria sono stati
tracciati evidenti allineamenti equinoziali ed è ben noto che, soprattutto le
popolazioni protostoriche, suddividevano lo spazio in quattro parti. Nella
penisola italica tale suddivisione ebbe il nome di templum (crf. anche G.
Devoto 1977, pp. 15-18).
Il problema va dunque riformulato nella seguente maniera: se l’equinozio non è
un fenomeno astronomico chiaramente visibile come i solstizi e se, d’altra
parte, l’allineamento E-W era noto in antico, come possono essere stati
tracciati gli allineamenti equinoziali?
Un primo metodo consiste nel riconoscere la direzione N-S, ossia l’asse polare 0°-180°: la sua ortogonale 90°-270° è l’asse equinoziale o asse E-W . In assenza di una Stella Polare (che però intorno al 6000 a. C. era rappresentata da a Draconis) si può procedere in diversi modi:
1) osservando molto attentamente la rotazione delle stelle circumpolari (10) per una lunghissima serie di notti di seguito: un osservatore attento localizzerà, prima o poi, il punto intorno a cui ruota la volta celeste;
2) osservando il sorgere ed il tramontare di una stella circumpolare su un orizzonte artificiale, quale può essere un muro di pietre o di legna opportunamente costruito ed orizzontalizzato: poiché la circumpolare descriverà su di esso un semicerchio, di cui il piano è, in tutto od in parte, il diametro, il punto di mezzo tra i due estremi di tale semicerchio. identifica il centro di rotazione della volta celeste (Romano 1992, pp. 183-189);
3) misurando -
per esempio con una semplice balestriglia – la massima altezza diurna del Sole,
la quale coincide, con buona approssimazione, con la culminazione dell’astro
sul meridiano del luogo. E poiché quest’ultimo decorre da N a S, ossia da 0° a
180°; la sua ortogonale 90°-270° è l’asse equinoziale.
Un secondo metodo consiste nel piantare uno gnomone verticale al centro di uno
o, meglio, più cerchi concentrici orizzontali, i cui punti toccati dall’ombra
del palo all’alba ed al tramonto giacciono sull’asse equinoziale E-W. Il
metodo, detto del cerchio indiano, è noto da tempi antichissimi, ma non è
d’immediata intuizione come i precedenti (Romano 1992, pp. 36-39).
Un terzo
sistema, non molto preciso, consiste nel calcolare la metà dei giorni che
intercorrono tra due solstizi. La sua poca precisione è data da due fattori:
a) l’equinozio non cade esattamente a metà tra due solstizi, poiché l’orbita
della Terra è un ellisse ed è perciò percorsa con moto non uniforme: tra
l’equinozio di primavera e quello d’autunno intercorrono, attualmente, 186
giorni, mentre tra quello d’autunno e quello di primavera 179 giorni. Ma tali
intervalli di tempo sono destinati a modificarsi nel tempo a causa della lenta
rotazione della linea degli apsidi - ossia l’asse maggiore che congiunge
perielio ed afelio - dell’orbita terrestre (Proverbio 1989, pp. 190-194; Romano
1992, pp. 183-193);
b) il momento esatto del solstizio non è facilmente identificabile. Infatti il Sole si ferma (solis statio) apparentemente per qualche giorno prima d’invertire il suo spostamento diurno sul profilo dell’orizzonte visibile. Perciò l’incertezza sulla data esatta di ciascun solstizio è di circa cinque giorni. Non a caso l’antico calendario romano attribuito a Numa Pompilio era di 354-355 giorni (Bickerman 1963, pp. 37-42; Cappelli 1998, p. 25; Flora 1987, pp. 339-342) e non a caso le festività del S. Natale e di S. Giovanni Battista sono state collocate 3-4 giorni dopo i relativi solstizi!
E’ probabile che tutti questi metodi siano stati usati.
