ARCHEOASTRONOMIA LIGUSTICA
Prefazione al volume di J. Morellato:
Archeologia
e astronomia. Trecento anni d'incontro,
Bardi Editore (Scienze e Lettere), Roma, 2011, pp. 11-17, ISBN: 978-88-88620-96-1.
Mario Codebò
Henry De Santis
Abbiamo
conosciuto Jody Morellato al congresso che la Società
Italiana di Archeoastronomia S.I.A. – il cui presidente Elio Antonello scrive
la postfazione a questo libro – tenne a Firenze nel 2009 e l’ultima frase detta
da Jody in quella occasione fu la sua dichiarazione di scetticismo nei
confronti dell’astronomia culturale e dell’archeoastronomia. E’ stata perciò
una vera sorpresa ritrovarlo al XIII seminario che l’Associazione Ligure per lo
Sviluppo degli Studi Archeoastronomici A.L.S.S.A. ha
tenuto a Genova nel marzo 2011; una sorpresa due volte piacevole perché da un
lato egli ha dimostrato di avere intrapreso un percorso concettuale che lo ha
portato a riavvicinarsi criticamente alla disciplina e dall’altro perché
finalmente un altro giovane studioso – e non sono molti! – futuro archeologo di
professione, si sta inoltrando in una disciplina dalla quale molti suoi più
anziani colleghi – per non dire la maggior parte – si tengono per varie ragioni
a distanza.
E’
quindi un vero piacere per noi di Archeoastronomia Ligustica scrivere, come da
lui richiestoci, la prefazione a questo suo libro, che ci auguriamo sia il
primo di una proficua serie.
Esso
risulta immediatamente importante per il suo carattere di repertorio
bibliografico, per di più ragionato, di quanto è stato scritto in materia dagli
esordi nel lontano XVIII secolo ad oggi. Tutti sanno quanto siano importanti in
qualsiasi campo i repertori bibliografici, perché costituiscono un prezioso
strumento per gli addetti ai lavori, che nell’astronomia culturale mancava.
Ma ci
sono almeno altri tre motivi per rallegrarci di questa pubblicazione. Abbiamo
detto che Jody Morellato è un giovane laureato e
specializzato, prima in conservazione dei beni culturali e poi in archeologia,
quindi, un futuro prossimo operatore professionale dei BB.CC.
Il
ricambio generazionale è quello che manca ancora nell’astronomia culturale,
soprattutto tra gli addetti ai lavori. Uno dei problemi che abbiamo noi
“vecchi” (anagraficamente e/o professionalmente) è proprio quello di
trasmettere alle giovani generazioni quel patrimonio di conoscenze che abbiamo
acquisito in lunghi anni di attività e che, se non trova dei continuatori,
rischia di scomparire con noi. Sono pochi i giovani professionisti che
s’inoltrano in questa disciplina: all’ultima Scuola Interdisciplinare di Metodologie Archeologiche S.I.M.A. che
l’Istituto Internazionale di Studi Liguri I.I.S.L. organizzò negli anni
2008-2009 sotto la direzione del compianto “maestro” prof. Tiziano Mannoni, solo una “corsista”
tra tutti ha proseguito – ma con grande entusiasmo! – il percorso iniziato nel
semi-modulo di archeoastronomia. Se si aggiunge che in molte Soprintendenze ed
atenei italiani l’astronomia culturale stenta per varie ragioni – quali, tra le
altre, l’apparente complessità dei pre-requisiti di base – ad affermarsi, si
capisce quanto sia importante che le nuove leve siano poste nella situazione di
poter svolgere concettualmente ed operativamente le indagini archeoastronomiche
necessarie. Indagini che hanno già effettivamente dimostrato – a livello
scientifico internazionale – quanta parte avesse, nelle culture dei nostri
anche più lontani antenati, il cosmo. Diversamente si rischia di perdere una
componente molto consistente di quelle culture antiche che proprio
l’archeologia ha come scopo di riportare alla luce. Per fare un esempio, la
necropoli di Saint Martin de Corléans ad Aosta, nata
alla fine del IV millennio a. C. e sviluppatasi per tutto il successivo III
millennio, è interamente strutturata su ben diciotto allineamenti astronomici,
il primo dei quali in ordine di tempo – verso il tramonto della Luna al lunistizio minimo (d -29°) – fu l’atto di
fondazione di questo spazio sacro nel XXXI secolo a. C.
