ARCHEOASTRONOMIA LIGUSTICA
Pubblicato in: Memorie S.A.It., vol. 68, n. 3, Palermo,
pp. 735-751
PRIME INDAGINI ARCHEOASTRONOMICHE IN LIGURIA
Mario Codebò
Abstract. The first results of some years lasted archaeoastronomical surveys, inquired
into some Ligurian monuments selected on the grounds of their typological
features, are expounded here.
1. INTRODUZIONE. (1)
Presento in questo lavoro i
risultati fin qui ottenuti nelle indagini archeoastronomiche da me condotte in
Liguria dal 1988 ad oggi privilegiando quei monumenti che, per la loro
morfologia, appaiono inquadrabili nell'orizzonte culturale megalitico. In due
soli casi sono state indagate strutture medioevali. Il presente studio deve in
ogni caso intendersi come provvisorio: un primo punto di arrivo ma soprattutto
un punto di partenza per future, approfondite indagini, da estendersi anche ad
altri orizzonti cronologici. Come verrà via via segnalato, solo una parte delle
misure può considerarsi definitiva, mentre un'altra parte resta in attesa di
verifica. Nessuno dei dati, poi, è stato finora sottoposto a valutazione
statistica, sicché nulla si può inferire circa l'intenzionalità o la casualità
degli orientamenti riscontrati. A mio parere, però, un allineamento singolo ha
lo stesso valore di un ritrovamento archeologico isolato di superficie. In definitiva, ho voluto eseguire una sorta
di "saggio" per verificare la sussistenza o meno di presupposti
giustificativi di future indagini di più vasto respiro, cosa del resto
comunissima nella pratica archeologica. Vi è poi la questione delicata della
presenza o meno del megalitismo nella nostra regione. Pur non potendo entrare
nel dettaglio di tale importantissimo argomento, ritengo indispensabile
riassumere per sommi capi la questione. Fino a pochissime decadi fa era
opinione comune che la corrente megalitica si fosse arrestata al di là delle
Alpi senza penetrare nella penisola. Unica eccezione ammessa era l'area
pugliese, i cui dolmen, pietre‑fitte e specchie erano però attribuite a
genti balcaniche migrate attraverso l'Adriatico. Da sempre, ovviamente, era
noto che le isole del Mediterraneo avevano avuto un'evoluzione diversa. Le
successive scoperte negli anni '50 da parte di S. M. Puglisi della così detta
Civiltà Appenninica e negli anni '60 della necropoli eneolitica di Aosta,
dimostrarono l'infondatezza di questa tesi (Bernardini 1977). In Liguria, solo
nella seconda metà degli anni '80 sono stati identificati a N di Sanremo (IM)
due tumuli sepolcrali circolari, uno dei quali, scavato dalla locale sezione
dell'I.I.S.L., ha potuto essere attribuito alla fase finale dell'Età del
Bronzo. Dimostrata così con metodi stratigrafici la penetrazione del
megalitismo nella regione, presumibilmente dalla vicina Provenza, anche gli
altri manufatti sparsi tra il confine francese e quello toscano ‑ e fino
ad allora attribuiti, pur dubitativamente, alla civiltà contadina recente ‑
hanno assunto ben altro aspetto. Perciò la scarsità di reperti megalitici nella
penisola a confronto con le regioni transalpine, specie settentrionali, deve
trovare altra spiegazione. Questa potrebbe cercarsi nel maggiore avvicendamento
di civiltà nel corso del tempo, fatto che da un lato ha trasformato più
radicalmente l'aspetto del territorio, distruggendo molti monumenti, e
dall'altro ha limitato quel conservatorismo culturale ‑ e di conseguenza
materiale ‑ che si legge bene, invece, nelle più remote regioni d'Europa.
2. IL FINALESE (SV).
Quest'area, ricchissima di
reperti archeologici praticamente ininterrotti dal Paleolitico Inferiore
all'Età Contemporanea, ha fornito i risultati più interessanti: cinque
strutture orientate ed alcuni petroglifi.
2.1. IL DOLMEN DI BORGIO VEREZZI. (2)
Lat. 44°10'23" N Long.
8°18'52" E Q.m. 302 s.l.m. (3)
Venne scoperto negli anni
sessanta dal Gruppo Ricerche della Sezione Finalese dell'I.I.S.L. e pubblicato
nel 1984 (Giuggiola 1984 pp. 67‑69). Di esso e di altre strutture
consimili della zona ho dato una dettagliata descrizione in un altro mio lavoro
(Codebò c.s. 1°), perciò qui darò alcune note essenziali e gli ultimi
aggiornamenti. Esso si trova sul penepiano di Borgio Verezzi, a poche centinaia
di metri dal castellaro omonimo e dai supposti menhir di Torre Bastìa (cfr.
infra); dalla Grotta dell'Antenna (Lamberti 1971 pp. 32‑36), che ha
restituito specifico materiale dell'Età del Rame, fra cui un'ascia; dalle altre
grotte di Borgio Verezzi (Bernabò Brea 1947), fra cui la importantissima Grotta
delle Arene Candide; da un petroglifo di recentissima scoperta raffigurante
proprio l'ascia eneolitica. In sostanza, esso si trova in un'area ricca di
rinvenimenti tipici dell'Eneolitico (III ‑ II millennio a.C.) cui sembra
potersi tipologicamente attribuire. Al momento, però, risulta l'unico della
zona ed il secondo del Finalese.
Ha forma esterna
rettangolare, largo circa cm. 210, lungo cm. 190, alto cm. 110. La camera
interna è lunga cm. 170, larga cm. 114 all'ingresso, circa cm. 120 a metà e cm.
90 al fondo, alta cm. 85. La sua forma interna è quella di un trapezio
irregolare.
Il suolo è formato: nella
metà anteriore, da pietre impilate una sull'altra per oltre cm. 50 di
profondità; nella metà posteriore, di solo terriccio. All'epoca delle prime
indagini (Giuggiola 1984) esso risultò del tutto sterile.
Il lato a mare è costituito
da un affioramento naturale di roccia, mentre quello a monte è formato da
pietre‑fitte e pietre a secco. La lastra di copertura è doppia o spezzata
e spessa circa cm. 20.
Oltre a questa misura,
corrispondente a dieci pollici megalitici secondo A. Thom (Hadingham 1978 pp.
136‑137; Proverbio 1989 pp. 194‑197), curiosamente la sua lunghezza
sopra all'ingresso è di cm. 165, equivalente a due yarde megalitiche di A.