Codebò perciò ha
sostenuto al convegno del 2002 che il problema degli allineamenti equinoziali è
fondamentalmente un equivoco formale di termini anziché sostanziale di
meccanica celeste: quando gli astronomi parlano di allineamenti equinoziali
intendono allineamenti sull’istante esatto in cui il centro geometrico del Sole
attraversa l’equatore celeste (equinozio vero); gli archeologi, invece,
intendono più semplicemente e genericamente l’allineamento E-W.
In archeoastronomia è dunque importante non confondere gli equinozi veri con
gli allineamenti E-W.
9) Conclusioni.
L’indagine al “Capitello dei Due Pini” ci ha mostrato come elementi d’interesse archeoastronomico possano essere riscontrati non solo in alzati (strutture megalitiche, ecc.) e sepolture, ma anche in petroglifi.
Qualcosa di simile era già stato riscontrato nel Finalese ligure:
1) al Ciappo de Cunche ed al Ciappo dei Ceci dove cruciformi inscritti in quadrilateri sono orientati sui quattro punti cardinali (Codebò 1995; 1999);
2) nella valletta fossile di Nava, dove cruciformi chiaramente cristiani sono pure orientati nelle medesime direzioni (Codebò 1995; 1999).
Ci pare quindi
opportuno raccomandare l’estensione dell’indagine archeoastronomica anche alle
manifestazioni dell’arte rupestre, pena il rischio di perdere per incuria dati
che potrebbero risultare positivi e quindi utili sia per l’interpretazione dei
simboli che per la ricostruzione delle culture che li hanno prodotti..
Qualche cosa è già stato fatto (Barale 1997, pp. 311-329; 2000; Codebò 1999,
Cossard 1993; 1996; Dall’Agnola 1991, pp. 180-194; Jiménez Gonzàles 1991, pp.
190-194; Rappengluck 1998), ma, rispetto all’estensione dei siti di arte
rupestre nel mondo, si tratta di una percentuale irrilevante, specialmente a
fronte della ben maggiore mole di lavoro portata a termine in corso di scavi,
particolarmente su strutture megalitiche.
Come è già stato ampiamente documentato (Romano 1991, pp. 23-29; 1992, pp. 54-57; Codebò 1996, pp. 323-335), è ormai indispensabile che l’orientamento delle mappe archeologiche sia effettuato con metodi astronomici anziché magnetici (bussola), perché solo i primi garantiscono la possibilità di risalire anche a distanza di anni all’esatta disposizione spaziale dei reperti, mentre il magnetismo terrestre varia, come è ben noto, in maniera assolutamente irregolare ed imprevedibile (Romano, 1991, 1992; Guarnieri Botti 1980, pp. 59-63).
Si sono così verificate situazioni in cui potenziali allineamenti astronomici sono irrimediabilmente perduti e con essi una componente delle culture che li hanno prodotti. A puro titolo d’esempio citeremo le nove statue-stele lunigianesi di Pontevecchio, rinvenute nel 1905 tutte allineate e ritte in loco (Ambrosi 1972, pp. 44-63). Alla luce degli analoghi ritrovamenti valdaostani di St. Martin de Corléans (si pensi al danno che sarebbe derivato all’interpretazione di questa necropoli se i suoi diciotto allineamenti non fossero stati riconosciuti!), è probabile che anch’esse fossero orientate verso una direzione astronomicamente significativa, ma noi non potremo mai più appurarlo!
Nel caso delle incisioni rupestri il pericolo di perdita di dati importanti è, ovviamente, minore, perché il rilievo della superficie incisa non la distrugge, come invece avviene nello scavo: la roccia rimane (quasi)sempre in situ.
Tuttavia ci pare comunque importante orientare astronomicamente anche i rilievi dei petroglifi, specie se composizioni su vaste superfici rocciose come quelle camune, sahariane e del M. Bégo.
