ARCHEOASTRONOMIA LIGUSTICA
Prefazione al volume di M.P. Zedda: Monte Forato e il duomo di Barga. Tracce di un
antico osservatorio dei liguri Apuani, Agorà Nuragica Editore, Cagliari, 1/2012, ISBN: 978-88-9010-784-9.
Mario Codebò
Con
questo libro Mauro Peppino Zedda, ben noto per i suoi studi di archeoastronomia
nell'ambito delle culture della sua natìa Sardegna, fa un'incursione nel modo
degli antichi Ligures celeberrimi della letteratura
romana ma spingendosi indietro nel tempo fino al mondo pre-indoeuropeo.
Tali infatti erano probabilmente i Liguri nel periodo della loro massima
espansione che li portò, secondo studi fioriti all'interno dell'Istituto
Internazionale di Studi Liguri, a distribuirsi sulla costa settentrionale del
Mediterraneo dalla foce dell'Ebro a quella dell'Arno e sulle Alpi occidentali
(si noti che, se gli antichi abitatori della Valle di Aosta erano di stirpe
ligure, come qualcuno sostiene, allora la necropoli eneolitica di Saint Martin
de Corléans, così ricca di allineamenti astronomici,
potrebbe essere un loro prodotto culturale), per subire poi nel tempo una
coartazione sempre
maggiore
ad opera di Celti ed Etruschi prima e di Romani poi, fino a ridursi entro i
confini della Regio IX all'epoca di Augusto, di poco superiore alla moderna
Liguria. Al loro estremo confine orientale i Liguri occuparono anche la regione
delle Alpi Apuane dove, a quanto pare, si rifugiarono i pochi superstiti della
sconfitta e della deportazione loro inflitta nel 180 a. C. dalle legioni di
Roma. Infine nel 14 a. C. Augusto poté celebrare nel trofeo di La Turbie, iscrivendovene i nomi, la definitiva sottomissione
delle ultime tribù liguri indipendenti. Finiva così dopo millenni la cultura
"pre-protostorica" ligure – che invero pare
fosse stata poco o punto romanizzata – e cominciava la loro cristianizzazione.
Il
Monte Forato è noto da tempo in ambito alpinistico per i suoi fenomeni connessi
al moto del Sole, ma mai nessuno lo aveva messo in relazione finora - a quanto
mi risulta - con gli allineamenti delle chiese circostanti.
In
Liguria sono documentati altri siti (la Pietra di Marcello Dalbuono,
i tre Monti o Bric di Mezzogiorno, la Grotticella di S. Anna e la Strada a
Tecnica Megalitica del M. Bèigua, forse il Quadrilite del Caprione e le incisioni
del M. Pennone, la chiesa di S. Martino di Vasia) in cui il riconoscimento
dello spontaneo verificarsi di alcuni fenomeni astronomici significativi
avrebbero indotto popolazioni locali ad erigervi complessi architettonici atti
ad evidenziarli e sfruttarli a fini calendariali e/o cultuali. Il caso di Monte
Forato e delle chiese ad esso afferenti s'inserisce quindi in una tradizione
nota e documentata, ancorché di non provata datazione per l'assenza di contesti
archeologici, per altro pressoché non cercati.
Lo
Zedda però compie un significativo passo avanti rispetto agli studi precedenti
identificando nell'allineamento chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Fiattone – M.
Forato il punto di arresto meridionale di Venere.
A
quanto mi risulta, è questo il primo caso in assoluto d'indagine planetaria
applicata ad un monumento archeologico europeo. Fino ad oggi lo studio archeoastronomico del moto dei pianeti e degli eventuali
allineamenti risultanti era stato applicato solo alle culture pre-colombiane del Centro e sud America, mai a quelle
europee, limitandosi per queste ultime ai soli movimenti di Sole, Luna ed in
parte stelle. Ciò è certamente dovuto al fatto che le testimonianze
"scritte" pervenuteci dal mondo meso e sud americano attestano
incontrovertibilmente l'interesse di questi popoli per il moto dei pianeti
visibili ad occhio nudo e segnatamente per quello di Venere, sul quale i Maya
costruirono un calendario. Ma l'interesse delle "vicine" culture
mesopotamiche per i pianeti, anzi l'esistenza tra esse di una vera e propria
teoria predittiva dei moti planetari, ben documentata nel MUL.APIN, avrebbe
dovuto indurre gli archeoastronomi quanto meno ad
indagare sotto questo aspetto anche i monumenti della preistoria europea.
Speriamo che quest'apertura di Zedda costituisca l'inizio di analoghe ricerche
nelle culture del Vecchio Continente e del bacino del Mediterraneo.
Completano
il breve ma intenso libro del nostro autore cinque schede tecniche sintetiche
ma preziose.
Purtroppo
nella maggior parte dei libri di archeoastronomia si evitano capitoli di
astronomia sferica, di tecnica dei rilievi e di algoritmi di calcolo, forse
ritenendoli "noiosi" o superflui per i lettori; eppure sono proprio
questi argomenti che chiunque voglia dedicarsi all'archeoastronomia - e segnatamente
i giovani archeologi – deve imparare ad applicare, perché come non si può fare
archeologia senza conoscere le metodologie stratigrafiche di scavo altrettanto
non si può fare archeoastronomia senza conoscere l'astronomia sferica.