Pubblicato in:Annuario C.A.I. Bolzaneto 1997, pp.24-26.
 
 
Il Bric di Mezzogiorno:
Una meridiana naturale in Valpolcevera
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Testo e foto di Mario Codebò.
 
 
 
 

Circa due anni fa Pietro Bordo, conosciuto il mio interesse per l'archeoastronomia, mi segnalò l'esistenza di un toponimo molto promettente proprio nella nostra Valpolcevera.
Si trattava di una piccola collinetta a est di Brasile e a sud di Cremeno, che la tavoletta IGMI 1:25.000 riporta con il nome di M. Cucco (q.m. 337 s.l.m.) e la Carta Tecnica Regionale (CTR) 1:50.000 con il nome di Bric du Ventu (q.m. 340 s.l.m.), ma che la gente dei posto - sia di Manesseno che di Cremeno - chiama Bric di Mezzogiorno.
 

(foto Mario Codebò)
 
Come si può vedere facilmente sulle due carte citate, esso si trova quasi sul meridiano della moderna chiesa di Manesseno (ed esattamente su quello delle case Castellazzo e case Forneri) ed a soli 9,5" di parallelo a est della chiesa di Cremeno. In parole povere, ciò significa che gli abitanti di queste località vedono il Sole raggiungere ogni giorno la sua massima altezza sulla verticale di questo bricco e poi iniziare la parabola discendente: essi potevano così (e possono tutt'oggi) scandire quotidianamente il mezzogiorno da questo fenomeno. Attenzione però, si tratta del mezzogiorno vero o locale, perché quello segnato dai nostri orologi è in realtà quello del fuso orario locale, regolato sull'ora del meridiano centrale dell'Etna. Quello del nostro sito polceverasco si verifica tra le 12.07 e le 12.38 di ora civile, a seconda del giorno dell'anno.
(disegno Mario Codebò)

