ARCHEOASTRONOMIA LIGUSTICA

 

 

Pubblicato in: Atti del IX Seminario A.L.S.S.A, Genova 31 marzo 2007, pp. 72-82.

 

 

DALLA “STELLA DI BETLEMME” ALLA CREAZIONE DEL MONDO

 

Ettore Bianchi, Mario Codebò, Giuseppe Veneziano

 

 

1. Introduzione. (G. Veneziano – E. Bianchi)

Nell’ultimo seminario di Archeoastronomia A.L.S.S.A., tenuto nell’aprile 2005, sono state presentate due relazioni dal titolo La stella di Betleem: realtà o fantasia? (G. Veneziano) e Considerazioni astronomiche sulle aspettative messianiche giudaico-cristiane (M. Codebò – E. Bianchi), le quali sono successivamente confluite in uno studio presentato unitamente al V Convegno della Società Italiana di Archeoastronomia (S.I.A.), tenuto presso l’Osservatorio Astronomico di Brera (Milano) il 23 e 24 settembre 2005, dal titolo Ipotesi astronomica sulla “Stella di Betlemme” e sulle aspettative escatologiche coeve nel mondo mediterraneo.

In tale relazione venivano analizzati i possibili fenomeni astronomici alla base dell’apparizione della stella di Betlemme. Nell’analisi sono stati esclusi, come poco plausibili, fenomeni attribuibili alla presenza del pianeta Venere, all’apparizione di una cometa periodica e all’esplosione di una stella nova. In seguito si è passati ad analizzare la figura dei Magi, i quali, partiti dall’oriente percorsero, secondo le cronache, circa 800 chilometri per andare a rendere adorazione al divino fanciullo. Dall’analisi del termine originale (Magòi) si è appurato che i Magi in realtà erano nient’altro che astrologi (sacerdoti-astronomi). Quali potevano essere stati i possibili avvenimenti celesti che potevano avere avuto anche un profondo significato astrologico tale da spingere questi studiosi ad intraprendere un così lungo viaggio? 

È stato mostrato come tutta la cultura mediterranea dell’epoca fosse permeata dalla aspettativa di un cambiamento radicale a livello politico e sociale grazie alla nascita di un re che, secondo le profezie, sarebbe venuto dal popolo di Israele. I Magi, quindi, trassero dai fenomeni celesti di quel tempo il segno di tale avvenimento. Ma quando fu “quel tempo”? Quando nacque Gesù? Le date più probabili sembrano coprire un arco di tempo compreso tra il 7 a.C. (proposta dall’astronomo Johannes Keplero) e il 2 d.C.

Nelle precedenti relazioni, analizzando i dati ottenuti dall’analisi comparata di documenti storici, archeologici e astronomici, si è dato risalto al periodo di inizio autunno dell’anno 2 a.C., questo senza escludere altre interpretazioni. Tale data è ampiamente supportata da avvenimenti astronomici di particolare interesse, quali l’eclisse totale di Luna avvenuta poco prima della morte del re Erode, o la tripla congiunzione apparente tra Giove e Venere che, il 27 agosto del 2 a.C., si trovarono raggruppati insieme al Sole, a Marte e Mercurio, nella costellazione del Leone nei pressi della stella Regolo, che era considerata la stella dei re.

Proprio le congiunzioni planetarie sembrano essere il denominatore comune che lega le ultime numerose interpretazioni della data della nascita di Gesù Cristo. Una di questa, avanzate da Michael Molnar nella sua opera The Star of Bethlehem: the Legacy of the Magi (2000, La stella di Betlemme, Armenia Editore, Milano), pone tale data al 17 aprile del 6 a.C.¹, avvalorandola con la presenza di una congiunzione dei pianeti Marte e Venere che accompagnavano il Sole e la Luna nella costellazione dell’Ariete, segno generalmente associato alla Giudea². Egli osserva che se si guardava verso Est in tale periodo, si poteva osservare che Saturno e Giove sorgevano poco prima della levata del Sole (levata eliaca) in quello che costituiva un accompagnamento regale. Il Sole inoltre era il governatore del trìgono Ariete-Leone-Sagittario, anche questo pregno di significati simbolici. Il fatto che questi pianeti fossero in congiunzione col Sole, quindi durante il periodo diurno, vuol dire che essi non erano visibili all’occhio umano, ma che solo dei sacerdoti-astronomi (quali erano i Magi) potevano prevederne la posizione tramite calcoli matematici, e quindi trarne un particolare significato astrologico.

