ARCHEOASTRONOMIA LIGUSTICA
Inedito; originariamente destinato a La Rivista del Club Alpino Italiano, Milano.
ALLE ORIGINI DELL'ARCHEOASTRONOMIA
ITALIANA
Mario Codebò
La montagna, nella preistoria, probabilmente era anche uno strumento per la misurazione del tempo, oltre che sede degli dei e luogo privilegiato per avvicinarsi ad essi. Scrisse infatti nel 1959 l'ing. Innerebner, nativo di Bolzano, che, mentre nell'Europa settentrionale, ricca di pianure, l'uomo preistorico ebbe bisogno di costruire grandi strutture di pietra per misurare il tempo "...L'uomo alpino normalmente non aveva bisogno di mezzi artificiali per fissare il suo calendario privato. A lui serviva in modo migliore l'orizzonte vario e bizzarro del suo paese..." (Innerebner 1959, p. 6). Con le sue indagini effettuate tra gli anni '30 e '50, Egli fu il primo ad introdurre in Italia l'archeoastronomia, moderna disciplina che indaga proprio sulle conoscenze astronomiche dei nostri più antichi antenati come parte integrante delle loro culture. Curiosamente, quelle indagini non hanno prodotto negli ambienti specialistici italiani alcun seguito immediato né, tanto meno, hanno dato origine ad una scuola. E' solo in tempi recenti che questo complemento indispensabile della ricerca archeologica sta prendendo faticosamente campo da noi ad opera di uno sparuto gruppo di ricercatori.
Avendo iniziato ad occuparmene una decina di anni prima, nel giugno 1993 ho voluto passare una vacanza di studio sulle tracce dell'ingegnere bolzanino, visitando con mia moglie parte delle strutture da Lui studiate e altre segnalateci da amici: quella che segue è la descrizione cronologica degli itinerari da noi percorsi.
Per primo abbiamo visitato il castelliere di Colle S. Pietro di Fié (q.m. 900) presso il villaggio omonimo. Attualmente le strutture protostoriche non sono più visibili essendo state ricoperte dopo lo scavo, ma si sa che un muro puntava verso il sorgere del sole al solstizio d'inverno dietro i monti del Catinaccio e del Latemar. E forse non è senza significato il fatto che, come abbiamo potuto allora constatare, dalla sommità del colle, oggi occupato da una bella chiesetta, sono visibili: il sito delle Hexenbanke sulla Bullaccia, le punte Santner ed Euringer, il M. Castello e la cima di Mezzodì sullo Sciliar. Tutte località che, in un modo o nell'altro, hanno a che fare, come vedremo, con le primitive osservazioni del moto degli astri dalle quali, non meno di tremila anni fa, sono nati i primi calendari e le prime suddivisioni del giorno in ore. Come se non bastasse, ci siamo accorti che dal piazzale della chiesa di Umes di Fié, traguardando verso il campanile di Colle S.Pietro, si dovrebbe vedere il tramonto del Sole al solstizio d'estate e, poiché è accertato che spesso gli edifici di culto cristiani furono costruiti su preesistenti luoghi di culto pagani per "esorcizzare" questi ultimi e palesare la vittoria del Cristo sugli idoli, si potrebbe anche sospettare l'esistenza di due insediamenti pre- o proto-storici su di un allineamento visuale astronomicamente significativo, alla stregua di quanto è attestato nel Veneto (Romano, 1992, pp. 26-36). Tuttavia, poiché la nostra misura è stata presa con la bussola e non è stata verificata con metodi astronomici, è da valutare con riserva.
