Abstract.
The first results of some years lasted archaeoastronomical surveys,
inquired into some Ligurian monuments selected on the grounds of their
typological features, are expounded here.
1. Introduzione (1)
Presento in questo lavoro i risultati fin qui ottenuti nelle indagini
archeoastronomiche da me condotte in Liguria dal 1988 ad oggi privilegiando
quei monumenti che, per la loro morfologia, appaiono inquadrabili nell'orizzonte
culturale megalitico. In due soli casi sono state indagate strutture medioevali.
Il presente studio deve in ogni caso intendersi come provvisorio: un primo
punto di arrivo ma soprattutto un punto di partenza per future, approfondite
indagini, da estendersi anche ad altri orizzonti cronologici. Come verrà
via via segnalato, solo una parte delle misure può considerarsi
definitiva, mentre un'altra parte resta in attesa di verifica. Nessuno
dei dati, poi, è stato finora sottoposto a valutazione statistica,
sicché nulla si può inferire circa l'intenzionalità
o la casualità degli orientamenti riscontrati. A mio parere, però,
un allineamento singolo ha lo stesso valore di un ritrovamento archeologico
isolato di superficie. In definitiva, ho voluto eseguire una sorta
di "saggio" per verificare la sussistenza o meno di presupposti giustificativi
di future indagini di più vasto respiro, cosa del resto comunissima
nella pratica archeologica. Vi è poi la questione delicata della
presenza o meno del megalitismo nella nostra regione. Pur non potendo entrare
nel dettaglio di tale importantissimo argomento, ritengo indispensabile
riassumere per sommi capi la questione. Fino a pochissime decadi fa era
opinione comune che la corrente megalitica si fosse arrestata al di là
delle Alpi senza penetrare nella penisola. Unica eccezione ammessa era
l'area pugliese, i cui dolmen, pietre-fitte e specchie erano però
attribuite a genti balcaniche migrate attraverso l'Adriatico. Da sempre,
ovviamente, era noto che le isole del Mediterraneo avevano avuto un'evoluzione
diversa. Le successive scoperte negli anni '50 da parte di S. M. Puglisi
della così detta Civiltà Appenninica e negli anni '60 della
necropoli eneolitica di Aosta, dimostrarono l'infondatezza di questa tesi
(Bernardini 1977). In Liguria, solo nella seconda metà degli anni
'80 sono stati identificati a N di Sanremo (IM) due tumuli sepolcrali circolari,
uno dei quali, scavato dalla locale sezione dell'I.I.S.L., ha potuto essere
attribuito alla fase finale dell'Età del Bronzo. Dimostrata così
con metodi stratigrafici la penetrazione del megalitismo nella regione,
presumibilmente dalla vicina Provenza, anche gli altri manufatti sparsi
tra il confine francese e quello toscano - e fino ad allora attribuiti,
pur dubitativamente, alla civiltà contadina recente - hanno assunto
ben altro aspetto. Perciò la scarsità di reperti megalitici
nella penisola a confronto con le regioni transalpine, specie settentrionali,
deve trovare altra spiegazione. Questa potrebbe cercarsi nel maggiore avvicendamento
di civiltà nel corso del tempo, fatto che da un lato ha trasformato
più radicalmente l'aspetto del territorio, distruggendo molti monumenti,
e dall'altro ha limitato quel conservatorismo culturale - e di conseguenza
materiale - che si legge bene, invece, nelle più remote regioni
d'Europa.
2. IL FINALESE (SV)
Quest'area, ricchissima di reperti archeologici praticamente ininterrotti dal Paleolitico Inferiore all'Età Contemporanea, ha fornito i risultati più interessanti: cinque strutture orientate ed alcuni petroglifi.
2.1. IL DOLMEN DI BORGIO VEREZZI (2)
Lat. 44°10'23" N Long. 8°18'52" E Q.m. 302 s.l.m. (3)
Venne scoperto negli anni sessanta dal Gruppo Ricerche della Sezione
Finalese dell'I.I.S.L. e pubblicato nel 1984 (Giuggiola 1984 pp. 67-69).
Di esso e di altre strutture consimili della zona ho dato una dettagliata
descrizione in un altro mio lavoro (Codebò c.s. 1°), perciò
qui darò alcune note essenziali e gli ultimi aggiornamenti (foto
n.1). Esso si trova sul penepiano di Borgio Verezzi, a poche centinaia
di metri dal castellaro omonimo e dai supposti menhir di Torre Bastìa
(cfr. infra); dalla Grotta dell'Antenna (Lamberti 1971 pp. 32-36), che
ha restituito specifico materiale dell'Età del Rame, fra cui un'ascia;
dalle altre grotte di Borgio Verezzi (Bernabò Brea 1947), fra cui
la importantissima Grotta delle Arene Candide; da un petroglifo di recentissima
scoperta raffigurante proprio l'ascia eneolitica. In sostanza, esso si
trova in un'area ricca di rinvenimenti tipici dell'Eneolitico (III - II
millennio a.C.) cui sembra potersi tipologicamente attribuire. Al momento,
però, risulta l'unico della zona ed il secondo del Finalese.
Ha forma esterna rettangolare, largo circa cm. 210, lungo cm. 190,
alto cm. 110. La camera interna è lunga cm. 170, larga cm. 114 all'ingresso,
circa cm. 120 a metà e cm. 90 al fondo, alta cm. 85. La sua forma
interna è quella di un trapezio irregolare.