Le procedure per un corretto orientamento astronomico delle piante di scavo e/o rilievo sono, una volta apprese e con un po’ di pratica, piuttosto semplici. In sintesi, può essere sufficiente determinare preliminarmente l’esatto istante del mezzogiorno vero (o locale o astronomico) e, in quell’istante, allineare due paline con il disco solare, distanziandole tra loro di qualche decina di metri,. Per la determinazione del mezzogiorno vero bastano: un orologio radiocontrollato (di facilissima reperibilità) o un ricevitore GPS e/o GLONASS, le effemeridi dell’anno in corso, longitudine e latitudine del sito (determinabile con sufficiente precisione sulla mappa topografica o per mezzo del ricevitore GPS e/o GLONASS) ed il seguente calcolo:
Ore 12:00:00 + longitudine locale dal meridiano centrale del fuso orario di appartenenza + equazione del tempo E.T. (riportata giorno per giorno in tutti gli almanacchi astronomici o calcolabile con le procedure di cui in Meeus 1990, pp. 93-94 e Meeus 1998, pp. 183-187) (3).
Maggiore
precisione può essere ottenuta con uno squadro sferico graduato o, meglio, con
un teodolite (strumento principe dell’indagine archeoastronomica), con i quali
si può determinare un qualunque allineamento in qualsiasi istante (Codebò 1997,
pp. 39-109) e da esso risalire, per semplice somma o sottrazione alla direzione
Sud-Nord.
Chiediamo quindi licenza di lanciare dalle pagine di questa rivista quella
raccomandazione che non è stata pienamente compresa ed accolta al Valcamonica
Symposium 1999 e che è tutt’ora inapplicata dalla totalità degli archeologi: orientare
astronomicamente sempre e preventivamente, come routine, le mappe
archeologiche, per non distruggere con lo scavo dati che potrebbero
rivelarsi, anche a distanza di tempo, importanti: poiché gli eventuali
orientamenti archeoastronomici sono, a tutti gli effetti, reperti di cultura
materiale, non farlo equivale a non scavare stratigraficamente!!!
10) Ringraziamenti.
Vogliamo
ringraziare tutti coloro che hanno contribuito, in qualunque modo, alla
realizzazione di questo lavoro. Fra gli altri:
Virginia Bruna, Giuseppe Brunod, Enrico Calzolari; Elisabetta Casini, Giorgio
Dimitriadis, Sandro Panteghini e famiglia, Federico Troletti, l’associazione La
Gibigiana, la Scuola-Bottega di Bienno, l’albergo Sole di Esine.
Di altri non ricordiamo i nomi – e di ciò facciamo ammenda - ma abbiamo ben presente l’aiuto: a tutti costoro vada la nostra più sincera gratitudine perché siamo consapevoli che senza il loro aiuto, per piccolo e marginale che sia stato, questo lavoro non avrebbe visto la luce.
Un grazie particolarmente sentito a Paolo Turelli che ci ha supportato e sopportato con estrema pazienza, accoglienza, disponibilità e gentilezza, mettendoci a disposizione mezzi ed alloggio, oltreché il suo tempo e la sua persona.
Note.
(1) Amplitudine (Flora 1987, p. 34):
a) ortiva: arco di orizzonte £90° compreso fra il punto cardinale E ed il punto del sorgere dell’astro;
b) occasa: arco di orizzonte £90° compreso tra il punto cardinale W ed il punto di tramonto dell’astro.
(2) dall’articolo degli stessi autori: Indagine archeoastronomica su un petroglifo della Val Camonica presso il Capitello dei Due Pini, in corso di stampa in BCSP n. 34, 2003.
(3) Per una più ampia prospettiva delle procedure ed i problemi del survey archeoastronomico crf. Codebò 1997.
Bibliografia.
· Ambrosi Augusto Cesare (1972). Corpus delle statue-stele lunigianesi. Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera (Imperia, Italia).
· Anati Emmanuel (1957). Nuove incisioni preistoriche nella zona di Paspardo in Valcaminica. In: Bullettino di Paletnologia Italiana, N.S. XI, vol. 66°, 1°-2°, Roma, Italia.
· Anati Emmanuel (1982). I Camuni. Jaka Book, Milano, Italia.
· AA.VV, (1995). Culti nella preistoria delle Alpi. Folio editore, Bolzano-Vienna, Italia-Osterreich.