Thom. Si noti che tale misura è presente, come vedremo più avanti, anche sulla
"soglia" della strada a tecnica megalitica del M. Beigua
(segnalazione verbale di I. Pucci). Circa le discussioni sulla tesi di A. Thom
relativamente alla yarda megalitica si veda in Bahn & Renfrew 1991, pp. 351
‑ 352. Sembra anche che unità metriche, con multipli e sottomultipli, siano
presenti nelle rappresentazioni ornamentali delle statue‑stele di Aosta
(comunicazioni del Dott. Mezzena).
Nell'assenza di reperti
stratigrafici, l'analisi tipologica (Codebò c.s. 1°), condotta con facile
confronto con i megaliti viciniori [pugliesi (Palumbo 1956), aostani (Cossard,
Mezzena, Romano 1991 pp. 35‑41; Aspes, Barfield, Bermond Montanari,
Burroni, Fasani, Mezzena, Poggiani Keller 1989 pp. 401‑440; Mezzena 1994
pp. 321‑330) e della Linguadoca (Combarnous 1960; Groupe Archèologique
Lodèvois 1961)] mostra come esso sia inquadrabile tra i dolmen mediterranei,
caratterizzati, rispetto a quelli del Nord‑Europa, da dimensioni più
piccole e da forme più curate.
Dopo un recente sopralluogo
i coniugi A. e V. Bonora, del Gruppo Ricerche della Sez. Sabazia dell'I.I.S.L.,
hanno segnalato allo scrivente come due pietre giacenti al suolo nei pressi del
dolmen ‑ e già sospettate di farne in qualche modo parte ‑ possano,
una volta rizzate, apparire come parte integrante dello scenario: una in
particolare, per la presenza ad una estremità di due coppelle simmetriche
"oculiformi", potrebbe interpretarsi come una rozza stele
antropomorfa (foto n. 1). Scartati subito e facilmente gli orientamenti solari,
una prima misurazione dell'asse medio, eseguita dal Prof. Romano (4), ha
fornito un azimut di 134°, cui corrisponde un astro di D ‑30°.
Considerato che essa è assai prossima a quella della Luna alla sua minima
stazione e che l'asse medio è determinabile con molta imprecisione a causa
dell'irregolarità della forma e delle pareti della camera interna (per l'azione
meteorica sulla Pietra del Finale utilizzata), ho ritenuto utile una ulteriore
indagine. M. Monaco (Ass. Astrof. SV) ed io abbiamo, così, proceduto a misurare
con un teodolite l'azimut di ciascuno dei due lati del dolmen. Ciò in un'unica
battuta, grazie alla procedura da Lui elaborata ed espressa sinteticamente
dall'algoritmo:
APsen(m‑b)
sen‑1
s = 180°‑[180°‑[[‑------------‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑]+(m‑b)]‑b]
AB
in cui:
s è l'angolo tra le paline ed
il Sole nell'istante della misurazione;
AB è la distanza tra le due
paline poste alle due estremità anteriori di ciascun lato del dolmen;
AP è la distanza tra il
teodolite in stazione e la palina in A (lato a mare del dolmen);
m è l'angolo tra il Sole, il
teodolite e la palina in B;
b è l'angolo tra il Sole, il
teodolite e la palina in A.
Sviluppata la formula:
Hv = Ho‑R‑i+p+Sd
è risultato che i due lati
del dolmen (a monte e a mare) sono orientati, rispettivamente, su un astro
con D ‑27° e D ‑32°, corrispondenti al sorgere della
Luna dietro la Rocca dell'Orera (q.m.300 s.l.m.), a poco meno di m. 500, quando
raggiunge la sua minima stazione (D ‑29°) ogni 6793 giorni (per i calcoli
mi sono avvalso delle Tavole Nautiche, ed. 1961, ristampa 1993, e delle Effemeridi
Nautiche pubblicate dall'Istituto Idrografico della Marina).
Riporto brevemente i dati
salienti del rilievo:
Giorno : 27/11/1995; ora TU:
11.53.35; Ho Sole: 22°12'; azimut delle due coppie di paline : A'B'= 57°09'40" A B = 48°45'39"; carta topografica
utilizzata : CTR 1:5.000 n. 245042 ed. 1977.
Un sopralluogo sulla Rocca
dell'Orera non mi ha rivelato (nei limiti permessi dalla foltissima macchia
mediterranea) alcun particolare degno di nota, ad eccezione di due strutture
anch'esse di tipo dolmenico, benché assai più rozze, e di un muro in pietre a
secco, alto mediamente m. 1 ‑ 1,5, corrente lungo tutto il profilo del
monte da W fino alla vetta e poi verso N. E' probabile che si tratti o di un
muro confinario del marchesato dei Del Carretto, signori del luogo fino al
XVIII secolo (come mi ha suggerito gentilmente il direttore del Civico Museo
Archeologico del Finale Sig. O. Giuggiola) o di strutture militari di epoca
napoleonica, abbastanza comuni in queste zone.
Ho invece potuto osservare che dalla vetta del monte è ben visibile, in
direzione 298° circa e pressappoco a m.750, il castellaro di Verezzi ‑
poco a S del dolmen ‑ e
all'incirca dietro di esso, sullo sfondo della catena del M. Carmo di Loano a
km. 10, il tramonto del Sole al solstizio d'inverno. Permette ciò di ipotizzare
che la Rocca dell'Orera fosse una sorta di montagna sacra per gli abitanti del
castellaro di Verezzi?
Qui di seguito aggiungo
sinteticamente alcune altre strutture che sembrano avere relazione con il
dolmen:
a) un grande circolo di
pietre a secco, del diametro di circa m. 200, immediatamente a N (il dolmen è
praticamente ubicato sulla sua circonferenza);
b) un grande masso allungato
e stretto con vaschette circa al centro del circolo (quasi introvabile a causa
della vegetazione);
c) sempre all'interno di
quest'ultimo, appena a NW della finitima stazione elettrica, un largo cumulo di
pietre, semisepolto dalla vegetazione, di aspetto molto simile a quelli di
Sanremo (non è l'unico nel Finalese; per un altro analogo vedere infra alla
pietra‑altare dell'Arma Strapatente);
d) a qualche decina di metri
a N del dolmen (e con analoghe misure) una sorta di nicchia sottoroccia
parzialmente chiusa da una lastra di pietra attraversata su un margine da una
mezza cavità (comunicazione dei coniugi Bonora).
Foto n.1 (5). Dolmen di Borgio Verezzi. (Foto Mario
Codebò).
2.2. I MENHIR DI TORRE BASTIA. (2)
Lat. 44°10'36" N Long.
8°18'27" E Q.m. 321 s.l.m.