Il suolo è formato: nella metà anteriore, da pietre impilate
una sull'altra per oltre cm. 50 di profondità; nella metà
posteriore, di solo terriccio. All'epoca delle prime indagini (Giuggiola
1984) esso risultò del tutto sterile.
Il lato a mare è costituito da un affioramento naturale di roccia,
mentre quello a monte è formato da pietre-fitte e pietre a secco.
La lastra di copertura è doppia o spezzata e spessa circa cm. 20.
Oltre a questa misura, corrispondente a dieci pollici megalitici secondo
A. Thom (Hadingham 1978 pp. 136-137; Proverbio 1989 pp. 194-197), curiosamente
la sua lunghezza sopra all'ingresso è di cm. 165, equivalente a
due yarde megalitiche di A. Thom. Si noti che tale misura è presente,
come vedremo più avanti, anche sulla "soglia" della strada a tecnica
megalitica del M. Beigua (segnalazione verbale di I. Pucci). Circa le discussioni
sulla tesi di A. Thom relativamente alla yarda megalitica si veda in Bahn
& Renfrew 1991, pp. 351 - 352. Sembra anche che unità metriche,
con multipli e sottomultipli, siano presenti nelle rappresentazioni ornamentali
delle statue-stele di Aosta (comunicazioni del Dott. Mezzena).
Nell'assenza di reperti stratigrafici, l'analisi tipologica (Codebò
c.s. 1°), condotta con facile confronto con i megaliti viciniori [pugliesi
(Palumbo 1956), aostani (Cossard, Mezzena, Romano 1991 pp. 35-41; Aspes,
Barfield, Bermond Montanari, Burroni, Fasani, Mezzena, Poggiani Keller
1989 pp. 401-440; Mezzena 1994 pp. 321-330) e della Linguadoca (Combarnous
1960; Groupe Archèologique Lodèvois 1961)] mostra come esso
sia inquadrabile tra i dolmen mediterranei, caratterizzati, rispetto a
quelli del Nord-Europa, da dimensioni più piccole e da forme più
curate.
Dopo un recente sopralluogo i coniugi A. e V. Bonora, del Gruppo Ricerche
della Sez. Sabazia dell'I.I.S.L., hanno segnalato allo scrivente come due
pietre giacenti al suolo nei pressi del dolmen - e già sospettate
di farne in qualche modo parte - possano, una volta rizzate, apparire come
parte integrante dello scenario: una in particolare, per la presenza ad
una estremità di due coppelle simmetriche "oculiformi", potrebbe
interpretarsi come una rozza stele antropomorfa (foto n. 1). Scartati subito
e facilmente gli orientamenti solari, una prima misurazione dell'asse medio,
eseguita dal Prof. Romano (4), ha fornito un azimut di 134°, cui corrisponde
un astro di D -30°. Considerato che essa è assai prossima a
quella della Luna alla sua minima stazione e che l'asse medio è
determinabile con molta imprecisione a causa dell'irregolarità della
forma e delle pareti della camera interna (per l'azione meteorica sulla
Pietra del Finale utilizzata), ho ritenuto utile una ulteriore indagine.
M. Monaco (Ass. Astrof. SV) ed io abbiamo, così, proceduto a misurare
con un teodolite l'azimut di ciascuno dei due lati del dolmen. Ciò
in un'unica battuta, grazie alla procedura da Lui elaborata ed espressa
sinteticamente dall'algoritmo:
APsen(m-b) sen-1
s = 180°-[180°-[[----------------------]+(m-b)]-b]
AB
in cui:
s è l'angolo tra le paline ed il Sole nell'istante della misurazione;
AB è la distanza tra le due paline poste alle due estremità
anteriori di ciascun lato del dolmen;
AP è la distanza tra il teodolite in stazione e la palina in
A (lato a mare del dolmen);
m è l'angolo tra il Sole, il teodolite e la palina in B;
b è l'angolo tra il Sole, il teodolite e la palina in A.
Sviluppata la formula:
Hv = Ho-R-i+p+Sd
è risultato che i due lati del dolmen (a monte e a mare) sono
orientati, rispettivamente, su un astro con D -27° e D
-32°, corrispondenti al sorgere della Luna dietro la Rocca dell'Orera
(q.m.300 s.l.m.), a poco meno di m. 500, quando raggiunge la sua minima
stazione (D -29°) ogni 6793 giorni (per i calcoli mi sono avvalso delle
Tavole Nautiche, ed. 1961, ristampa 1993, e delle Effemeridi Nautiche pubblicate
dall'Istituto Idrografico della Marina).
Riporto brevemente i dati salienti del rilievo:
Giorno : 27/11/1995; ora TU: 11.53.35; Ho Sole: 22°12'; azimut
delle due coppie di paline : A'B'= 57°09'40"
A B = 48°45'39"; carta topografica utilizzata : CTR 1:5.000 n. 245042
ed. 1977.
Un sopralluogo sulla Rocca dell'Orera non mi ha rivelato (nei limiti
permessi dalla foltissima macchia mediterranea) alcun particolare degno
di nota, ad eccezione di due strutture anch'esse di tipo dolmenico, benché
assai più rozze, e di un muro in pietre a secco, alto mediamente
m. 1 - 1,5, corrente lungo tutto il profilo del monte da W fino alla vetta
e poi verso N. E' probabile che si tratti o di un muro confinario del marchesato
dei Del Carretto, signori del luogo fino al XVIII secolo (come mi ha suggerito
gentilmente il direttore del Civico Museo Archeologico del Finale Sig.