· Bakulin P., Kononovic E., Moroz V. (1984). Astronomia Generale. Editori riuniti, Roma – Edizioni MIR, Mosca, U.R.S.S.
· Barale Piero (1997). Un rebus ai piedi del Monviso. Riferimenti astronomici emersi da alcune incisioni rupestri delle Alpi sud-occidentali. In: Atti del XVII Congresso Nazionale CNR di Storia della Fisica e dell’Astronomia, Milano, Italia.
· Barale Piero (2000). Dai graffiti alle stelle. Catalogo della mostra documentaria itinerante di archeoastronomia. Città di Darfo-Boario Terme (BS), Italia.
· Barale P., Codebò M., De Santis H. (2001). Augusta Bagiennorum (regio IX): una città astronomicamente orientata. In: Studi piemontesi, XXX, 2.
· Beretta Claudio (1997). Toponomastica in Valcamonica. Edizioni del Centro, Capo di Ponte (BS), Italia.
· Bickerman Elias J. (1963). La cronologia nel mondo antico. La Nuova Italia, Firenze.
· Bonòra V., Calzolari E., Codebò M., De Santis H. (1999). Gli orientamenti delle chiese del Caprione (SP) e dell’isola di Bergeggi (SV). In: Atti del XVIII Congresso Nazionale di Storia della Fisica e dell’Astronomia, Milano, Italia.
· Bonòra V., Calzolari E., Codebò M., De Santis H. (c.s.). Aggiornamento sugli orientamenti astronomici delle monofore delle rovine della chiesa di San Lorenzo al Caprione (Lerici - La Spezia). In: Atti del III Convegno Nazionale S.I.A., Milano.
· Bonòra V., Codebò M.; De Santis H., Marano Bonòra A. (2000). Gli orientamenti astronomici delle chiese di S. Michele e S. Lazzaro a Noli (SV). In: Atti del XIX Congresso Nazionale di Storia della Fisica e dell’Astronomia, Milano, Italia.
· Bonòra V., Codebò M., De Santis H., Marano Bonòra A. (2004). Gli orientamenti astronomici delle chiese di S. Giulia e S. Margherita di capo Noli. Presentato al II Convegno Annuale S.I.A., Monte Porzio Catone (Roma) 27-28/09/2002 e pubblicato sulla Rivista Italiana di Archeoastronomia Vol. II - 2004.
· Bruno Michelangelo (1991). Guida dei nomi di luogo delle Alpi Cozie meridionali. C.A.I. di Cuneo, Cuneo, Italia.
· Brunod Giuseppe (1997). Massi incisi in Valcamonica. In: I Quaderni di “Natura Nostra”, 9, Savigliano (CN), Italia.
· Brunod G., Ferreri W., Ragazzi G. (1999). La rosa di Sèllero e la svastica. In: I Quaderni di “Natura Nostra”, 11, Savigliano (CN), Italia.
· Bulgarelli Francesca, Codebò Mario, De Santis Henry (1998). La necropoli romana di Isasco: aspetti archeologici ed astronomici. In: Atti del X Convegno Annuale S.A.It. di Storia dell’Astronomia, Milano, Italia.
·
Burl
Aubrey (1993). From Carnac to Callanish. Yale University Press, New Haven-
London, U.S.A.-U.K..
· Cappelli Adriano (1998). Cronologia, cronografia e calendario perpetuo. Hoepli, Milano.
· Codebò M., Barale P., Castelli M., De Santis H., Fratti L., Gervasoni E. (1999). An archaeostronomical investigation about a Valcamonica’s engraving near the “Capitello dei due Pini”. In: Pre-Atti del XVII Valcamonica Symposium, CCSP, Capo di Ponte (BS), Italia. Atti in corso di stampa.
·
Codebò
Mario (1995). Archaeo-astronomical hypoteses on some ligurian engravings. In:
Abstracts of News95-International Rock Art Congress 1995, Torino, Italia.