Il sito, segnalato e
descritto da tempo (Mennevée 1965 pp. 171‑ 176; Tizzoni 1975 p. 99;
Giuggiola 1984; Codebò 1993), è una collina, m. 750 a W del dolmen e m. 500 a W
del castellaro, dalla quale si gode un ampio panorama a quasi 360°. Nei pressi
passava la via Julia Augusta che si univa, nella piana di Pietra Ligure poco
più in basso, alla via Aurelia. Sul perimetro collinare si erge uno spuntone
aniconico di Pietra del Finale sagomato in forma di piramide tronca
schiacciata, alto circa m. 2. Davanti ad esso, a m. 6,5, giace al suolo un
monolito aniconico della stessa roccia, a forma di sigaro, lungo circa m. 2 e
largo circa m. 0,9, accanto al quale si trova un frammento molto più piccolo,
comunemente ritenuto una parte staccatasi dal monolito al momento della sua
presunta caduta: si ritiene infatti che originariamente esso fosse ivi infisso,
dalla parte opposta al frammento più piccolo, in prossimità di un leggero
rigonfiamento del terreno, nel quale abbondano, in superficie, frammenti di
ceramica protostorica, romana e medioevale (i reperti sono presso il Civico Museo
del Finale). Supposto eretto questo monolito, l'allineamento tra le due pietre ‑
da sempre ritenute menhir (Mennevée 1965; Giuggiola 1984; Priuli & Pucci
1994 p. 136) ‑ giace sull'equinoziale: è stato possibile verificare a
vista e fotografare il tramonto del Sole su questo allineamento e sullo sfondo
della catena del M. Carmo di Loano, distante km. 9,5, al 21/03/1990 ed al
23/09/1993 (foto n. 2). Una verifica dell'alba equinoziale è stata
ripetutamente frustrata dalle brume mattutine.
La certezza dell'esistenza
in questo luogo di un allineamento intenzionale di menhir potrà essere data dal
rinvenimento stratigrafico della buca di alloggiamento della pietra oggi
coricata.
Foto n. 2 (6). (Foto Mario Codebò).
2.3.
IL COMPLESSO DI MARCELLO DALBUONO.
Lat. 44°12'14" N Long.
8°20'04" E Q.m. 356 s.l.m.
Per lo studio dettagliato di
questo sito, quasi inedito, vedere in Codebò, c.s. 2°. Si tratta di
un'emergenza di roccia nuda tra il folto della vegetazione sullo spartiacque
tra la valle del torrente Aquila e quella del rio Cornèi, all'estremità
occidentale della conca entro cui si trova il Ciappo de Cunche, vasto
affioramento roccioso coperto di incisioni (Issel 1898 pp. 266‑ 279; 1908
pp. 467‑484; Graziosi 1935 pp. 227‑233; 1973; 1982 Introduzione; Tizzoni
1975; Bernardini 1975; 1981; 1982 pp. 86‑91; Odetti & Ravaccia ? pp.
13‑15; Fella & Zennaro 1991) e frequentato durante l'Età del Rame
(Maggi & Pastorino 1984 pp. 171‑174).
Vi si trovano:
1) una sorta di pietra‑altare
recante una complessa sequenza di incisioni simboliche (3 cruciformi) e
alfabetiche (lettere V e C barrata);
2) accanto, una seconda
grande pietra squadrata ma priva di incisioni;
3) una seconda e meno
complessa sequenza di incisioni (C barrata, croce patente, V) su di una terza
pietra;
4) altre incisioni nei
pressi (due cruciformi e varie vaschette);
5) una sella nella roccia
che sovrasta di pochi metri le pietre incise;
6) una targa che ricorda M.
Dalbuono, scopritore nel 1965 di parte delle incisioni e morto cinque anni dopo
a ventidue anni.
I petroglifi sono stati
datati al XIII secolo d.C.
Si possono quindi avanzare
due ipotesi:
a) che si tratti di segni di
"possesso" incisi dall'antico proprietario del luogo, il cui nome e
cognome inizierebbe con le lettere C e V (o viceversa);
b) che si tratti di una
"cristianizzazione" di un sito ritenuto già pagano. In questo caso i
due segni alfabetici potrebbero interpretarsi come le iniziali della frase
"Christus Vincit". Tali manifestazioni di "cristianizzazione",
pur senza segni alfabetici, sono molto comuni in Liguria.
Ho verificato visivamente
che il complesso di M. Dalbuono si trova al centro di un doppio allineamento
astronomico naturale:
1) dalla modesta elevazione rocciosa
a forma troncoconica (q.m.341 s.l.m.) ergentesi al centro del Ciappo de Cunche,
si vede tramontare il Sole agli equinozi esattamente sulla verticale del picco
roccioso di M. Dalbuono, distante m. 500, sullo sfondo della catena del M.
Carmo di Loano, distante km. 13,5, precisamente nella depressione tra il M.
Grosso (q.m. 1.268 s.l.m.) a N ed il Bric dell'Agnellino (q.m. 1.335 s.l.m.) a
S (foto n. 3);
2) sul piccolo spiazzo a S
immediatamente antistante il complesso di M. Dalbuono, si vede il Sole tramontare
al solstizio d'estate nella sella della roccia retrostante le pietre incise
(foto n. 4).
E' tutto ciò casuale oppure
i frequentatori "pagani" del Ciappo de Cunche si erano accorti che su
quel picco erano visibili quei due fenomeni astronomici e perciò lo avevano
eletto a luogo di culto (come sembrano essere i vicini Riparo dei Buoi e Riparo
Gemello dei Buoi; cfr. Codebò c.s. 2°), che poi, in epoca cristiana, si sentì
il bisogno di "esorcizzare" apponendovi i segni della nuova religione?
Circa l'epoca
"pagana" in ipotesi, sembra ovvio pensare all'eneolitico, ben
documentato nel vicinissimo Riparo Fascette I (Maggi & Pastorino 1984), ma
non bisogna neppure trascurare il periodo della dominazione romana, grosso modo
tra il III sec. a.C. e le invasioni barbariche, durante il quale le popolazioni
indigene avevano probabilmente conservato l'abitudine di incidere le rocce,
senza per altro avere ancora raggiunto l'alfabetizzazione, che invece con la
diffusione del cristianesimo cominciò lentamente a farsi strada, almeno tra il
clero.
Foto n. 3 (7). (Foto Mario Codebò).
Foto n. 4 (8). (Foto Mario Codebò).
2.4. I PETROGLIFI ORIENTATI.
Un certo numero di incisioni
su roccia nel Finalese sono orientate verso i quattro punti cardinali
(misurazioni eseguite con la bussola):
1) tre cruciformi a bracci
uguali, inseriti ciascuno in un quadrilatero, mentre un quarto, a bracci
diseguali (croce latina), diverge dai punti cardinali di 20°W. Tutti e quattro
sono incisi sul Ciappo de Cunche. Da notare che il cruciforme inscritto nel
quadrilatero è frequente nella tipologia del M. Bego (Bicknell 1971; Conti
1972; Bernardini 1975).