O. Giuggiola) o di strutture militari di epoca napoleonica, abbastanza
comuni in queste zone. Ho invece potuto osservare che dalla vetta
del monte è ben visibile, in direzione 298° circa e pressappoco
a m.750, il castellaro di Verezzi - poco a S del dolmen - e all'incirca
dietro di esso, sullo sfondo della catena del M. Carmo di Loano a km. 10,
il tramonto del Sole al solstizio d'inverno. Permette ciò di ipotizzare
che la Rocca dell'Orera fosse una sorta di montagna sacra per gli abitanti
del castellaro di Verezzi?
Qui di seguito aggiungo sinteticamente alcune altre strutture che sembrano
avere relazione con il dolmen:
a) un grande circolo di pietre a secco, del diametro di circa
m. 200, immediatamente a N (il dolmen è praticamente ubicato sulla
sua circonferenza);
b) un grande masso allungato e stretto con vaschette circa al
centro del circolo (quasi introvabile a causa della vegetazione);
c) sempre all'interno di quest'ultimo, appena a NW della finitima
stazione elettrica, un largo cumulo di pietre, semisepolto dalla vegetazione,
di aspetto molto simile a quelli di Sanremo (non è l'unico nel Finalese;
per un altro analogo vedere infra alla pietra-altare dell'Arma Strapatente);
d) a qualche decina di metri a N del dolmen (e con analoghe misure)
una sorta di nicchia sottoroccia parzialmente chiusa da una lastra di pietra
attraversata su un margine da una mezza cavità (comunicazione dei
coniugi Bonora).
2.2. I MENHIR DI TORRE BASTIA (2)
Lat. 44°10'36" N Long. 8°18'27" E Q.m. 321 s.l.m.
Il sito, segnalato e descritto da tempo (Mennevée 1965 pp. 171-
176; Tizzoni 1975 p. 99; Giuggiola 1984; Codebò 1993), è
una collina, m. 750 a W del dolmen e m. 500 a W del castellaro, dalla quale
si gode un ampio panorama a quasi 360°. Nei pressi passava la via Julia
Augusta che si univa, nella piana di Pietra Ligure poco più in basso,
alla via Aurelia. Sul perimetro collinare si erge uno spuntone aniconico
di Pietra del Finale sagomato in forma di piramide tronca schiacciata,
alto circa m. 2. Davanti ad esso, a m. 6,5, giace al suolo un monolito
aniconico della stessa roccia, a forma di sigaro, lungo circa m. 2 e largo
circa m. 0,9, accanto al quale si trova un frammento molto più piccolo,
comunemente ritenuto una parte staccatasi dal monolito al momento della
sua presunta caduta: si ritiene infatti che originariamente esso fosse
ivi infisso, dalla parte opposta al frammento più piccolo, in prossimità
di un leggero rigonfiamento del terreno, nel quale abbondano, in superficie,
frammenti di ceramica protostorica, romana e medioevale (i reperti sono
presso il Civico Museo del Finale). Supposto eretto questo monolito, l'allineamento
tra le due pietre - da sempre ritenute menhir (Mennevée 1965; Giuggiola
1984; Priuli & Pucci 1994 p. 136) - giace sull'equinoziale: è
stato possibile verificare a vista e fotografare il tramonto del Sole su
questo allineamento e sullo sfondo della catena del M. Carmo di Loano,
distante km. 9,5, al 21/03/1990 ed al 23/09/1993 (foto n. 2). Una verifica
dell'alba equinoziale è stata ripetutamente frustrata dalle brume
mattutine.
La certezza dell'esistenza in questo luogo di un allineamento intenzionale
di menhir potrà essere data dal rinvenimento stratigrafico della
buca di alloggiamento della pietra oggi coricata.
2.3. IL COMPLESSO DI MARCELLO DALBUONO
Lat. 44°12'14" N Long. 8°20'04" E Q.m. 356 s.l.m.
Per lo studio dettagliato di questo sito, quasi inedito, vedere in Codebò
1999. Si tratta di un'emergenza di roccia nuda tra il folto della vegetazione
sullo spartiacque tra la valle del torrente Aquila e quella del rio Cornèi,
all'estremità occidentale della conca entro cui si trova il Ciappo
de Cunche, vasto affioramento roccioso coperto di incisioni (Issel 1898
pp. 266-279; 1908 pp. 467-484; Graziosi 1935 pp. 227-233; 1973; 1982 Introduzione;
Tizzoni 1975; Bernardini 1975; 1981; 1982 pp. 86-91; Odetti & Ravaccia
- pp. 13-15; Fella & Zennaro 1991) e frequentato durante l'Età
del Rame (Maggi & Pastorino 1984 pp. 171-174).
Vi si trovano:
1) una sorta di pietra-altare recante una complessa sequenza di incisioni
simboliche (3 cruciformi) e alfabetiche (lettere V e C barrata);
2) accanto, una seconda grande pietra squadrata ma priva di incisioni;
3) una seconda e meno complessa sequenza di incisioni (C barrata, croce
patente, V) su di una terza pietra;
4) altre incisioni nei pressi (due cruciformi e varie vaschette);
5) una sella nella roccia che sovrasta di pochi metri le pietre incise;
6) una targa che ricorda M. Dalbuono, scopritore nel 1965 di parte
delle incisioni e morto cinque anni dopo a ventidue anni.