Molnar, però, a nostro parere commette un errore di base. Egli afferma (senza peraltro provarlo) che i Magi non erano né astronomi né astrologi babilonesi, bensì stimati astrologi ellenici (op. cit., pag. 6), ed è sull’astrologia greca che l’autore basa la sua teoria. Ci si dimentica però che fu l’astrologia babilonese – e successivamente quella persiana – ad influenzare quella ellenica, non il contrario. I Magi erano persiani, non greci.

Molnar riporta l’affermazione degli Oracoli Sibillini³ (3, 218), secondo cui “Gli Israeliti non si prendono cura del corso ciclico del Sole o della Luna…e nemmeno praticano le predizioni astrologiche dei Caldani.” I Caldani, o Caldei, altri non erano che i Babilonesi, i quali avevano una profonda tradizione astronomica e astrologica, tanto da essere considerati i fondatori dell’astrologia pragmatica. È vero che in Israele l’astrologia era considerata alla stregua di una scienza demonica, questo almeno ufficialmente. Ma nella vita quotidiana del popolo, specie dopo l’esilio di Israele a Babilonia  (VI secolo a.C.), l’astrologia era tenuta invece in grande considerazione. Basti pensare alle recenti scoperte dei manoscritti di Qumram (ritrovati presso il Mar Morto), o agli scritti apocrifi quali Il libro di Enoc, detto anche Libro dell’astronomia.

Molnar, infine, sostiene che non esistono prove convincenti che testimonino che le antiche tradizioni babilonesi fossero seguite dagli astronomi del tempo di Gesù (op. cit., pag. 44). Questa è però un’affermazione che impone prove molto consistenti. È molto più probabile che dopo l’esilio babilonese le tradizioni astroreligiose caldee fossero penetrate nel giudaismo popolare4 e rimaste fino alla seconda distruzione del tempio di Gerusalemme (70 d.C.) ad opera dei Romani. Se l’affermazione di Molnar può ritenersi valida per quanto riguarda la corte del re Erode, più vicino politicamente a Roma (e quindi alle tradizioni ellenistiche), ben diversa doveva essere la condizione del popolo, più vicino invece ad una politica persiano-partica, se non altro per la speranza di liberarsi dell’oppressivo giogo romano.

Erode si circondava di saggi versati nella Legge Mosaica e nelle Sacre Scritture, come pure di astrologi ed indovini; come mai allora fu stupito dell’affermazione dei Magi di un segno celeste che annunciava la nascita di un nuovo re in Israele? L’unica risposta plausibile è che i saggi di Erode basassero le loro predizioni sull’astrologia ellenica, mentre i Magi si basavano sull’astrologia babilonese. I Magi erano persiani, provenienti da territori al di là del fiume Tigri, da quella che era la Partia, territorio tabù perfino per Roma. Che influenza poteva avere la cultura greco-romana su quella irano-partica, totalmente ostile a Roma? Furono i Babilonesi, dai quali i Parti discendevano, a registrare le prime tavole astrologiche (oggi conosciute come “oroscopi”) o a suddividere in dodici settori uguali (“zodiaco”) le costellazioni attraversate dal Sole e dai pianeti. Furono i Babilonesi a rappresentare graficamente, già nel I millennio a.C. il fenomeno della “precessione degli equinozi”5, cioè quel fenomeno di oscillazione dell’asse terrestre, della durata di circa 26000 anni, che determina un cambiamento della stella verso cui punta l’asse terrestre stesso e dei punti di intersezione fra il piano dell’equatore terrestre e l’eclittica, punti che vengono definiti equinozi.  Tale periodo fu in seguito calcolato e spiegato da Ipparco di Nicea6 (190 – 125 a.C.) sulla base di innumerevoli osservazioni provenienti dall’area assiro-babilonese. Claudio Tolomeo ne aveva in seguito stimato il moto in 1° ogni 100 anni.