2) due cruciformi al Ciappo
dei Ceci o "Le Conchette" (Tizzoni 1975, pp. 92‑93; Priuli
& Pucci 1994 p. 43), meno di km. 1 a S del Ciappo de Cunche, sullo stesso
penepiano.
3) due cruciformi ‑
uno dei quali chiaramente una "croce patente" cristiana ‑ sulla
roccia n. 12 della vicina valletta fossile di Nava (Tizzoni 1975 pp. 95‑97;
Priuli & Pucci 1994 pp. 50‑51), m. 750 a E del Ciappo de Cunche.
4) un segno a
"tau" greco lungo il sentiero del crinale occidentale della valletta
fossile di Nava. Esso però potrebbe anche essere un segno del catasto
napoleonico, diffuso nel Finalese.
Per dettagli, discussione,
ipotesi interpretative e riproduzione di tutti questi petroglifi orientati si
veda in Codebò c.s. 2°.
2.5. LA PIETRA‑ALTARE SOPRA L'ARMA STRAPATENTE.
Lat. 44°12'15" N Long.
8°21'05" E Q.m. 345 s.l.m.
Anche questa struttura è
nota da tempo, benché assai poco pubblicata (Giuggiola 1984). Di essa ho dato
una dettagliata descrizione nell'altro mio lavoro sui "megaliti" del
Finalese (Codebò c.s. 1°).
E' un lastrone
grossolanamente quadrangolare, di lato mediamente cm. 150, in Pietra del Finale,
più spesso sul lato N (cm. 50) che su quello S (cm. 25), poggiato su cinque
pietre più piccole che gli formano sotto un vano vuoto lungo cm. 120, largo cm.
17, alto cm. 50 ed orientato sull'asse meridiano (misurato magneticamente). Il
pavimento è roccia. La peculiarità più saliente del monumento, che ha tutte le
caratteristiche della pietra‑altare, è quella di essere costruito su una
stretta (solo qualche decina di metri quadrati) propaggine del penepiano
allungata a E verso la Valle Sciusa, sulla quale precipita per parecchie decine
di metri e, a W ed a N, verso l'ingresso dell'Arma (= grotta) Strapatente che
le si apre, perforando da parte a parte la montagna, m. 20‑30 più in
basso . Sia l'Arma Strapatente (catasto speleologico ligure n. 210) che la
Caverna Borzini o dei Pipistrelli (AA.VV. 1983 p. 44), distante m. 250 verso
SW, sono risultate di notevole interesse paletnologico, benché poco sia stato
pubblicato dei risultati degli scavi. Infine l'area ‑ la valletta fossile
di Nava ‑ è ricca, come ho detto sopra, di petroglifi (Tizzoni 1975;
Codebò c.s. 2°). Prima di giungere alla pietra‑altare si incontra pure,
lungo il sentiero, un cumulo di pietre del tipo di quello menzionato sopra nei
pressi del dolmen di Verezzi. Tali cumuli, non spiegabili convincentemente con
crolli di muri a secco qui assenti: o sono prodotti di spetramento (Schipani De
Pasquale & Riccobono 1991) oppure potrebbero avere le medesime
caratteristiche funzionali di quelli di Sanremo, con i quali condividono la
morfologia.
2.6. CAMPURIUNDU (Camporotondo).
Lat. 44°11'49" ‑
44°11'54" N Long. 8°20'42" ‑
8°20'47" E - Q.m. 290 s.l.m.
E' un'area circolare di
circa m. 150 di diametro (Giuggiola 1984; Priuli & Pucci 1994 p. 139), a S
del Ciappo de Cunche e del Ciappo dei Ceci e nei pressi del tumulo dell'Età del
Bronzo di Bric Reseghe (Del Lucchese 1987 pp. 133‑136; Priuli & Pucci
1994 p. 139) e dell'omonimo Riparo neolitico (Odetti 1987 p. 132), nonchè della
eneolitica Grotta I del Vacché (Odetti 1987 pp. 129‑131). E' delimitato a
W e a N da lastroni di pietra infissi verticalmente nel terreno e ad E e S da un muro in pietre a secco. Si tratta
quindi di una sorta di cromlech anomalo perché la sua circonferenza è senza
soluzione di continuità (henge?). Non si hanno dati archeologici su di esso,
benché sia stato oggetto di saggi da parte della Soprintendenza Archeologica
Ligure.
E' incluso nel presente
lavoro perché la sua circonferenza è interrotta da due angoli retti esattamente
a S ed a N, rispettivamente in pietre a secco e in pietre‑fitte, come
risulta bene anche dalle fotografie aeree della Regione Liguria.
Ne è in corso il rilievo
planimetrico da parte di M. Monaco.
2.7. S. ANTONINO DI PERTI.
Lat. 44°11'46" N Long. 8°19'12" E Q.m. 176 s.l.m.
E' una chiesetta settecentesca
sconsacrata, con cripta basso‑ medioevale costruita, secondo tradizioni,
su di un "oracolo" allogato nella caverna a pozzo che si apre nella
cripta stessa. La chiesa è importante sia perché contiene una lapide che
commemora l'investitura feudale di Enrico il Guercio Del Carretto da parte di
Federico Barbarossa nel 1162,sia perché sorge nel perimetro del tutt'ora
visibile "Castrum Perticae", che scavi in corso a cura dell'I.I.S.L.
Sez. Finalese hanno dimostrato risalire all'età bizantina ed essere stato
edificato su un preesistente villaggio dell'Età del Bronzo, a sua volta
edificato su un sito musteriano.
Ho misurato magneticamente
l'orientamento delle monofore dell'abside della cripta (orientata, come di
consueto, a levante) in rapporto all'altare ivi esistente, ma non ho rilevato
alcun allineamento astronomico particolare. Tuttavia la misurazione dovrà
essere ripetuta (con teodolite) anche per tenere conto delle evidenti
modificazioni attuate nell'architettura originaria.
2.8. L'ISOLOTTO DI BERGEGGI.
Lat. 44°14'05" N Long. 8°26'44" E Q.m. 53 s.l.m.
Sorge a m. 500 dalla riva ed
è di proprietà privata. Vi si trovano i resti di tre torri (una circolare
romana, una triangolare bizantina ed una quadrata medioevale) e di due
insediamenti monastici, rispettivamente del V‑VI e dell'XI secolo d.C.,
oltre a qualche costruzione moderna. Date le difficoltà di approdarvi, ho
potuto svolgervi solo una fugace esplorazione in occasione di una visita
guidata dalla Sez. Sabazia dell'I.I.S.L. nell'estate 1994. In tale occasione ho
potuto verificare, con metodi magnetici, che una monofora della chiesa a due
absidi dell'XI secolo è orientata sul sorgere del Sole al solstizio invernale
sull'orizzonte marino rispetto al piccolo altare.