Queste "meridiane naturali" sono numerose nell'arco alpino e sono pure presenti - come nel nostro caso - in quello appenninico: sono le varie cime e sassi "numerati" (undici, dodici, tre, ecc.), spesso in dialetto (Sas del Meszdì, Sas Doudesc, ecc.), o con altri nomi analoghi. La più famosa ed interessante di tutte è quella di Sesto in Val Pusteria, dove ben cinque cime poste in sequenza - Nove, Dieci, Undici, Dodici, Uno - indicano, rispettivamente, le ore 9.00, 10.00, 11.00, 12.00, 13.00 quando il Sole è sulla loro verticale (Innerebner, 1959; Arborio Mella, 1990, pp. 48-49). Se ne trovano anche, per citare qualche esempio, in Vai di Fassa (Sas Da Le Undesc e Sas Da Le Dòudesc: Sasso delle Undici e Sasso delle Dodici), nel massiccio dell'Orsiera (Punta di Mezzodì), nella Val Troncea (Bric di Mezzogiorno) e nel M. Bianco (Aiguille du Midì). Esse sono il metodo arcaico ma molto efficace (e soprattutto preciso!) con il quale le comunità non  tecnologiche scandivano il tempo prima dell'avvento degli orologi meccanici. E se consideriamo che i primi tra questi risalgono in Europa al XIII secolo d.C. (benché siano menzionati un orologio meccanico cinese dell'XI secolo d.C. ed uno donato nel VIII secolo d.C. a Carlo Magno dal sultano Harun al Rascid; cfr. Arborio Mella, 1990, pp. 51-70), ci possiamo rendere conto di quanto sia antica la tradizione delle "meridiane naturali". Esse anzi affondano la loro origine nei megaliti della preistoria, quando le popolazioni neolitiche e delle Età dei Metalli gettarono le basi del calendario (Codebò, 1993, pp. 30-31; 1994, pp. 811; 1996, pp. 2732; 1997; 1999).
In proposito G. lnnerebner, nel suo articolo del 1959, affermava, probabilmente in maniera lungimirante, che l'assenza in Italia di grandi strutture megalitiche, paragonabili a quelle del Nord Europa, può anche spiegarsi con l'utilizzo dei monti quali allineamenti ed indicatori naturali, là dove la loro assenza, tra le "piane" inglesi e brettoni (per citare le più importanti), costringeva all'innalzamento di "mirini ed osservatorii artificiali".
Ai giorni nostri l'utilizzo di meridiane naturali è ancora attivo presso alcune comunità agro-pastorali abbastanza integre, come per esempio quella di Carnino nel basso Cuneese (Boccaleri, 1982, p. 283).
Nel 1996 finalmente Elisabetta ed io siamo riusciti a trovare il tempo di recarci sul nostro Bric di Mezzogiorno. Attualmente l'unico reperto archeologico visibile in superficie è una trincea scavata a zig zag nel terreno per una decina di metri e che Piero Bordo attribuisce alle guerre austro-genovesi dei XVIII secolo (un'altra è poco più a monte, a quota m. 365 s.l.m., entro una proprietà privata).
Per il resto la cima è coperta da un bosco rado e parzialmente invasa da rovi. Un'antica, ampia mulattiera, oggi in disuso, scende fino all'abitato di Cremeno. Qui, interrogando una persona, ho avuto la sorpresa di scoprire che ella chiama la collina Bric di Mezzogiorno, ma ignora il motivo di tale nome: segno evidente - e temibile - che la memoria della tradizione sta scomparendo.
Un motivo di ulteriore, particolare interesse è che la vetta del bricco si trova lungo il tracciato di quella un tempo importante via di transito che, uscendo a Granarolo da Genova, conduceva nella pianura padana attraverso le Capanne di Marcarolo ed i passi della Bocchetta, dei Giovi, di Crocetta d'Orero. Altro dato interessante, ma al momento di difficile valutazione è che il nostro Bric di Mezzogiorno dista solo m. 750 dal l'insediamento, in origine di età romana tardorepubblicana (e proseguito, con alcune fasi di abbandono, fino ai giorni nostri; cfr. d'Ambrosio, 1985 b, pp. 70-72), di Campora di Gemignano, con il quale si trova, probabilmente per puro caso, sullo stesso meridiano e km. 3,750 da quello della seconda Età del Ferro di S.Cipriano (d'Ambrosio, 1985 a, pp. 49-69) da qui altimetricamente visibile. E che la zona fosse allora abitata e perciò oggi archeologicamente importante ce lo conferma la famosa sentenza dei fratelli Minucii incisa sulla tavola bronzea di Polcevera, notoriamente rinvenuta nel 1506 ad Isola, km. 2,250 a NE del Bric di Mezzogiorno.
Al momento non è possibile dire di più; anzi gli accostamenti sopra esposti sono anche troppo arditi perché non sostenuti da alcuna prova, ma i dati posseduti stimolano ad ulteriori ricerche: sarà opportuno indagare nei ricordi dei più anziani abitanti della zona e tra gli archivi parrocchiali per inseguire il più possibile indietro nel tempo l'età del Bric di Mezzogiorno.
 
 

Bibliografia

Arborio Mella F. (1990), La misura del tempo nel tempo, Hoepli, Milano.

AA. VV. (1995), La tavola di Polcevera, G Gallery Editrice, Genova.

Boccaleri E. (1982), Civiltà dei monti, Stringa, Avegno (Ge).

Codebò M. (1993), "I menhir di Torre Bastia", in Notiziario C.A.I. Bolzaneto, 11.

Codebò M. (1994), "Le cime, i profili, le ombre dei monti: calendari preistorici" in C.A.I. - Rivista della Sezione Ligure, 2.

Codebò M. (1996), "La pietra-fitta dei prati di S. Lorenzo", in R' ni d'àigura, 25.

Codebò M. (1997), "Prime indagini archeoastronomiche in Liguria", in Memorie della S.A.It., 1997.

Codebò M. (1999), "Archaeo-astronomical hypotheses on some Ligurian engravings", in Atti del Worldwide Congress of Rock Art News 95,Torino 30/8-6/9/1995.

D'Ambrosio B. (1985 a), "L' insediamento di S.Cipriano (Genova)" in Studi e Ricerche. Cultura del Territorio, 2.

D'Ambrosio B. (1985 b), "L'insediamento di Campora di Gemigniano, (Genova)", in Studi e Ricerche. Cultura del Territorio, 2.

lnnerebner G. (1959), "La determinazione del tempo nella preistoria dell'Alto Adige", in Annali dell'università di Ferrara, N.S., sez. XV,1,1.
 
 
 

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