 

 

2. La precessione degli equinozi e le aspettative messianiche. (G. Veneziano – E. Bianchi)

In quest’ottica, il nostro precedente contributo ha presentato una nuova, suggestiva ipotesi sul tema della cosiddetta Stella di Betlemme. La dissertazione si è articolata in tre parti: nella prima si è evocato la comparsa, in Italia e in Oriente, nel pieno del crollo della Repubblica Romana, di speranze che prossimamente, dall’alto, sarebbe stata instaurata in mezzo agli uomini una nuova e durevole Età dell’Oro. Nella seconda parte si è discusso criticamente le varie e interessanti supposizioni, formulate già in antico, intorno alla vera natura dell’astro che avrebbe accompagnato la nascita del Salvatore. Nella terza e ultima parte si è ricostruita la straordinaria concomitanza, nel cielo di quel tempo, fra una triplice congiunzione di Giove e Saturno e l’epocale passaggio del Sole, all’equinozio primaverile, dalla Casa dell’Ariete a quella dei Pesci. La nostra conclusione è stata che vaste fasce popolari, munite di fervida immaginazione e animate da grandi speranze, abbiano trasfigurato questo rarissimo e per certi versi inquietante fenomeno naturale segnalato con buon anticipo dagli astronomi, nel clamoroso annuncio del Regno di Cristo.

Com’è noto i punti equinoziali γ e Ω rispettivamente primaverile ed autunnale sono i due luoghi puntiformi dell’intersezione dell’eclittica con l’equatore celeste. Essi sono dotati di movimento precessionale retrogrado complessivo annuo pari a 0°00'50,290966" (al 2000.0J), che permette ad essi di percorrere:

·                            l’intera eclittica in senso retrogrado in circa 25770 anni;

·                            ciascuna stazione zodiacale (di 30°) in circa 2147,5 anni;

·                            1° in circa 71,6 anni.

I punti equinoziali γ e Ω sono impercettibili ad occhio nudo e rilevabili solo tramite strumentazioni particolari, ed a causa della loro natura puntiforme e del loro moto sono spesso assimilati ancora oggi a due stelle reali ma invisibili. Proprio intorno agli anni in cui nacque Gesù, dopo circa 2147,5 anni la precessione generale li aveva spostati dalle precedenti costellazioni dell’Ariete e della Bilancia a quelle nuove in cui si trovano tutt’oggi: i Pesci e la Vergine. Era così praticamente finita un’era e ne stava cominciando un’altra. Dal punto di vista astrologico era quindi lecito attendersi l’avvento di un nuovo ordine di cose. Questo passaggio dei punti equinoziali dalle rispettive costellazioni a quelle nuove era quindi interpretabile come il segnale di un cambiamento politico, sociale e religioso.

Ma quando avvenne l’entrata dei punti equinoziali γ e Ω rispettivamente nelle costellazioni dei Pesci e della Vergine?

Anticamente le costellazioni non erano delimitate dai confini cui siamo abituati attualmente. Il limite o confine di una costellazione era delineato dall’asterismo stesso. Tra una costellazione e l’altra c’era il vuoto. Un pianeta entrava in una costellazione, o “Casa”, quando apparentemente toccava la figura formata dall’asterismo. Solo più di recente, l’uso dei telescopi ― e quindi la scoperta di galassie e stelle situate tra i diversi asterismi ― ha reso necessario delimitare con confini precisi le varie costellazioni. Allora, in quale anno il punto equinoziale γ ha “toccato” la costellazione dei Pesci? E in quale anno il punto equinoziale Ω ha “toccato” l’asterismo della Vergine? Sul primo fenomeno sono state eseguite delle misurazioni congiunte da Mario Codebò e da Jan Meuus, misurazioni che hanno portato alla data del 24 d.C. Per quanto riguarda invece il secondo fenomeno, le misurazioni sono ancora in corso, ma sembrano portare indicativamente a pochi anni prima dell’inizio dell’Era Cristiana.

 

 

3. Considerazioni astronomiche.  (M. Codebò)

Circa dalla metà del II secolo a.C. alla metà del II d. C. nel mondo greco-romano cominciarono a sorgere un po’ dovunque, contro le autorità costituite, varie sollevazioni che talora sfociarono in vere e proprie rivolte armate. La prima fu quella di Aristonico a Pergamo e l’ultima fu la guerra giudaico-romana che culminò nella distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d. C. e nella Diaspora nel 135 d. C. Tra questi due estremi temporali ci furono altri disordini, fra i quali quelli in Sicilia nella seconda metà del II secolo a.C. e soprattutto quelli a Roma nel I secolo a.C., quando si consumarono le guerre civili. Una delle caratteristiche comuni a tutte queste sollevazioni furono alcune aspettative escatologiche nell’avvento di una nuova era, nella quale gli astri ebbero una parte consistente. Sorvolando, per ragioni di spazio, sugli Eliopolitani di Pergamo che attendevano l’avvento del regno del Sole, concentriamoci su quella espressa da Virgilio e su quella del Messia giudeo, per passare poi, come vedremo, a quella del saošyant avestico.