· Codebò Mario (1996). Uso della bussola in archeoastronomia. In: Atti del XVI Congresso Nazionale di Storia della Fisica e dell’Astronomia, Milano, Italia.
· Codebò Mario (1997). Problemi generali del rilevamento archeoastronomico. In: Atti del I seminario di Archeoastronomia, Associazione Ligure per lo Sviluppo degli Studi Archeoastronomici, Genova, Italia.
·
Codebò
Mario (1999). Archaeo-astronomical hypoteses on some Ligurian engravings. In:
Proceedings of News95-International Rock Art Congress 1995, Ce.S.M.A.P.
& I.F.R.A.O., Pinerolo (TO), Italia.
· Codebò Mario (2001). Archäoastronomische Erforshung der frühchristlichen Kirke von St. Prokulus in Naturns. In: Arunda, 56.
· Codebò Mario (2003). Archeoastronomia in Val Venosta: S. Procolo di Naturno (BZ). In: Atti del I Congresso Nazionale S.I.A. sessione posters, Milano.
· Codebò M., De Santis H. (2003). Studi di archeoastronomia nel Genovesato. In: Atti del I Congresso Nazionale S.I.A., sessione posters, Milano.
· Codebò M., Barale P., Castelli M., De Santis H., Fratti L., Gervasoni E. (2004). Indagine archeoastronomica su un petroglifo della Val Camonica presso il Capitello dei Due Pini. In: BCSP, 34.
· Codebò M., De Santis H. (2004). Gli orientamenti astronomici delle chiese di S. Giulia e S. Margherita di Capo Noli (SV). In: Atti del II Congresso Nazionale S.I.A., Milano.
· Cossard Guido (1993). Le pietre ed il cielo. Veco editore, Cernobbio (CO), Italia.
· Cossard Guido (1996). Il significato astronomico delle incisioni a spirale. In: Atti del XVI Congresso Nazionale di Storia della Fisica e dell’Astronomia, Milano, Italia.
· Cossard G., Mezzena F., Romano G. (1991). Il significato astronomico del sito megalitico di Saint-Martin-de-Corléans ad Aosta. Tecnimage edizioni, Aosta, Italia.
· Dall’Agnola Massimo (1991). Alcune considerazioni sui graffiti rupestri canari in relazione al culto solare. In: atti del Colloquio Internazionale Archeologia e Astronomia, Rivista di Archeologia-supplemento n. 9, Bretschneider, Roma.
· De Santis Henry (2000-2001). Strumenti e calcoli per l’archeoastronomia. Parte I e Parte II. In: Polaris News, Parte I n.12 dicembre 2000, Parte II n.14 giugno 2001, Genova, Italia.
· Devoto Giacomo (1977). Le tavole di Gubbio. Sansoni, Firenze.
·
Esteban,
Schlueter, Belmonte, Gonzàlez (1996-1997). Pre-Hispanic equinoctial markers in
Gran Canaria. Part i and II. Archaeoastronomy-supplement to J.H.A., 21-22,
Cambridge, U.K.
· Flora Ferdinando (1987). Astronomia nautica, Hoepli, Milano.
· Freud Sigmund (1899). L’interpretazione dei sogni. In: Opere di Sigmund Freud, III, Boringhieri editore, 1982, Torino, Italia.
· Freud Sigmund (1900). Il sogno. In: Opere di Sigmund Freud, IV, 1984, Boringhieri editore, Torino, Italia.
· Freud Sigmund (1912-1913). Totem e tabù. In: Opere di Sigmund Freud, VII, Boringhieri editore,1982, Torino, Italia.
· Freud Sigmund (1915-1917). Introduzione alla psicoanalisi. In: Opere di Sigmund Freud, VIII, Boringhieri editore, 1978, Torino, Italia.
· Gaspani Adriano (1998). La necropoli del Priamar. In: L’Astronomia, 192, novembre 1998, Milano, Italia.
· Gaspani Adriano (1999). L’astronomia dei monaci irlandesi. In: L’Astronomia, 199, giugno 1999, Milano, Italia.