I petroglifi sono stati datati al XIII secolo d.C.
Si possono quindi avanzare due ipotesi:
a) che si tratti di segni di "possesso" incisi dall'antico proprietario
del luogo, il cui nome e cognome inizierebbe con le lettere C e V (o viceversa);
b) che si tratti di una "cristianizzazione" di un sito ritenuto già
pagano. In questo caso i due segni alfabetici potrebbero interpretarsi
come le iniziali della frase "Christus Vincit". Tali manifestazioni di
"cristianizzazione", pur senza segni alfabetici, sono molto comuni in Liguria.
Ho verificato visivamente che il complesso di M. Dalbuono si trova
al centro di un doppio allineamento astronomico naturale:
1) dalla modesta elevazione rocciosa a forma troncoconica (q.m.341
s.l.m.) ergentesi al centro del Ciappo de Cunche, si vede tramontare il
Sole agli equinozi esattamente sulla verticale del picco roccioso di M.
Dalbuono, distante m. 500, sullo sfondo della catena del M. Carmo di Loano,
distante km. 13,5, precisamente nella depressione tra il M. Grosso (q.m.
1.268 s.l.m.) a N ed il Bric dell'Agnellino (q.m. 1.335 s.l.m.) a S (foto
n. 3);
2) sul piccolo spiazzo a S immediatamente antistante il complesso di M. Dalbuono, si vede il Sole tramontare al solstizio d'estate nella sella della roccia retrostante le pietre incise (foto n. 4).
2.4. I PETROGLIFI ORIENTATI
Un certo numero di incisioni su roccia nel Finalese sono orientate verso
i quattro punti cardinali (misurazioni eseguite con la bussola):
1) tre cruciformi a bracci uguali, inseriti ciascuno in un quadrilatero,
mentre un quarto, a bracci diseguali (croce latina), diverge dai punti
cardinali di 20°W. Tutti e quattro sono incisi sul Ciappo de Cunche.
Da notare che il cruciforme inscritto nel quadrilatero è frequente
nella tipologia del M. Bego (Bicknell 1971; Conti 1972; Bernardini 1975).
2) due cruciformi al Ciappo dei Ceci o "Le Conchette" (Tizzoni
1975, pp. 92-93; Priuli & Pucci 1994 p. 43), meno di km. 1 a S del
Ciappo de Cunche, sullo stesso penepiano.
3) due cruciformi - uno dei quali chiaramente una "croce patente"
cristiana - sulla roccia n. 12 della vicina valletta fossile di Nava (Tizzoni
1975 pp. 95-97; Priuli & Pucci 1994 pp. 50-51), m. 750 a E del Ciappo
de Cunche.
4) un segno a "tau" greco lungo il sentiero del crinale occidentale
della valletta fossile di Nava. Esso però potrebbe anche essere
un segno del catasto napoleonico, diffuso nel Finalese.
Per dettagli, discussione, ipotesi interpretative e riproduzione di
tutti questi petroglifi orientati si veda in Codebò c.s. 2°.
2.5. LA PIETRA-ALTARE SOPRA L'ARMA STRAPATENTE
Lat. 44°12'15" N Long. 8°21'05" E Q.m. 345 s.l.m.
Anche questa struttura è nota da tempo, benché assai poco
pubblicata (Giuggiola 1984). Di essa ho dato una dettagliata descrizione
nell'altro mio lavoro sui "megaliti" del Finalese (Codebò c.s. 1°).
E' un lastrone grossolanamente quadrangolare, di lato mediamente cm.
150, in Pietra del Finale, più spesso sul lato N (cm. 50) che su
quello S (cm. 25), poggiato su cinque pietre più piccole che gli
formano sotto un vano vuoto lungo cm. 120, largo cm. 17, alto cm. 50 ed
orientato sull'asse meridiano (misurato magneticamente). Il pavimento è
roccia. La peculiarità più saliente del monumento, che ha
tutte le caratteristiche della pietra-altare, è quella di essere
costruito su una stretta (solo qualche decina di metri quadrati) propaggine
del penepiano allungata a E verso la Valle Sciusa, sulla quale precipita
per parecchie decine di metri e, a W ed a N, verso l'ingresso dell'Arma
(= grotta) Strapatente che le si apre, perforando da parte a parte la montagna,
m. 20-30 più in basso . Sia l'Arma Strapatente (catasto speleologico
ligure n. 210) che la Caverna Borzini o dei Pipistrelli (AA.VV. 1983 p.
44), distante m. 250 verso SW, sono risultate di notevole interesse paletnologico,
benché poco sia stato pubblicato dei risultati degli scavi. Infine
l'area - la valletta fossile di Nava - è ricca, come ho detto sopra,
di petroglifi (Tizzoni 1975; Codebò c.s. 2°). Prima di giungere
alla pietra-altare si incontra pure, lungo il sentiero, un cumulo di pietre
del tipo di quello menzionato sopra nei pressi del dolmen di Verezzi. Tali
cumuli, non spiegabili convincentemente con crolli di muri a secco qui
assenti: o sono prodotti di spetramento (Schipani De Pasquale & Riccobono
1991) oppure potrebbero avere le medesime caratteristiche funzionali di
quelli di Sanremo, con i quali condividono la morfologia.