3. L'AREA DEL M. BEIGUA (SV).
Mario Garea, studioso
varazzese della prima metà di questo secolo, riteneva che il M. Beigua fosse
una montagna sacra degli antichi Liguri come il francese M. Bégo e che il nome
di entrambi venisse dal pre‑indoeuropeo *beck, con cui si indicava il totemico
maschio della capra ‑ l'ariete o becco ‑ la cui testa scolpita in
arenaria egli vi rinvenne (Garea 1941 pp. 167‑172; 1957 pp. 3‑4; 1°
p. 6; 2° pp. 93‑98). I ritrovamenti degli ultimi anni sembrano dargli
ragione (Bernardini 1975, 1981; Corrain 1987; Franzi 1977 pp. 559‑560;
Martino 1984 pp. 101‑105, 1987 pp. 149‑152; Pizzorno Brusarosco
1990; Priuli & Pucci 1994; Pucci 1984, 1991, 1992; Rosi & Maia 1973,
1976; Vicino 1987 pp. 105‑107). In quest'area sono state studiate
archeoastronomicamente due strutture.
3.1. IL MENHIR DI CIAN DA MUNEGA. (2)
Lat. 44°22'04" N Long.
8°36'06" E Q.m. 100 s.l.m.
E' una roccia aniconica in
forma di trapezio allungato e schiacciato in senso E‑W che sporge dal suolo
di poco più di due metri, nell'ambito comunale di Varazze (Mennevée 1965;
Bernardini 1981. pp. 165‑167; Priuli & Pucci 1994 p. 142). Fu
segnalato da M. Garea (Garea 1941 pp. 167‑172; 1957 p. 4; 1° p. 6; 2° pp.
93‑98). E' importante perché ai suoi piedi vennero rinvenuti manufatti
genericamente attribuibili alla fine dell'Età del Bronzo ‑ inizi dell'Età
del Ferro. Purtroppo tali reperti non sono mai stati pubblicati (Lamboglia 1947
p. 89) e giacciono inutilizzati presso il Comune di Varazze. Fu grazie ad essi
che M. Fenoglio, ispettore di zona della Soprintendenza, salvò il megalite
dalla distruzione facendo deviare il tracciato della costruenda autostrada. E'
però probabile che essa abbia fatto scomparire altri siti circumvicini: l'area
è attualmente del tutto alterata dall'urbanizzazione, sicché è impossibile
riconoscervi eventuali altre strutture che avrebbero potuto essere in
relazione, anche astronomica, con il menhir sopravvissuto. L'unica misura che è
stato possibile effettuare (eseguita dal Prof. Romano) è l'azimut del suo
profilo allungato, che è risultato orientato, con molta incertezza a causa
della sua lunghezza non superiore al metro, verso il sorgere della Luna piena
al solstizio estivo con D ‑29°. Purtroppo, data l'intensa urbanizzazione,
non è possibile fare di più.
3.2. LA STRADA A TECNICA MEGALITICA.
Lat. 44°24'37" ‑ 44°24'41" N Long. 8°33'19" ‑
8°33'21" E - Q.m. 638 s.l.m. (CTR 1:10.000)
Si trova a m. 5.100 a N del
menhir, sulle pendici S del M. Priafaia, nel massiccio del M. Beigua. Fu
segnalata da M. Fenoglio e pubblicata da I. Pucci (AA.VV. 1991 pp. 71‑77;
Priuli & Pucci 1994 p. 142), che ne dà anche il completo rilievo
planimetrico.
Sono state eseguite dal
Prof. G. Romano numerose misurazioni astronomiche della sua complessa struttura,
ma l'unica che si è rivelata interessante è l'orientamento dell'asse principale
(lungo oltre m. 120 e biforcato), quasi esattamente sull'equinoziale.
Tralasciando per motivi di
spazio molti dati importanti, aggiungerò solo che:
1) la struttura sembra
essere stata interrotta verso est da una strada poderale;
2) esiste almeno un menhir
aniconico abbattuto alla sua estremità meridionale;
3) l'inizio della strada è
ben marcato da una "soglia" larga m. 1,6 corrispondenti a due yarde
megalitiche di A. Thom e si trova nei pressi immediati di un rivo d'acqua che
presenta complesse strutture di convogliamento moderne ed antiche (a qualche
decina di metri a monte esiste una profonda ed antica vasca in pietre a secco).
4) la morfologia del muro in
pietre a secco dell'asse principale è tipologicamente analoga non solo al
tumulo di Hirschlanden (V sec. a.C.), ma anche a quelli più antichi dell'area
baltica e mitteleuropea (cfr. in: Cipolloni Sampò 1990 pp. 95‑129);
5) recentissime ricerche
sembrano associare la struttura alla presenza in zona di tombe ed alla cultura
celtica, nonché, come è stato da tempo più volte suggerito, al M. Greppino,
cima rocciosa e spoglia a m. 600 a SW, caratterizzata dall'atavica tendenza
della popolazione locale ad evitarla, da notevole anomalia magnetica e da
impressionanti fenomeni elettrici durante i temporali (informazioni di M.
Fenoglio);
6) tutti i dati raccolti
sembrano suggerire la funzione rituale della struttura, forse connessa con i
culti delle acque.
3.3. IL NICCIU DU BRICCU DU
BROXIN.
Lat. 44°24'23" N Long.
8°32'08" E - Q.m. 485 s.l.m. (CTR 1:10.000)
E' uno dei pilastri votivi
abbastanza comuni in questa zona (Bordo 1991 pp. 79‑113; Priuli &
Pucci 1994 p. 142). Diversamente dagli altri, ingloba una pietra‑fitta
aniconica alta circa m. 2, di forma quasi circolare come un palo di legno. Si
presume che essa preesistesse alla costruzione del pilastro. A pochi metri a S
sgorga una sorgente oggi intercettata. L'eventuale interesse astronomico è dato
dal fatto che dal sito, come risulta anche dalla carta topografica, sono ben
visibili, in direzione rispettivamente del sorgere e del tramontare del Sole al
solstizio d'inverno sull'orizzonte marino, il Bric Casté ed il M. Castellaro,
toponimi generalmente indicativi della presenza di insediamenti protostorici.
Poiché, però, al momento attuale, entrambi risultano archeologicamente
inesplorati, la segnalazione ha essenzialmente un valore preliminare.
4. IL GENOVESATO.
Al momento sono stati individuati
solo due petroglifi orientati e una collina utilizzata quale "meridiana
naturale".
4.1. IL PETROGLIFO DEL M. PENNONE.
Q.m. 801 s.l.m.
E' stato scoperto da L.