Nei versi 4-12 della sua IV Bucolica P. Virgilio Marone cantava:

 

L’ultima età giunge oramai della profezia cumana

la serie dei grandi secoli comincia da capo

oramai torna persino la Vergine, tornano i regni di Saturno,

oramai una nuova razza s’invia dall’alto cielo.

Tu al fanciullo che ora nasce, per cui cesserà finalmente la razza del ferro

e sorgerà in tutto il mondo la razza dell’oro,

sii benevola casta Lucina: già regna il tuo Apollo.

E proprio sotto il tuo consolato, sotto il tuo consolato,

o Pollione, questa splendida età avrà inizio e cominceranno a svolgersi i grandi mesi..”.

 

Asinio Pollione fu console nel 40 a.C. e solo sei anni prima Giulio Cesare aveva dovuto riformare l’antico calendario di re Numa Pompilio. Pressappoco in quello stesso periodo in Palestina gli Ebrei si preparavano ad accogliere il Messia delle profezie bibliche che avrebbe dovuto condurli alla vittoria contro i loro nemici. Rabbì Akiba lo riconobbe nel 133 d.C. in Bar Kokba (= il figlio della stella), che però fu sconfitto ed ucciso nel 135 dagli eserciti di Roma, ponendo così fine alle aspettative messianico-guerriere. In questo lasso di tempo si colloca in un anno non bene identificato la nascita di Gesù, riconosciuto dai Cristiani come il Messia atteso. Secondo l’evangelista Matteo, Gesù neonato fu visitato da Magi che avevano visto la sua stella. Qui è indispensabile esaminare brevemente il testo originale di alcuni versi del cap. II del Vangelo di Matteo.

Il testo di Mt 2,2 7:

…ε̉ίδομεν γάρ αυ̉του̃ τόν α̉ςτέρα ε̉ν τη̣̃ α̉νατολη̣̣̃̃…8 può tradursi sia come stato in luogo “…vedemmo in oriente la sua stella…”, sia come complemento di tempo “…vedemmo la sua stella al sorgere…”. Il testo latino della Vulgata geronimiana traduce il testo greco come complemento di luogo.

Il testo di Mt 2,9:

…καί ι̉δου̃ ‘ο α̉στήρ, ‘ό́ν ει̉̃δον ε̉ν τη̣̃ α̉νατολη̣̃ προη̃γεν αυ̉τοὺς ‘έως ε̉λθών ε̉̀στάθη ε̉̀πάνω ού ὴ̃̉ν τὸ̀ παιδίον…” è tradotto nella Vulgata nel modo seguente: “...et ecce stella, quam viderant in oriente, antecedebat eos, usquedum veniens staret supra, ubi erat puer…”, che in italiano viene generalmente tradotto: - “…ed ecco la stella che avevano visto nel suo sorgere (oppure: che avevano visto in oriente) li precedeva finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino…” (BG 1977), oppure: “…finché, giunta sul luogo dove era il bambino, si fermò” (Garofalo 1960).

Tuttavia, poiché i vocaboli προη̃γεν e ε̉λθών ε̉̀στάθη possono tradursi, rispettivamente, con guidava e sopraggiunta sorse, così come il vocabolo antecedebat significa sia precedeva, sia guidava, e poiché il vocabolo greco ‘έως può ugualmente significare tanto l’avverbio temporale “finché” quanto il sostantivo “aurora” - entrambi scritti esattamente nello stesso modo, con le stesse lettere e gli stessi accento e spirito - la frase del testo greco può parimenti tradursi correttamente: <…ed ecco la stella che avevano visto nel suo sorgere li guidava finché venne a sorgere sopra il luogo dove si trovava il bambino…>, ovvero: <…ed ecco la stella, che avevano visto al sorgere, li precedeva; l'aurora, sopraggiunta, venne a sorgere sopra il luogo ove era il bambino…>.