2.6. CAMPURIUNDU (Camporotondo)
Lat. 44°11'49" - 44°11'54" N Long. 8°20'42"
- 8°20'47" E
Q.m. 290 s.l.m.
E' un'area circolare di circa m. 150 di diametro (Giuggiola 1984; Priuli
& Pucci 1994 p. 139), a S del Ciappo de Cunche e del Ciappo dei Ceci
e nei pressi del tumulo dell'Età del Bronzo di Bric Reseghe (Del
Lucchese 1987 pp. 133-136; Priuli & Pucci 1994 p. 139) e dell'omonimo
Riparo neolitico (Odetti 1987 p. 132), nonchè della eneolitica Grotta
I del Vacché (Odetti 1987 pp. 129-131). E' delimitato a W e a N
da lastroni di pietra infissi verticalmente nel terreno e ad E e
S da un muro in pietre a secco. Si tratta quindi di una sorta di cromlech
anomalo perché la sua circonferenza è senza soluzione di
continuità (henge?). Non si hanno dati archeologici su di esso,
benché sia stato oggetto di saggi da parte della Soprintendenza
Archeologica Ligure.
E' incluso nel presente lavoro perché la sua circonferenza è
interrotta da due angoli retti esattamente a S ed a N, rispettivamente
in pietre a secco e in pietre-fitte, come risulta bene anche dalle fotografie
aeree della Regione Liguria.
Ne è in corso il rilievo planimetrico da parte di M. Monaco.
2.7. S. ANTONINO DI PERTI
Lat. 44°11'46" N Long. 8°19'12" E Q.m. 176 s.l.m.
E' una chiesetta settecentesca sconsacrata, con cripta basso-medioevale
costruita, secondo tradizioni, su di un "oracolo" allogato nella caverna
a pozzo che si apre nella cripta stessa. La chiesa è importante
sia perché contiene una lapide che commemora l'investitura feudale
di Enrico il Guercio Del Carretto da parte di Federico Barbarossa nel 1162,sia
perché sorge nel perimetro del tutt'ora visibile "Castrum Perticae",
che scavi in corso a cura dell'I.I.S.L. Sez. Finalese hanno dimostrato
risalire all'età bizantina ed essere stato edificato su un preesistente
villaggio dell'Età del Bronzo, a sua volta edificato su un sito
musteriano.
Ho misurato magneticamente l'orientamento delle monofore dell'abside
della cripta (orientata, come di consueto, a levante) in rapporto all'altare
ivi esistente, ma non ho rilevato alcun allineamento astronomico
particolare. Tuttavia la misurazione dovrà essere ripetuta (con
teodolite) anche per tenere conto delle evidenti modificazioni attuate
nell'architettura originaria.
2.8. L'ISOLOTTO DI BERGEGGI
Lat. 44°14'05" N Long. 8°26'44" E Q.m. 53 s.l.m.
Sorge a m. 500 dalla riva ed è di proprietà privata. Vi
si trovano i resti di tre torri (una circolare romana, una triangolare
bizantina ed una quadrata medioevale) e di due insediamenti monastici,
rispettivamente del V-VI e dell'XI secolo d.C., oltre a qualche costruzione
moderna. Date le difficoltà di approdarvi, ho potuto svolgervi solo
una fugace esplorazione in occasione di una visita guidata dalla Sez. Sabazia
dell'I.I.S.L. nell'estate 1994. In tale occasione ho potuto verificare,
con metodi magnetici, che una monofora della chiesa a due absidi dell'XI
secolo è orientata sul sorgere del Sole al solstizio invernale sull'orizzonte
marino rispetto al piccolo altare.
3. L'AREA DEL M. BEIGUA (SV).
Mario Garea, studioso varazzese della prima metà di questo secolo,
riteneva che il M. Beigua fosse una montagna sacra degli antichi Liguri
come il francese M. Bégo e che il nome di entrambi venisse dal pre-indoeuropeo
*beck, con cui si indicava il totemico maschio della capra - l'ariete o
becco - la cui testa scolpita in arenaria egli vi rinvenne (Garea 1941
pp. 167-172; 1957 pp. 3-4; 1° p. 6; 2° pp. 93-98). I ritrovamenti
degli ultimi anni sembrano dargli ragione (Bernardini 1975, 1981; Corrain
1987; Franzi 1977 pp. 559-560; Martino 1984 pp. 101-105, 1987 pp. 149-152;
Pizzorno Brusarosco 1990; Priuli & Pucci 1994; Pucci 1984, 1991, 1992;
Rosi & Maia 1973, 1976; Vicino 1987 pp. 105-107). In quest'area sono
state studiate archeoastronomicamente due strutture.
3.1. IL MENHIR DI CIAN DA MUNEGA (2)
Lat. 44°22'04" N Long. 8°36'06" E Q.m. 100 s.l.m.
E' una roccia aniconica in forma di trapezio allungato e schiacciato
in senso E-W che sporge dal suolo di poco più di due metri, nell'ambito
comunale di Varazze (Mennevée 1965; Bernardini 1981. pp. 165-167;
Priuli & Pucci 1994 p. 142). Fu segnalato da M. Garea (Garea 1941 pp.