Felolo (Felolo 1994a p.17; 1994b p.28; Codebò c.s.2°). Sono due linee, delle
quali una, a Y, è orientata verso la Punta Martìn (q.m.1001 s.l.m.), dietro la
quale sorge il Sole al solstizio d'estate; l'altra, retta, verso il M. Bastìa
(q.m.848 s.l.m.), dietro il quale sorge il Sole agli equinozi. Esso si
inserisce nel complesso delle incisioni dell'area di Voltri (Issel 1908 pp. 460‑467;
Bernardini 1975 pp. 241‑242; Repetto 1982 pp. 49‑51; Galiano
& Pucci 1992 pp. 11‑16;
Priuli & Pucci 1994 pp. 102‑106).
4.2. IL PETROGLIFO DELL'OSTERIA DELLE BARACCHE.
E' un cruciforme atipico
scoperto molto recentemente da G. Novelli, che ne ha fatto anche il frottage da
me pubblicato per sua gentile concessione in Codebò c.s. 2°. E' orientato sui
quattro punti cardinali, con un braccio a 160°.
4.3. IL BRIC DI MEZZOGIORNO.
Lat. 44°27'47" N; Long.
8°55'11" E - Q.m. 340 s.l.m. (IGMI 1:25.000)
Devo la segnalazione di
questo sito a Pietro Bordo, del C.A.I. di Bolzaneto (Codebò c.s. 3°; 4°). Si
tratta di una collina agli estremi limiti settentrionali del comune di Genova
(quindi in città, seppure alla sua periferia!), esattamente sull'asse meridiano
a S della frazione di Cremeno, i cui abitanti, come anche quelli della vicina
frazione di Manesseno, danno questo nome alla collina che invece, sulle carte
IGM e CTR, è chiamata, rispettivamente: M. Cucco e Bric du Ventu. Attualmente
l'unico reperto archeologico visibile sulla cima è una trincea militare
risalente alle guerre austro‑genovesi del XVIII secolo.Ciò che rende
particolarmente interessante questo sito è la permanenza di una simile memoria
toponomastica, evidentemente contadina, entro un'area così fortemente
urbanizzata. L'uso di questi "orologi naturali" è ben attestato in
tutto l'arco alpino (Innerebner 1959; Arborio Mella 1990), come ha
indipendentemente riscontrato anche E. Boccaleri nella società contadina di
Carnino ed Upega (CN), ove esso è ancora vivo.
5. LA VAL BORMIDA (SV).
Sita sul versante padano
delle Alpi Liguri, quest'area è ricca di petroglifi e menhir (Dalla Valle 1969;
Rosi & Maia 1971 p. 126; Olivieri 1978 pp.194‑195; 1979 pp. 116‑117;
Priuli & Pucci 1994 pp. 56‑61, 140‑141), nonché di un
importante insediamento abitativo dell'Età del Bronzo (Del Lucchese &
Starnini 1987 pp. 109‑110) in corso di scavo.
5.1. IL COMPLESSO DI ROCCAVIGNALE.
Lat. 44°21'37" N Long. 8°10'50" E Q.m. 461 s.l.m.
Scoperto alcuni anni or sono
da C. Prestipino, presidente della Sez. Valbormidese dell'I.I.S.L., (Prestipino
?; Priuli & Pucci 1994) nella valletta del Rio Zemola, in un'area incolta
di circa mq.1.500, è costituito da una struttura di tipo dolmenico a grandi
massi, le cui misure sono: lungh. cm. 300; largh. cm. 270; alt. est. cm. 170 ed
int. cm. 120. Purtroppo il pavimento interno originario è andato distrutto ad
opera di scavatori clandestini. A W vi è l'apertura di accesso e ad E (ossia sul
retro) una finestrella sottotetto, come caratteristicamente si rinviene in
molti dolmen francesi nei quali si pensa avesse lo scopo di consentire
l'introduzione di materiale dopo la copertura del monumento con il suo tumulo
(Coumbarnous 1960). Addossati a N e a S, vi sono, rispettivamente, un cumulo
conico di pietre, terra e vegetazione ed una camera semicircolare scoperta o
scoperchiata, di diam. cm. 230, in grosse pietre‑fitte, dalla quale si
diparte, ortogonalmente, un corridoio in medie e grandi pietre‑fitte poco
sporgenti dal suolo, largo m. 3 e lungo m. 54 o m. 37 a seconda che se ne
considerino o meno facenti parte un gruppo isolato di tre massi affiancati.
Pare inoltre, a quanto riferito da C. Prestipino, che il corridoio, a circa m.
37 dal dolmen, curvasse a W e proseguisse per circa m. 30 in un campo
successivamente occupato da una fabbrica di ghiaia che ne ha distrutto i
reperti e minaccia ancor oggi quelli restanti. In ogni caso il corridoio, largo
circa m. 3, si rastrema a m. 34, e a m. 37 sembra chiudersi e terminare con una
punta rivolta a est in cui si nota una pietra tonda racchiusa in un piccolo
cerchio di pietre‑fitte. Tuttavia la morfologia precisa di questa
estremità non è chiaramente leggibile in superficie. Dal cumulo conico di
pietre, terra e vegetazione, addossato al lato N del dolmen si diparte un
secondo corridoio, ortogonale al primo ed all'asse del dolmen, e formato da due
file parallele di pietre‑fitte di medie dimensioni poco sporgenti, largo
mediamente m. 1 e lungo m. 18. Esso termina in un triplice cerchio concentrico
di pietre‑fitte di grandi, medie e piccole dimensioni, i cui diametri
sono, rispettivamente: cm. 450, cm. 150, cm. 30. All'interno del cerchio più
piccolo vi è una pietra ovale di fiume dalla superficie liscia e naturalmente
levigata, delle dimensioni di un pallone da rugby, perfettamente allogata nella
sua sede con l'asse inclinato di circa 45° verso est (come ben si rileva anche
dall'impronta lasciata) e che potrebbe avere la funzione di òmphalos. Tangente
all'estremità orientale del cerchio maggiore vi è un prolungamento rettilineo
di pietre, ortogonale al corridoio minore (quindi con asse N‑S), largo
cm. 50 e lungo cm. 290. A est del cerchio maggiore si notano altri massi di
medie e grandi dimensioni sul prolungamento del corridoio minore.
Poiché è noto che la
struttura fu restaurata per usi agricoli tra le due guerre, sembra più
probabile che le tracce di malta e mattoni su di essa visibili (e dello stesso
tipo di quelli usati nel castello duecentesco a m. 500) siano attribuibili a
tale riutilizzo (ricognizione effettuata con A. Cagnana dell'I.S.C.U.M. ed E.
Bianchi del G.A.L.).
Il sito è stato misurato con
metodi astronomici dal Prof. G. Romano, che ha rilevato un azimut dell'asse medio
del dolmen (e, quindi, del corridoio minore) di circa 77°. Le altre strutture
sono, come già detto, ortogonali.