In sostanza:

1)      nel testo greco ed in quello latino non è obbligatorio leggere un movimento della stella, astronomicamente inspiegabile (anche se si fosse trattato di una cometa). Pur stando ferma, la stella guidava i Magi, come fa la Stella Polare con i naviganti;

2)      la stella potrebbe essere anche l’aurora, ossia la levata mattutina del Sole: ma evidentemente non una levata qualsiasi, bensì una carica di significati.

Quale dunque poteva essere la stella vista dai Magi? Teologicamente essa era la “stella [che] spunta da Giacobbe” di Nm 24,17. Ma nella realtà fisica? Come è noto sono state fatte numerose ipotesi che vanno dalla cometa, alla nova, alla congiunzione planetaria, alla configurazione astrologica (Molnar 2000), ecc. fino alla tesi di chi, come l’abate Giuseppe Ricciotti, nella sua Vita di Gesù Cristo (Ricciotti 1974, p. 170-171; 270-272) afferma senza mezzi termini che, trattandosi di un evento miracoloso, non se ne può trovare l’origine naturale. Se però si legge attentamente il testo evangelico di Mt 2,1-6 si comprende, come noto, che la stella era visibile dai soli Magi: Erode infatti viene a sapere di essa da loro quando, giunti a Gerusalemme, vanno a chiedergli informazioni. Questa visibilità “selettiva” della stella fa, a nostro parere, piazza pulita di tutte le ipotesi precedenti, perché, esclusa la sua natura unicamente miracolosa in forza della quale tutto può ovviamente accadere, nessuno dei fenomeni astronomici fino ad oggi supposti - cometa, nova, congiunzione planetaria, meteora, ecc. - e con l’eccezione dell’ipotesi astrologica di Molnar9, è visibile solo ad alcuni e ad altri no.

Quale può dunque essere un astro con tali caratteristiche di visibilità selettiva? Erodoto ci dice che i Magi erano esperti astrologi. Oggi li definiremmo “astronomi professionisti”. Essi erano quindi in grado di riconoscere fenomeni che ai profani potevano sfuggire od erano del tutto invisibili. Tra i fenomeni astronomici di questo tipo ve n’è uno che si verificò proprio in quegli anni: il passaggio dei punti equinoziali γ - o primaverile, o vernale, o d’Ariete - ed Ω - o autunnale, o di Bilancia - rispettivamente dalla costellazione dell’Ariete a quella dei Pesci e dalla costellazione della Bilancia a quella della Vergine. Ecco dunque che ritroviamo alcuni dei simboli virgiliani delle aspettative escatologiche coeve: la Vergine, il Sole/Apollo/Helios che comincia a nascere in costellazioni nuove ed inaugura quindi una nuova era zodiacale. Vedremo tra poco come anche Saturno abbia la sua parte in tutto ciò.

Il passaggio precessionale dà ragione anche di un altro simbolo, questa volta squisitamente cristiano: i Pesci, che sono, ad un tempo, il più antico simbolo identificativo dei Cristiani, solo successivamente sostituito dalla Croce e tardivamente interpretato come l’acrostico della frase “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”, e la nuova costellazione dell’equinozio di primavera. In quegli stessi anni però si verificò anche un altro fenomeno astronomico peculiare, già indicato da Keplero come la possibile stella dei Magi: nel 7 a.C. - ricordiamo che la data convenzionale della nascita di Gesù fissata da Dionigi il Piccolo è quasi certamente posticipata di qualche anno rispetto alla vera data di nascita - Giove e Saturno si congiunsero tre volte in nove mesi proprio nella costellazione dei Pesci. Una triplice congiunzione nella stessa posizione angolare - ampiamente e dettagliatamente discussa da Giuseppe de Cesaris nel suo libro Congiunzione Giove-Saturno e storia giudaico-cristiana - si verifica circa ogni 913 anni (De Cesaris 2001). Quella precedente, sempre nella costellazione dei Pesci, si ebbe nel X secolo a.C., probabilmente sotto il regno di Davide o di Salomone a Gerusalemme.

Dunque le coincidenze astronomiche avvenute intorno all’anno della nascita di Cristo sono veramente eccezionali: dopo 900 anni una triplice congiunzione Giove-Saturno si verificò nella stessa costellazione in cui era appena entrato il punto γ, mentre il punto Ω era appena entrato nella Vergine, ossia in quella costellazione che la religione greco-romana identificava con Dike = la Giustizia, che durante l’Età dell’Oro, quando regnava Saturno, viveva sulla Terra tra gli uomini e che se n’era allontanata volando in cielo quando essi, nelle successive Età dell’Argento, del Bronzo e del Ferro, divennero malvagi.