Gli
elementi archeoastronomici sono veri e propri reperti di cultura ad un tempo
materiale ed intellettuale e non riconoscerli significa perderli. E perdere un
reperto è quello che ogni archeologo vuole a tutti i costi evitare sempre. Ma
riconoscere i dati archeoastronomici in un monumento, in uno scavo, ecc.
richiede una preparazione che le facoltà di archeologia prima e di
conservazione dei BB. CC. oggi non danno, perché si richiedono competenze e
conoscenze di astronomia di posizione, altrimenti detta sferica o teorica, che
esulano completamente dai loro programmi. Da qui la necessità di “formare”
extra universitatem – si spera ancora per poco – i
futuri archeologi professionisti in tale ambito. Ecco perché ci rallegriamo in
primis che il giovane autore di questo libro abbia scelto d’inoltrarsi nella
conoscenza dell’astronomia culturale e dell’archeoastronomia.
Un
secondo motivo di compiacimento è dato dalla sua impostazione critica nei
confronti di quella “fantascienza”, o più propriamente “fantarcheologia”
di cui l’astronomia culturale come scienza soffre ancora molto. Molti autori
nel passato e nel presente – e siamo certi anche nel futuro! – hanno
letteralmente devastato la credibilità dell’archeoastronomia con tesi ed
ipotesi elaborate e sostenute talvolta nel più assoluto disprezzo della
metodologia scientifica – valida in tutti i campi – che vuole prove, verifiche
e coerenza a fondamento dei suoi assunti. Pareva e pare che l’astronomia
culturale sia una specie di terra senza leggi dove ci si può permettere tutto:
più una terra di fantasia che di sapere scientifico! Ci consola sapere che non
è così per molti dei suoi attuali interlocutori.
Uno
dei problemi dell’astronomia culturale è quello di non essersi ancora
codificata, di non essersi ancora data un’epistemologia sistematica che la
salvaguardi dalle incursioni dell’irrazionale ed estrometta automaticamente
ogni approccio non scientifico. Ma è operazione certo non facile per una
disciplina esattamente al confine tra scienze umane e scienze matematiche (o
esatte).
E
veniamo così al terzo – in realtà il quarto, contando il repertorio bibliografico
– pregio di questo libro e soprattutto di questo autore: l’avere capito che è
ormai indispensabile superare la dicotomia tra scienze umane e scienze esatte.
Ci è capitato di riscontrare una differenziazione tra umanesimo e scienze, come
se tale qualifica spettasse solo alle discipline esatte e non a quelle
umanistiche. Nulla di più errato: quando, per fare un esempio, un glottologo
riesce finalmente a tradurre una lingua morta, rendendo comprensibile ciò che
non lo era più, fa un’opera prettamente scientifica, mentre chi manipola i
numeri per dimostrare tesi precostituite – come accadde nella piramidologia del XIX secolo ad opera di astronomi
professionisti – fa della fantarcheologia; scrive
cioè cose che possono legittimamente costituire un romanzo letterario bello ed
avvincente, ma non sono scienza. La distinzione tra scienza e letteratura od
arte non è nella materia trattata, ma nel metodo con cui la si tratta.
In
passato si è creduto di potere salvaguardare l’uno o l’altro campo
semplicemente chiudendosi entro i suoi confini, ma ciò non ha fatto altro che
approfondire il solco e quindi l’incomunicabilità reciproca. Questa divisione
non può reggere: la frattura va sanata e gli scienziati dell’una e dell’altra
parte devono tornare a dialogare insieme. Per fare ciò devono deporre le
reciproche diffidenze e soprattutto devono imparare le basi delle discipline
dei loro interlocutori. In questo senso l’astronomia culturale è un campo
privilegiato perché (co)stringe in un unico abbraccio due ambiti così
apparentemente diversi: l’archeologia, di stampo prettamente umanistico, e
l’astronomia, di stampo prettamente matematico, senza dimenticare che essa in
realtà implica anche la partecipazione, come dimostrammo nel congresso
internazionale “Archeoastronomia: un dibattito tra archeologi ed astronomi alla
ricerca di un metodo comune” che l’Istituto Internazionale di Studi Liguri
tenne nel 2002 a Genova e Sanremo, di molte altre discipline dell’uno e
dell’altro ambito, come la storia delle religioni, la topografia, la
letteratura, la geografia, la geologia, l’antropologia, ecc.
Se in
futuro sorgeranno, come auspicabile, percorsi universitari di formazione
archeoastronomica o addirittura vere e proprie facoltà universitarie di
astronomia culturale, gli studenti che vorranno afferirvi dovranno affrontare
esami di stampo umanistico e di stampo matematico e forse ciò metterà fine di
fatto all’artificiosa e deleteria dicotomia tra scienze umane e scienze esatte.
Un ulteriore
motivo per sperare nelle future generazioni.