6. L'IMPERIESE.
Nella zona è accertata la
persistenza fino ai giorni nostri di resti di culti pagani (Felolo 1991‑1992;
Oddo 1994).
6.1. LA PIETRA‑FITTA DELLA DOLINA DI S. LORENZO (IM). (2)
Lat. 44°00'19" N; Long. 7°49'08" E - Q.m. 1.410 s.l.m.
Di questa pietra‑fitta
aniconica, nota da tempo (Bernardini 1975 pp. 47‑48; 1981 p. 92; Priuli
& Pucci 1994 p. 134), ho discusso in dettaglio in un mio precedente lavoro
(Codebò 1996a). E' un monolito infisso nel terreno ed inclinato di circa 40°
verso S al margine occidentale di una profonda dolina, in posizione molto
panoramica e dominante sulla valle del Torrente Argentina. E' alto circa m. 2, largo
meno di m. 1 e molto sottile: è stato infatti sagomato accuratamente a forma di
prua di nave, con lo spigolo orientale, piatto e normale alla larghezza, di cm.
26 alla base e rastremato a cm. 11 al vertice, e quello occidentale di cm. 21
alla base e rastremato a cm. 1 al vertice, che è stato, a sua volta,
accuratamente spianato. La sua forma "appuntita" identifica, di
fatto, una direzione, che, durante un sopralluogo il 07/01/1989, a F.
Bertolotti ed a me parve possibile coincidere visivamente e magneticamente con
il tramonto del Sole al solstizio d'inverno sul profilo dello spartiacque italo‑francese,
distante km. 11. Non è più stato possibile eseguire ulteriori verifiche.
Sul fondo della dolina sono
ben visibili i resti di un giàs (recinto in pietre per uso pastorale) con
riparo parzialmente sotto roccia e parzialmente in pietre a secco (secondo una
tipologia comune nella Liguria di ponente).
Poco distante dal giàs vi è
un masso naturale sulla cui superficie piatta ed orizzontale è scavata una
coppella ovale con analetto di scolo terminante sul bordo.
Per la loro descrizione si
veda in Codebò 1996a e per una discussione sulle possibili funzioni di tali
coppelle quali convogliatori di acqua piovana corrente ‑ e quindi pura ‑
per uso alimentare umano, si veda in Codebò c.s. 2°.
Sul lato orientale della
dolina sono visibili i ruderi della cappella dedicata a S. Lorenzo. Circa la
presenza di cappelle cristiane per esorcizzare luoghi di culto pagani si veda
in Felolo 1990 pp. 6‑7, ed in Codebò 1996a. Nel caso in oggetto sembra
che la località fosse in antico attraversata da una delle tante "vie del
sale". Per la loro ampiezza i ruderi fanno pensare più ad un complesso
abitato stabilmente. Notizie ultimamente fornitemi gentilmente da G. Magaglio,
studioso locale, accreditano l'ipotesi dell'esistenza in loco di una comunità
monastica e di una piccola guarnigione militare in epoca alto‑medioevale.
In tal caso ci troveremmo di fronte ad uno dei tanti "ospitali" siti
lungo le vie di transito importanti.
Nella zona era stata
segnalata in passato anche una stele istoriata interpretata come una
figurazione astronomica (Anati 1973 pp. 101‑126; Bausani 1973 pp. 127‑134;
Bernardini 1975 pp.45‑ 47; Priuli 1991 p. 1443; Priuli & Pucci 1994
p. 135).
7. LO SPEZZINO.
7.1. IL MENHIR DI TRAMONTI DI SCHIARA. (2)
Lat. 44°05'03" N Long.
9°46'50" E Q.m. 483 s.l.m.
E' un menhir iconico alto
cm. 230, largo altrettanto nel suo punto massimo ma rastremato alla base ed
appuntito al vertice, spesso cm. 70. Presenta evidentissimi segni di
lavorazione e sagomatura ed una icona in forma di rombo posta orizzontalmente
alla sua base (Formentini 1950 ‑1954 pp. 19‑21), oggi assai poco
leggibile, forse per deterioramento. E' affiancato da due pietre‑fitte
aniconiche molto più piccole, una delle quali tutt'ora in situ, l'altra caduta
accanto: per questa sua forma è detto trilite. E' noto da tempo ed ampiamente
descritto (Mazzini 1922 pp. 123‑128; Formentini 1951 pp. 32‑37;
1950‑1954; Manfredi 1975‑1976 pp. 290‑ 304; 1980 pp. 67‑85;
Barbuto & Piccioli 1980‑1981 pp. 90‑110; Manuguerra 1987;
Priuli & Pucci 1994 p. 147; Felolo 1988 pp. 30‑ 34). Si trova in uno
slargo ampio oltre m. 14, lungo l'antica mulattiera che congiungeva
l'importante monastero medioevale di S. Venerio nell'isola del Tino con le
cosiddette "Cinque Terre" e forse oltre, passando sul crinale
montuoso, ricco di ritrovamenti. In particolare, sul vicinissimo Monte della
Madonna fu rinvenuto un piccolo menhir istoriato (Formentini 1951; Manfredi
1975‑1976; 1980; Barbuto & Piccioli 1980‑1981; Priuli &
Pucci 1994 p.147), oggi al Museo Civico di La Spezia, e, sul più lontano M.
Capri, a km. 5 ad W, un grosso menhir abbattuto e spezzato, sotto il quale fu
rinvenuta una selce scheggiata (Barbuto & Piccioli 1981; Priuli & Pucci
1994 p. 148). Si noti bene che tutte queste pietre‑fitte si trovano lungo
il percorso plurichilometrico della citata mulattiera. Si deve anche notare che
siamo qui al margine occidentale dell'area di rinvenimento delle statue‑stele
lunigianesi, due delle quali ‑ le nn. 2 e 3 ‑ furono trovate, nel
1886, a soli km. 3 di distanza, durante gli scavi del costruendo Arsenale
Militare (Ambrosi 1972).
L'intera area sembra avere
subito una intensa cristianizzazione:
a) il trilite è sormontato
da una croce in ferro, un tempo in legno;
b) la località
immediatamente ad W ha nome "monte della Madonna". Il piccolo menhir
iconico ivi rinvenuto dal Mazzini nel 1923 è anch'esso crucisegnato (Formentini
1951; Manfredi 1980);
c) in quest'ultima località
sorge anche una grossa cappella ‑ o piuttosto una vera e propria
chiesetta ‑ dedicata a S. Antonio Abate, noto fin dall'antichità per la
sua attività di esorcista (Mohormann et Alii 1981);
d) il menhir di M. Capri reca
inciso un cruciforme e si trova a poco più di km. 1 a W dalla località "la
croce", punto di incontro di più sentieri (uno dei quali certamente
medioevale) segnato dalla presenza di un masso con petroglifi, tra cui tre
croci, la maggiore delle quali biforcata (e perciò probabilmente attribuibile
al Basso Medioevo; cfr. Codebò c.s. 2°).