Per trovare un’altra triplice congiunzione Giove-Saturno in una costellazione in cui è appena entrato uno dei due punti equinoziali bisogna risalire al 4097 a.C., quando il punto γ era appena entrato nel Toro. Codebò e Felolo hanno già avanzato l’ipotesi che le numerose rappresentazioni di bucrani risalenti al III millennio a.C. fossero simboli di tale costellazione, soprattutto allorché, intorno al 3000 a.C., Aldebaran era in levata eliaca all’equinozio di primavera (Codebò e Felolo c.s.).

A circa 4000 anni a.C. risale però la data della creazione, stando ad alcuni calcoli sulle genealogie bibliche:

a)                  secondo gli Ebrei (esattamente al 3761 dalla distruzione del secondo tempio di Gerusalemme);

b)                  secondo S. Girolamo;

c)                  secondo i Testimoni di Geova (esattamente al 4026 a.C.).10

Questa discrepanza tra la data ebraica e quella dei Testimoni di Geova si riduce ad una differenza minima se si considera che il calcolo ebraico, descritto nel Seder Olam Rabbah, è errato per difetto di circa duecento anni, in quanto colloca la data-origine del computo - cioè la distruzione del II tempio di Gerusalemme ad opera dei Romani - nel 68 invece che nel 70 d. C., e perché valuta la dominazione persiana sulla Babilonia in soli 34 anni, mentre essa fu in effetti di circa duecento anni, dall’editto di liberazione di Ciro a favore degli Ebrei nel 538 a.C. alla vittoria di Alessandro Magno su Dario III Codomano a Gaugamela nel 331 a.C.

Ecco dunque che un’altra data biblica significativa è segnata dallo stesso fenomeno astronomico occorso intorno agli anni della nascita di Gesù: la triplice congiunzione Giove-Saturno si verificò sia nel 7 che nel 4097 a.C. nella nuova costellazione zodiacale in cui, rispettivamente, il punto γ era appena entrato.

A rafforzare ulteriormente questa tesi sta il testo di 4Q318, ossia di quel frammento di Qumran detto Brontologion da cui si evince chiaramente che lo zodiaco ebraico - almeno quello usato a Qumran - cominciava all’epoca di Cristo ancora con il segno del Toro anziché con quello successivo dell’Ariete, cioè con il segno zodiacale in cui il Sole sorgeva all’equinozio di primavera non nel II e nel I ma nel IV e nel III millennio a.C. (Eisenman e Wise 2002, pp. 258-263).

Tracce di astronomia precessionale le troviamo però anche nell’Avesta, il libro sacro della religione mazdaica cui verosimilmente appartenevano i Magi in quanto tribù dei Medi, di ceppo iranico, secondo la descrizione di Erodoto. Come è noto l’Avesta - che tutt’ora è il libro sacro dei Parsi - consiste nella rivelazione fatta dal dio unico Ahura Mazda a Zarathustra. La nascita dell’Avesta pare si debba collocare in prossimità del IX secolo a.C. tra gli Arii dell’altopiano iranico (Alberti 2004, p. 15). Secondo il credo avestico la creazione di Ahura Mazda dura 12000 anni e prevede la comparsa di tre saošyant o “salvatori” rispettivamente al VI al IX ed al XII millennio. L’ultimo di essi, che prepara il giudizio finale da parte di Ahura Mazda, nasce da una vergine (Alberti 2004, p. 36; Enciclopedia delle Religioni 1970, voce “Zoroastrismo”). Ora, poiché all’epoca di Cristo il punto Ω entrava in Vergine - cioè il Sole cominciava a sorgervi all’equinozio di autunno - mentre il punto γ entrava in Pesci, ne consegue che circa nel 12885 a.C. – corrispondente a metà ciclo precessionale di 25770 anni, considerando la precessione annua pari a 0°00’50,290966” J2000.0 - entrava in Vergine il punto γ, causandovi il sorgere del Sole all'equinozio di primavera.