Nei giorni successivi siamo saliti sulla Bullaccia a visitare, su consiglio dell'amico L. Felolo, del C.A.I. U.L.E. e studioso anch'Egli di archeoastronomia, le Hexenbanke o "panche delle streghe: un sedile con poggia-piedi, scavato in un banco affiorante di prismi di porfido rosa altamente magnetico, in posizione dominante ed estremamente panoramica sulla sottostante val Gardena. Il sedile individua una direzione praticamente obbligata verso NNW per chi vi si siede (a pena di dolorose torsioni del busto), alla quale potrebbe corrispondere, praticamente sulla linea dell'orizzonte astronomico, il punto di tramonto del Sole al solstizio d'estate o della Luna alla stessa data quando, ogni 6793 giorni, raggiunge la sua massima declinazione settentrionale (w= - 29°36'). Purtroppo, a causa dell'intenso magnetismo delle rocce, anche qui non è stato possibile che rilevare un azimut molto approssimato. E' però degno di nota che l'ubicazione e la panoramicità del sito, pressoché "abbarbicato" su di un pauroso strapiombo, siano analoghe ad altri due siti liguri tradizionalmente legati all'attività "demoniaca": l'uno sull'arce di Porto Maurizio in Imperia, da cui si diceva che le streghe spiccassero il volo per recarsi al sabba; l'altro - la "Cabotina" - in Triora (IM), dove si credette al tempo del celebre processo inquisitoriale cinquecentesco (Oddo 1994) che le streghe si riunissero per il sabba. Pare dunque che i luoghi dirupati si siano guadagnati nei secoli una fama sinistra e già Felolo ha avanzato l'ipotesi che le streghe di Triora fossero le "eredi" di ben più antichi culti pagani degli astri (Felolo 1991-1992). In Liguria stiamo lentamente individuando altre località caratterizzate dal binomio pericolosità-stregoneria (o demonismo).
Scendendo dalle Hexenbanke verso Castelrotto si incontrano, a quota molto più bassa e nel folto del bosco, le Hexenstuhle o "sedie delle streghe": due troni di pietra, completi di poggia-piedi, che non hanno certamente alcuna funzione archeoastronomica e che tuttavia sembrano appartenere ad antiche epoche e a tradizioni ormai pressoché dimenticate, come il "banco de la reson" a Cavalese in Val di Fiemme, cui Innerebner attribuì orientamenti solstiziali (Innerebner 1959, p. 8). Poco oltre si può osservare su di un masso lungo il sentiero una bella incisione cruciforme con un braccio terminante a punta di freccia che indica inequivocabilmente la direzione per Tiosels e Castelrotto.
Nei giorni successivi abbiamo pernottato al rifugio Bolzano, base delle nostre ricognizioni ai siti archeologici ed archeoastronomici dello Sciliar. Per inciso, salendovi lungo il "sentiero dei turisti", alla sommità di esso abbiamo visto un graffito su roccia palesemente contemporaneo ma riproducente un tipico antropomorfo pre-proto-storico: una tradizione ininterrotta da millenni.
Per primo abbiamo visitato il M. Castello (foto n. 4), accertato luogo di culto dall'Età del Ferro al Tardo Impero Romano (Colli, 1986, p. 265). Vi si accede attraversando un avvallamento prativo letteralmente costellato di figure e scritte fatte con le pietre. Benché anch'esse palesemente modernissime, ricalcano punto per punto la tecnica degli antichissimi "geoglifi", conosciuti in Inghilterra, in Israele e soprattutto a Nazca in Perù.
M. Castello, da cui si gode un panorama a 360°, non sembra appartenere alla categoria degli "osservatori astronomici" pre-proto-storici - come colle S.Pietro di Fié e, più avanti, colle Joben - ma piuttosto a quella dei luoghi del "culto delle vette", tipica forma di religiosità delle popolazioni montane pre-romane.
Poco oltre M. Castello si ergono le punte Euringer e Santner; specialmente quest'ultima fu oggetto di accurati studi da parte del l'ing. Innerebner (1959, pp. 16-17) che la riteneva un vero e proprio gnomone naturale, utilizzato dagli antichi abitatori dei dintorni per scandire le ore del giorno ed il succedersi delle stagioni in base, rispettivamente, allo spostamento ed all'accorciamento/allungamento della sua ombra.
Nella direzione opposta, nei pressi del M. Kranzes, abbiamo visitato la località Plorg, altra sede di insediamenti pre-proto-storici (Colli 1986, pp. 268-269).