· Gaspani Adriano (2000 a). I simboli “solari” dei Camuni. In: L’Astronomia, 205, gennaio 2000, Milano, Italia.
· Gaspani Adriano (2000 b). Astronomia e geometria nelle antiche chiese alpine. Priuli & Verlucca, Ivrea (TO).
· Gervasoni Elena (1997). Per un’archeoastronomia rupestre in Valcamonica. In: Pre-Atti del Valcamonica Symposium 1997, Capo di Ponte (BS), Italia.
· Gribbin John (1998). Enciclopedia di astronomia e cosmologia. Garzanti editore s.p.a., Milano, Italia.
· Guarnieri Botti L. (1980). Elementi di magnetismo generale e geomagnetismo. Istituto Idrografico della Marina, Genova, Italia.
· Hadingham Evan (1978). I misteri dell’antica Britannia. Newton Compton editori, Roma, Italia. Titolo originale: Circles and standing stones, 1975.
· Jiménez Gonzàlez Joseè Juan (1991). Manifestaciones astrales entre las antiguas poblaciones de las Islas Canarias. In: Atti del Colloquio Internazionale Archeologia ed Astronomia, Rivista di Archeologia, supplemento n. 9, Bretschneider editore, Roma, Italia.
· Lebeuf Arnold (1991). Le retable de Varsovie. In: Colloquio Internazionale Archeologia ed Astronomia, Supplementi Rivista di Archeologia, 9; Bretshneider, Roma, Italia.
· Maggi R., Pastorino M.V. (1984). Riparo Fascette I. In: Archeologia in Liguria II-scavi e scoperte 1976-81, Soprintendenza Archeologica della Liguria, Genova, Italia.
· Meeus Jean (1990). Astronomia con il computer. Hoepli editore, Milano, Italia.
·
Meeus
Jean (1998). Astronomical algorithms. Willman Bell Inc., Richmond, Virginia,
U.S.A.
· Mezzena Franco (1997). La Valle d’Aosta nel quadro della preistoria e protostoria dell’arco alpino centro-occidentale. In: Atti della XXXI riunione scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze, Italia.
· Priuli Ausilio (1983). Incisioni rupestri nelle Alpi. Priuli & Verlucca editori, Ivrea (TO), Italia.
· Proverbio Edoardo (1989). Archeoastronomia. Teti editore, Milano, Italia.
· Pucci Italo (1997). Culti naturalistici della Liguria antica. Luna editore, La Spezia, Italia.
· Rappengluck Michael (1998). A paleolithic shamanistic cosmography: how to decode the famouse rock picture in the shaft of the Lascaux grotto. In: Pre-Atti del XVI Valcamonica Symposium, Capo di Ponte (BS), Italia.
· Romano Giuliano (1985). Alcune osservazioni sull’orientamento delle chiese medioevali e moderne entro la cinta muraria di Treviso. In: Rivista di Archeologia, IX, 56.
· Romano Giuliano (1991). Orientamenti magnetici ed astronomici nelle mappe archeologiche. In: Atti del Colloquio Internazionale Archeologia ed Astronomia, Rivista di Archeologia, supplemento n. 9, Bretschneider editore, Roma, Italia.
· Romano Giuliano (1992). Archeoastronomia italiana. CLEUP edizioni, Padova, Italia.
· Romano Giuliano (1995). Orientamenti ad sidera. Essegi edizioni, Ravenna, Italia.
·
Ruggles
Clive (1997). Whose equinox?. Archaeoastronomy - Supplement to J.H.A., 22,
Cambridge, U.K.
· Russo Lucio (1996). La rivoluzione dimenticata. Feltrinelli editore, Milano, Italia.
· U.A.I (1996). Almanacco di Astronomia 1996. Biroma editore, Galliera Veneta (PD), Italia.
· Zagar Francesco (1948). Astronomia sferica e teorica. Zanichelli editore, Bologna, Italia. Riproduzione anastatica 1984.