Se dunque l’Avesta fu composto intorno al 900 a.C. e 12000 anni prima il Sole all’equinozio di primavera sorgeva in Vergine, mancavano circa 900 anni a che il Sole tornasse a sorgesse in Vergine, questa volta all’equinozio di autunno: stava cioè per concludersi la durata della creazione di Ahura Mazda e stava per nascere l’ultimo saošyant. Fu probabilmente questo il segno che spinse i Magi a muoversi alla ricerca del neonato salvatore.

Nella religione avestica vi sono però anche altri indizi di una conoscenza dei moti precessionali, oltreché di una elevata attenzione ai fenomeni celesti (fra cui alcuni inni dedicati a Vega, a Sirio, al sole, alla Luna e ad altri corpi celesti). Uno dei più interessanti è la citazione, contenuta nel capitolo XXXIX del testo zoroastriano medioevale Le Decisioni della Ragione Celeste, che Ôhrmazd (= Ahura Mazda) creò il mondo in 3/3 – “…Dapprima creò 1/3 di questa Terra…Poi 1/3 di questa Terra creò cattivo…Poi 1/3 di questa Terra creò semitenebroso…” - e che ognuno di questi terzi sarebbe durato 12000 anni. Se la velocità del punto vernale fosse quella ipotizzata da Tolomeo su indicazione (per altro non univoca) di Ipparco, pari a 0°00’36” all’anno (cioè 1° ogni 100 anni), allora un intero ciclo precessionale di 360° si completerebbe in 36000 anni e i 12000 della creazione avestica ne sarebbero 1/3!

Che i Magi cercassero il saošyant in Giudea invece che altrove dipenderebbe dalla comparsa nei Pesci della triplice congiunzione Giove-Saturno, simbolo della stella [che] spunta da Giacobbe (Nm 24,17), la quale, in quanto già avvenuta nei Pesci ai tempi del re Davide o dei suoi immediati successori, poteva essere considerata la stella di Davide.

Da Qumran e dagli apocrifi giudaici ci giungono però altri indizi sull’importanza che l’astronomia aveva nella cultura ebraica. Nel terzo Libro di Enoch, detto Libro dell’Astronomia, sono dettagliatamente descritti il moto annuo apparente del Sole e della Luna (Sacchi 1981). Nel primo libro di Enoch, detto Libro dei Veglianti, è mostrata al patriarca - che per inciso visse 365 anni, ossia quanti sono i giorni dell’anno solare - tra gli altri segreti del cielo anche la prigione delle sette stelle che hanno disobbedito al volere di Dio non seguendo il moto delle altre stelle: sarà un caso, ma gli astri a declinazione variabile - ossia dotati di moto proprio - visibili ad occhio nudo, sono proprio sette: Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno.

Sempre gli apocrifi ci dicono che il moto regolare degli astri era considerato una manifestazione della volontà divina e ciò, insieme al fatto che gli astri a declinazione variabile fossero considerati dèi presso le culture pagane, soprattutto babilonesi, ci dà ragione della condanna enochiana.

A ulteriore prova dell'importanza che prima della diaspora gli Ebrei davano all’astronomia, stanno alcuni passi della Regola della Comunità e della Regola della Guerra, in cui i Figli della Luce ed i Figli delle Tenebre sono, rispettivamente, gli osservanti del calendario solare e di quello lunare (Moraldi 1994)

 

 

4. Conclusioni.

Per concludere e riassumere:

1)                  forte era l’attesa di una nuova epoca in quasi tutto il mondo mediterraneo tra i secoli II a.C. e d.C.;

2)                  coltivata era l’astronomia presso gli antichi Ebrei. Proprio per questo la Bibbia condanna il culto degli astri;

3)                  Virgilio cantò la speranza nel ritorno della Vergine e dell’Età dell’Oro di Saturno proprio quando il Sole stava per cominciare a sorgere in Vergine all’equinozio di autunno ed in coincidenza con la riforma del calendario voluta da Giulio Cesare;

4)                  la religione avestica valuta in 12000 anni la durata della creazione di Ahura Mazda e prevede alla fine del ciclo la nascita dell'ultimo saošyant /salvatore proprio da una vergine;

5)                  circa nel 12885 a.C. il punto γ entrò in Vergine;

6)                  circa 12885 anni dopo, all’epoca di Gesù, il punto Ω entrò in Vergine, mentre il punto γ entrò in Pesci: era in ogni caso l’inizio di una nuova era zodiacale;

7)                  i Magi videro questo passaggio dei punti γ e Ω e capirono allora che stava per nascere l’atteso saošyant;

8)                  lo cercarono in Palestina perché, concomitantemente all’inizio delle due nuove ere zodiacali, si verificò nei Pesci dopo circa 900 anni, una triplice congiunzione Giove-Saturno, simbolo della stella di Davide;

9)                  questo identico fenomeno, della triplice congiunzione Giove-Saturno in una costellazione in cui era appena entrato uno dei due punti equinoziali, era già avvenuto nel Toro nel 4097 a.C., cioè circa all’epoca cui le genealogie bibliche fanno risalire la creazione del mondo;

10)              lo zodiaco ebraico di Qumran comincia proprio con il segno del Toro.