Ultima ma più importante meta delle nostre ricognizioni è stato il celebre colle Joben, che fu, a quanto mi risulta, il primo sito italiano studiato archeoastronomicamente (Innerebner 1934). Posto appena a sud dei laghi di Monticolo, alto m. 616, fu scavato fin dagli inizi del secolo (Jesi 1978, pp. 59-70), rivelandosi un sito dell'Età del Bronzo (II millennio a.C.). Innerebner, negli anni trenta, individuò nelle strutture murarie affioranti, di tipo megalitico, allineamenti verso il sorgere del Sole agli equinozi ed al solstizio d'inverno e verso il tramonto al solstizio d'inverno (Cossard 1993, pp. 135 e 139; Innerebner 1934, 1959, pp. 8 e 12; Romano 1992, pp. 12-15). In realtà, quando ci siamo recati sul posto, ci siamo accorti che la conformazione geomorfologica del sito è tale che la levata dell'astro alle due date indicate potrebbe essere invisibile, mentre facilmente visibile potrebbe essere il tramonto agli equinozi ed al solstizio d'estate. Di ciò ho già discusso preliminarmente in un mio breve lavoro di prossima pubblicazione (Codebò 1997a), in attesa di poter effettuare, quanto prima, più approfondite misurazioni. Altre strutture visibili in superficie inducono a sospettare l'esistenza di allineamenti lunari o, con grande prudenza, stellari (fig.1). Particolare degno di nota è il fatto che a km. 1,25 a SSW del colle esiste un Sasso di Mezzodì (Mittagstein), alto m. 661, che si trova esattamente sul meridiano dell'abitato di Monticolo, dal quale dista km.1,5, mentre poco più a sud, a km. 2,5, vi è un Dosso Dodici, alto m. 570. Questa concentrazione di toponimi astronomico-calendariali e reperti archeologici in un'area pianeggiante molto ricca di acque - perché situata tra i laghi di Monticolo a nord, di Caldaro a sud ed il fiume Adige a est - induce il sospetto, tutto da verificare, che il luogo ospitasse millenni fa qualche importante insediamento, del quale il colle Joben potrebbe essere stato il centro del culto, più che l'abitato.
Purtroppo, la cosa che più impressiona sfavorevolmente il visitatore è lo stato di abbandono e degrado in cui è lasciato questo importante monumento protostorico: già ora sta cadendo a pezzi e c'è da scommettere che presto, senza manutenzione, restauro e tutela, si ridurrà ad un informe cumulo di macerie.
Dopo colle Joben finì la nostra vacanza. Per mancanza di tempo rinviammo a data futura la visita di altri importanti siti quali, per es., la straordinaria meridiana naturale di Sesto in val Pusteria, dove ben cinque vette - cima Nove, Dieci, Undici, Dodici, Uno - indicano giornalmente le ore (locali) 9.00, 10.00, 11.00, 12.00, 13.00 dalla Heidenbuhel (ovvero: Collina Pagana), quando il Sole culmina rispettivamente su ciascuna di esse (Arborio Mella 1990, pp. 48-49; Innerebner 1959, pp. 19-21).
Conclusioni
1) Gli studi di Innerebner, unitamente a recenti scoperte quali quelle della mummia eneolitica nel ghiacciaio del Similaun, della sepoltura mesolitica a Mondeval de Sora (Guerreschi, Fontana, Petrucci 1994) e degli stretti rapporti tra St. Martin de Corléans in Aosta e Sion in Svizzera durante il III millennio a.C. (Cossard, Mezzena, Romano 1991; Mezzena 1994) - per citare solo alcuni esempi tra i più noti - provano che l'uomo ha frequentato fin dai tempi più antichi anche la media e l'alta montagna, periodicamente favorito da condizioni climatiche migliori di quelle attuali;
2) le popolazioni italiche pre-romane agli inizi del I millennio a.C. possedevano già un calendario abbastanza preciso (Bickerman 1963), segno che l'osservazione del moto degli astri datava da molto tempo;
3) per contro, la Penisola è generalmente sprovvista di complessi megalitici imponenti, ben presenti, invece, nelle isole mediterranee e nel nord-Europa. In proposito, l'ipotesi avanzata dall'ing. Innerebner nel 1959 e qui riportata in apertura sembra una spiegazione alquanto plausibile (benché non unica) del fenomeno.
Si può quindi ragionevolmente supporre che attente indagini archeoastronomiche (coadiuvate da studi di cultura materiale, etnologia, toponomastica, folklore, ecc.) consentiranno di individuare su Alpi ed Appennini altri siti e strutture destinati in antico ad un uso cronologico-calendariale, come sta appunto accadendo in Liguria (Codebò 1993; 1996; 1997b; 1997c; 1997d; 1999).
Bibliografia
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