167-172; 1957 p. 4; 1° p. 6; 2° pp. 93-98). E' importante perché
ai suoi piedi vennero rinvenuti manufatti genericamente attribuibili alla
fine dell'Età del Bronzo - inizi dell'Età del Ferro. Purtroppo
tali reperti non sono mai stati pubblicati (Lamboglia 1947 p. 89) e giacciono
inutilizzati presso il Comune di Varazze. Fu grazie ad essi che M. Fenoglio,
ispettore di zona della Soprintendenza, salvò il megalite dalla
distruzione facendo deviare il tracciato della costruenda autostrada. E'
però probabile che essa abbia fatto scomparire altri siti circumvicini:
l'area è attualmente del tutto alterata dall'urbanizzazione, sicché
è impossibile riconoscervi eventuali altre strutture che avrebbero
potuto essere in relazione, anche astronomica, con il menhir sopravvissuto.
L'unica misura che è stato possibile effettuare (eseguita dal Prof.
Romano) è l'azimut del suo profilo allungato, che è risultato
orientato, con molta incertezza a causa della sua lunghezza non superiore
al metro, verso il sorgere della Luna piena al solstizio estivo con D -29°.
Purtroppo, data l'intensa urbanizzazione, non è possibile fare di
più.
3.2. LA STRADA A TECNICA MEGALITICA
Lat. 44°24'37" - 44°24'41" N
Long. 8°33'19" - 8°33'21" E
Q.m. 638 s.l.m.
(CTR 1:10.000)
Si trova a m. 5.100 a N del menhir, sulle pendici S del M. Priafaia,
nel massiccio del M. Beigua. Fu segnalata da M. Fenoglio e pubblicata da
I. Pucci (AA.VV. 1991 pp. 71-77; Priuli & Pucci 1994 p. 142), che ne
dà anche il completo rilievo planimetrico.
Sono state eseguite dal Prof. G. Romano numerose misurazioni astronomiche
della sua complessa struttura, ma l'unica che si è rivelata interessante
è l'orientamento dell'asse principale (lungo oltre m. 120 e biforcato),
quasi esattamente sull'equinoziale.
Tralasciando per motivi di spazio molti dati importanti, aggiungerò
solo che:
1) la struttura sembra essere stata interrotta verso est da una strada
poderale;
2) esiste almeno un menhir aniconico abbattuto alla sua estremità
meridionale;
3) l'inizio della strada è ben marcato da una "soglia" larga
m. 1,6 corrispondenti a due yarde megalitiche di A. Thom e si trova nei
pressi immediati di un rivo d'acqua che presenta complesse strutture di
convogliamento moderne ed antiche (a qualche decina di metri a monte esiste
una profonda ed antica vasca in pietre a secco).
4) la morfologia del muro in pietre a secco dell'asse principale è
tipologicamente analoga non solo al tumulo di Hirschlanden (V sec. a.C.),
ma anche a quelli più antichi dell'area baltica e mitteleuropea
(cfr. in: Cipolloni Sampò 1990 pp. 95-129);
5) recentissime ricerche sembrano associare la struttura alla presenza
in zona di tombe ed alla cultura celtica, nonché, come è
stato da tempo più volte suggerito, al M. Greppino, cima rocciosa
e spoglia a m. 600 a SW, caratterizzata dall'atavica tendenza della popolazione
locale ad evitarla, da notevole anomalia magnetica e da impressionanti
fenomeni elettrici durante i temporali (informazioni di M. Fenoglio);
6) tutti i dati raccolti sembrano suggerire la funzione rituale della
struttura, forse connessa con i culti delle acque.
3.3. IL NICCIU DU BRICCU DU BROXIN
Lat. 44°24'23" N Long. 8°32'08" E
Q.m. 485 s.l.m. (CTR 1:10.000)
E' uno dei pilastri votivi abbastanza comuni in questa zona (Bordo 1991
pp. 79-113; Priuli & Pucci 1994 p. 142). Diversamente dagli altri,
ingloba una pietra-fitta aniconica alta circa m. 2, di forma quasi circolare
come un palo di legno. Si presume che essa preesistesse alla costruzione
del pilastro. A pochi metri a S sgorga una sorgente oggi intercettata.
L'eventuale interesse astronomico è dato dal fatto che dal sito,
come risulta anche dalla carta topografica, sono ben visibili, in direzione
rispettivamente del sorgere e del tramontare del Sole al solstizio d'inverno
sull'orizzonte marino, il Bric Casté ed il M. Castellaro, toponimi
generalmente indicativi della presenza di insediamenti protostorici. Poiché,
però, al momento attuale, entrambi risultano archeologicamente inesplorati,
la segnalazione ha essenzialmente un valore preliminare.
4. IL GENOVESATO
Al momento sono stati individuati solo due petroglifi orientati e una collina utilizzata quale "meridiana naturale".
4.1. IL PETROGLIFO DEL M. PENNONE
Q.m. 801 s.l.m.
E' stato scoperto da L. Felolo (Felolo 1994a p.17; 1994b p.28; Codebò 1999). Sono due linee, delle quali una, a Y, è orientata verso la Punta Martìn (q.m.1001 s.l.m.), dietro la quale sorge il Sole al solstizio d'estate; l'altra, retta, verso il M. Bastìa (q.m.848 s.l.m.), dietro il quale sorge il Sole agli equinozi. Esso si inserisce nel complesso delle incisioni dell'area di Voltri (Issel 1908 pp. 460-467; Bernardini 1975 pp. 241-242; Repetto 1982 pp. 49-51; Galiano & Pucci 1992 pp. 11-16; Priuli & Pucci 1994 pp. 102-106).