 

 

Bibliografia.

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Note.

1 Una analoga data, l’aprile del 6 a.C., fu proposta nel 1941 dallo studioso italiano Giuseppe Ricciotti nella sua accurata opera Vita di Gesù Cristo. Il Ricciotti parte però dal presupposto che al suo battesimo, avvenuto nel 29 d.C. (quando si presenta a Giovanni il Battezzatore presso le acque del fiume Giordano), Gesù non abbia “circa trent’anni”, come dicono le Sacre Scritture, ma che abbia già 33-34 anni.

2 Numerose fonti, anche storiche, contestano questa interpretazione. La grande maggioranza degli studiosi associa invece la Palestina all’asterismo dei Pesci. 

3 Gli Oracoli Sibillini vennero pubblicati dal II secolo a.C. fino al V secolo d.C. e non sono da confondere con i Libri Sibillini, che i Romani consultavano per le profezie.

4 Numerose sono le testimonianze bibliche a favore di questa ipotesi. Per menzionarne alcune: nel libro del profeta Geremia (7:17-19) si parla degli Israeliti che preparano fuochi e focacce (o torte) come offerta propiziatoria alla “regina dei cieli”, la dea babilonese Ishtar. Nel libro di Ezechiele (8:16-18) si menzionano gli Israeliti che sono in adorazione del Sole nascente e che commemorano la morte del dio Tammuz, identificato con il re sumero Dumuzi, il più noto degli dèi morenti. Nei testi sumerici Tammuz è identificato come consorte o amante della dea della fertilità Inanna (la Ishtar o Astarte babilonese, simboleggiata in astronomia dal pianeta Venere). 

5 Le incisioni a carattere astronomico riportate su una coppa bronzea risalente alla prima metà del I millennio a.C. (la coppa appartenente alla collezione Foroughi di Teheran) fornisce la prima rappresentazione grafica di un cielo del passato dove sono manifesti gli effetti della precessione degli equinozi.

6 Ipparco di Nicea è uno dei quattro grandi astronomi detti “alessandrini”, perché con i loro studi condotti nella città di Alessandria, in Egitto, favorirono un periodo di grande fioritura dell’astronomia greca. Gli altre tre astronomi dell’epoca furono Aristarco di Samo, Eratostene e Claudio Tolomeo. 

7 MT = Vangelo di Matteo; Nm = Libro dei Numeri. Il numero antecedente la virgola indica il capitolo, quelli ad essa seguenti i versetti.

8 Per motivi informatici, non ci è stato sempre possibile scrivere il testo greco correttamente, soprattutto per quanto riguarda accenti, spiriti e pedici. Ce ne scusiamo vivamente con i lettori e confidiamo nella loro comprensione. A Nestle-Aland 1963 ed a Merk 1992 si rinviano i lettori interessati al testo greco e latino. 

9 La tesi di Molnar che la stella di Betlemme vada cercata in una configurazione astrologica appare molto seria. Purtroppo però l'autore le fa mancare le fondamenta attribuendo ai Magi le conoscenze dell'astrologia greca anziché iranica. Egli sbaglia pure nel ritenere destinato ai Greci il Vangelo di Matteo ed agli Ebrei quello di Luca. Questa inversione delle destinazioni comunemente accettate è una evidente forzatura per accreditare ai Magi una cultura greca. 

10 Ad un risultato simile arrivò l’irlandese James Ussher (1581-1656), arcivescovo di Armagh e Primate della Chiesa Anglicana d’Irlanda, i cui calcoli, esposti nell’opera Annales Veteris Testamenti, A Prima Mundi Origine Deducti, pongono la Creatio Mundi, a mezzogiorno del 23 ottobre del 4004 a.C. (Gribbin, 1998).

 

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