Senza ripetere ciò che si
può leggere nella bibliografia, espongo quanto risulta di inedito.
1) Il masso fu probabilmente
estratto da una piccola cava nel folto del bosco, alcune decine di metri più in
basso, contrariamente a quanto riferito dal Mazzini (Mazzini 1922);
2) benché dichiaratamente
sospettato di essere orientato verso il tramonto del Sole al solstizio
invernale (Formentini 1950‑1954; Manuguerra 1987; Felolo 1988), si è
verificato che nessun allineamento significativo esiste, o, per meglio dire, ne
esistono troppi, in sequenza pressoché ininterrotta: tra D ‑16° e D ‑36°
dagli estremi del retrostante "posatoio" alla croce sulla punta del
menhir (misurazioni del Prof. G. Romano);
3) Un sopralluogo effettuato
al solstizio invernale del 1993 con M. Manuguerra ha permesso di individuare un
segno ad U su una delle pietre del posatoio e di verificare sul terreno che il
corridoio tra il posatoio ed il muro di contenimento della collina è il
tracciato originario dell'antica mulattiera, come in precedenza supposto con
Felolo. Essa aggirava, senza attraversarlo, lo spiazzo di diametro m. 14 dove
si erge il complesso megalitico, come risulta evidente dal fatto che, alla altezza
del vicinissimo cavanéo (casella di pietra) nel muro stesso, corridoio e
mulattiera sono sullo stesso asse, interrotti dalla sterrata. Ciò avvalora
l'ipotesi avanzata da R. Formentini (Formentini 1950‑1954) che il sito
fosse originariamente occupato da un cromlech successivamente abbattuto per la
costruzione della sterrata, le pietre del quale, rimosse, sarebbero state
ammucchiate a formare l'attuale posatoio. In tal caso uno scavo stratigrafico
dovrebbe mettere in luce le fosse originarie delle pietre‑fitte e quanto
si intravede in superficie (cfr. Manuguerra 1987). In proposito rammento che
una prospezione geomagnetica del sito, promossa da S. Berti, fa supporre
l'esistenza di una struttura sepolta a 57° dal vertice del menhir, nel fianco
della collina.
8. CONCLUSIONI.
Considerando obiettivo
dell'indagine l'eventuale interesse di antichi Liguri per direzioni
astronomiche privilegiate (ossia: rivolte su punti non del paesaggio ma della
sfera celeste, compresi i punti cardinali) e prescindendo dall'attribuzione
cronologica, possono dirsi emersi i seguenti risultati:
1) su 14 monumenti (petroglifi a parte), 2 (nn. 6.1; 3.3) richiedono ulteriori verifiche ed 1 (n. 2.2) attende ancora la sua
conferma a manufatto;
2) dei restanti 11:
a) 6 (nn. 2.1; 2.3; 2.6; 2.8; 3.2; 4.3) hanno inequivocabilmente degli
allineamenti (il n. 2.3 ne ha 2);
b) 1 (n. 2.5) probabilmente deve il suo orientamento meridiano alla
morfologia del terreno;
c) 1 (n. 3.1) sembra orientato, ma la sua misura strumentale non offre
sufficiente certezza;
d) 3 (nn. 2.7; 5:1; 7.1) sono privi di allineamenti significativi (ma
richiedono tutti un approfondimento).
Risultano quindi 7 allineamenti sufficientemente sicuri
(2 nel n. 2.3 ) su 11: 3 equinoziali; 1
cardinale; 1 sul tramonto
solstiziale estivo; 1 sulla levata
solstiziale invernale; 1 sulla
levata lunare alla minima stazione.
Per quanto riguarda i
petroglifi, su 12 misurati:
a) 11 sono orientati (9 sui
punti cardinali, 1 sulla levata
solstiziale estiva, 1 sulla levata
equinoziale;
b) 1 non è orientato.
In conclusione, su 26 manufatti, 18 possiedono, al momento, allineamenti sicuri; dei 6 restanti, 5 possono ancora riservare sorprese.
E' auspicabile che questi
dati inducano ad ulteriori indagini ed alla tutela di monumenti che purtroppo
rischiano quotidianamente la distruzione.
RINGRAZIAMENTI.
Ringrazio tutti coloro che,
qui citati o meno, hanno in qualunque modo contribuito a questa ricerca.
NOTE.
(1) Per una esatta
valutazione e comprensione di quanto qui di seguito descritto, è molto utile la
consultazione del testo di A. Priuli e I. Pucci 1994, primo e per ora unico
compendio degli studi e delle ricerche regionali in materia nonché unico corpus
dei reperti.
Consiglio anche la consultazione
del testo di G. Odetti 1990, indispensabile per orientarsi nella non sempre
chiara bibliografia paletnologica ligure.
(2) La pianta schematica del
sito è in Codebò 1996b, pp. 12‑20.
(3) Per quanto riguarda le
coordinate e le quote geografiche riportate per ogni sito, mi sono avvalso
principalmente della Cartografia Tecnica Regionale 1:5.000 (CTR), che viene
perciò sottaciuta. Dove mi sono avvalso di altra cartografia essa viene
esplicitamente menzionata. I valori di latitudine e longitudine sono riportati
fino ai secondi di circonferenza nella consapevolezza dei limiti imposti dalla
loro determinazione sulle carte topografiche ed allo scopo precipuo di
consentire al meglio l'ubicazione su di esse di quanto descritto.
(4) In ossequio alla volontà
a suo tempo manifestata dal Prof. G. Romano, preciso che le misurazioni, nei
siti espressamente menzionati, sono state da Lui eseguite, ma che ogni altra
considerazione è da attribuirsi esclusivamente a me.
(5) Notare sulla sinistra la
presunta stele oculiforme.
(6) Il punto dove il Sole è
appena tramontato è indicato dal braccio alzato della persona ritta sul punto
dove si ritiene fosse originariamente infisso nel terreno il monolito oggi
giacente tra i cespugli alla sinistra della persona. All'orizzonte, coperta
dalle nubi, vi è la vetta del M. Carmo di Loano.
(7) Le pietre incise sono
sulla punta dell'orizzonte al centro in primo piano appena a N e sotto la
verticale del disco solare. All'estrema sinistra vi è la vetta del M. Carmo di
Loano.
(8) A sinistra in basso una
delle pietre incise; al centro la sella ove tramonta il Sole; a destra la targa
di marmo in ricordo di M. Dalbuono.
BIBLIOGRAFIA.