4.2. IL PETROGLIFO DELL'OSTERIA DELLE BARACCHE
E' un cruciforme atipico scoperto molto recentemente da G. Novelli, che ne ha fatto anche il frottage da me pubblicato per sua gentile concessione in Codebò c.s. 2°. E' orientato sui quattro punti cardinali, con un braccio a 160°.
4.3. IL BRIC DI MEZZOGIORNO
Lat. 44°27'47" N Long.
8°55'11" E
Q.m. 340 s.l.m. (IGMI
1:25.000)
Devo la segnalazione di questo sito a Pietro Bordo, del C.A.I. di Bolzaneto
(Codebò 1997; 1997b). Si tratta di una collina agli estremi limiti
settentrionali del comune di Genova (quindi in città, seppure alla
sua periferia!), esattamente sull'asse meridiano a S della frazione di
Cremeno, i cui abitanti, come anche quelli della vicina frazione di Manesseno,
danno questo nome alla collina che invece, sulle carte IGM e CTR, è
chiamata, rispettivamente: M. Cucco e Bric du Ventu. Attualmente l'unico
reperto archeologico visibile sulla cima è una trincea militare
risalente alle guerre austro-genovesi del XVIII secolo.Ciò che rende
particolarmente interessante questo sito è la permanenza di una
simile memoria toponomastica, evidentemente contadina, entro un'area così
fortemente urbanizzata. L'uso di questi "orologi naturali" è ben
attestato in tutto l'arco alpino (Innerebner 1959; Arborio Mella 1990),
come ha indipendentemente riscontrato anche E. Boccaleri nella società
contadina di Carnino ed Upega (CN), ove esso è ancora vivo.
5. LA VAL BORMIDA (SV)
Sita sul versante padano delle Alpi Liguri, quest'area è ricca di petroglifi e menhir (Dalla Valle 1969; Rosi & Maia 1971 p. 126; Olivieri 1978 pp.194-195; 1979 pp. 116-117; Priuli & Pucci 1994 pp. 56-61, 140-141), nonché di un importante insediamento abitativo dell'Età del Bronzo (Del Lucchese & Starnini 1987 pp. 109-110) in corso di scavo.
5.1. IL COMPLESSO DI ROCCAVIGNALE
Lat. 44°21'37" N Long. 8°10'50" E Q.m. 461 s.l.m.
Scoperto alcuni anni or sono da C. Prestipino, presidente della Sez.
Valbormidese dell'I.I.S.L., (Prestipino ?; Priuli & Pucci 1994) nella
valletta del Rio Zemola, in un'area incolta di circa mq.1.500, è
costituito da una struttura di tipo dolmenico a grandi massi, le cui misure
sono: lungh. cm. 300; largh. cm. 270; alt. est. cm. 170 ed int. cm. 120.
Purtroppo il pavimento interno originario è andato distrutto ad
opera di scavatori clandestini. A W vi è l'apertura di accesso e
ad E (ossia sul retro) una finestrella sottotetto, come caratteristicamente
si rinviene in molti dolmen francesi nei quali si pensa avesse lo scopo
di consentire l'introduzione di materiale dopo la copertura del monumento
con il suo tumulo (Coumbarnous 1960). Addossati a N e a S, vi sono, rispettivamente,
un cumulo conico di pietre, terra e vegetazione ed una camera semicircolare
scoperta o scoperchiata, di diam. cm. 230, in grosse pietre-fitte, dalla
quale si diparte, ortogonalmente, un corridoio in medie e grandi pietre-fitte
poco sporgenti dal suolo, largo m. 3 e lungo m. 54 o m. 37 a seconda che
se ne considerino o meno facenti parte un gruppo isolato di tre massi affiancati.
Pare inoltre, a quanto riferito da C. Prestipino, che il corridoio, a circa
m. 37 dal dolmen, curvasse a W e proseguisse per circa m. 30 in un campo
successivamente occupato da una fabbrica di ghiaia che ne ha distrutto
i reperti e minaccia ancor oggi quelli restanti. In ogni caso il corridoio,
largo circa m. 3, si rastrema a m. 34, e a m. 37 sembra chiudersi e terminare
con una punta rivolta a est in cui si nota una pietra tonda racchiusa in
un piccolo cerchio di pietre-fitte. Tuttavia la morfologia precisa di questa
estremità non è chiaramente leggibile in superficie. Dal
cumulo conico di pietre, terra e vegetazione, addossato al lato N del dolmen
si diparte un secondo corridoio, ortogonale al primo ed all'asse del dolmen,
e formato da due file parallele di pietre-fitte di medie dimensioni poco
sporgenti, largo mediamente m. 1 e lungo m. 18. Esso termina in un triplice
cerchio concentrico di pietre-fitte di grandi, medie e piccole dimensioni,
i cui diametri sono, rispettivamente: cm. 450, cm. 150, cm. 30. All'interno
del cerchio più piccolo vi è una pietra ovale di fiume dalla
superficie liscia e naturalmente levigata, delle dimensioni di un pallone
da rugby, perfettamente allogata nella sua sede con l'asse inclinato di
circa 45° verso est (come ben si rileva anche dall'impronta lasciata)
e che potrebbe avere la funzione di òmphalos. Tangente all'estremità
orientale del cerchio maggiore vi è un prolungamento rettilineo
di pietre, ortogonale al corridoio minore (quindi con asse N-S), largo
cm. 50 e lungo cm. 290. A est del cerchio maggiore si notano altri massi
di medie e grandi dimensioni sul prolungamento del corridoio minore.
Poiché è noto che la struttura fu restaurata per usi
agricoli tra le due guerre, sembra più probabile che le tracce di
malta e mattoni su di essa visibili (e dello stesso tipo di quelli usati
nel castello duecentesco a m. 500) siano attribuibili a tale riutilizzo
(ricognizione effettuata con A. Cagnana dell'I.S.C.U.M. ed E. Bianchi del
G.A.L.).
Il sito è stato misurato con metodi astronomici dal Prof. G.
Romano, che ha rilevato un azimut dell'asse medio del dolmen (e, quindi,
del corridoio minore) di circa 77°. Le altre strutture sono, come già
detto, ortogonali.
6. L'IMPERIESE
Nella zona è accertata la persistenza fino ai giorni nostri di resti di culti pagani (Felolo 1991-1992; Oddo 1994).
6.1. LA PIETRA-FITTA DELLA DOLINA DI S. LORENZO (IM) (2)
Lat. 44°00'19" N Long. 7°49'08" E Q.m. 1.410 s.l.m.
Di questa pietra-fitta aniconica, nota da tempo (Bernardini 1975 pp.
47-48; 1981 p. 92; Priuli & Pucci 1994 p. 134), ho discusso in dettaglio
in un mio precedente lavoro (Codebò 1996a). E' un monolito infisso
nel terreno ed inclinato di circa 40° verso S al margine occidentale
di una profonda dolina, in posizione molto panoramica e dominante sulla
valle del Torrente Argentina. E' alto circa m. 2, largo meno di m. 1 e
molto sottile: è stato infatti sagomato accuratamente a forma di
prua di nave, con lo spigolo orientale, piatto e normale alla larghezza,
di cm. 26 alla base e rastremato a cm. 11 al vertice, e quello occidentale
di cm. 21 alla base e rastremato a cm. 1 al vertice, che è stato,
a sua volta, accuratamente spianato. La sua forma "appuntita" identifica,
di fatto, una direzione, che, durante un sopralluogo il 07/01/1989, a F.
Bertolotti ed a me parve possibile coincidere visivamente e magneticamente
con il tramonto del Sole al solstizio d'inverno sul profilo dello spartiacque
italo-francese, distante km. 11. Non è più stato possibile
eseguire ulteriori verifiche.
Sul fondo della dolina sono ben visibili i resti di un giàs
(recinto in pietre per uso pastorale) con riparo parzialmente sotto roccia
e parzialmente in pietre a secco (secondo una tipologia comune nella Liguria
di ponente).
Poco distante dal giàs vi è un masso naturale sulla cui
superficie piatta ed orizzontale è scavata una coppella ovale con
analetto di scolo terminante sul bordo.
Per la loro descrizione si veda in Codebò 1996a e per una discussione
sulle possibili funzioni di tali coppelle quali convogliatori di acqua
piovana corrente - e quindi pura - per uso alimentare umano, si veda in
Codebò 1999.
Sul lato orientale della dolina sono visibili i ruderi della cappella
dedicata a S. Lorenzo. Circa la presenza di cappelle cristiane per esorcizzare
luoghi di culto pagani si veda in Felolo 1990 pp. 6-7, ed in Codebò
1996a. Nel caso in oggetto sembra che la località fosse in antico
attraversata da una delle tante "vie del sale". Per la loro ampiezza i
ruderi fanno pensare più ad un complesso abitato stabilmente. Notizie
ultimamente fornitemi gentilmente da G. Magaglio, studioso locale, accreditano
l'ipotesi dell'esistenza in loco di una comunità monastica e di
una piccola guarnigione militare in epoca alto-medioevale. In tal caso
ci troveremmo di fronte ad uno dei tanti "ospitali" siti lungo le vie di
transito importanti.
Nella zona era stata segnalata in passato anche una stele istoriata
interpretata come una figurazione astronomica (Anati 1973 pp. 101-126;
Bausani 1973 pp. 127-134; Bernardini 1975 pp.45- 47; Priuli 1991 p. 1443;
Priuli & Pucci 1994 p. 135).
7. LO SPEZZINO
7.1. IL MENHIR DI TRAMONTI DI SCHIARA (2)
Lat. 44°05'03" N Long. 9°46'50" E Q.m. 483 s.l.m.
E' un menhir iconico alto cm. 230, largo altrettanto nel suo punto massimo
ma rastremato alla base ed appuntito al vertice, spesso cm. 70. Presenta
evidentissimi segni di lavorazione e sagomatura ed una icona in forma di
rombo posta orizzontalmente alla sua base (Formentini 1950 -1954 pp. 19-21),
oggi assai poco leggibile, forse per deterioramento. E' affiancato da due
pietre-fitte aniconiche molto più piccole, una delle quali tutt'ora
in situ, l'altra caduta accanto: per questa sua forma è detto trilite.
E' noto da tempo ed ampiamente descritto (Mazzini 1922 pp. 123-128; Formentini
1951 pp. 32-37; 1950-1954; Manfredi 1975-1976 pp. 290-304; 1980 pp. 67-85;
Barbuto & Piccioli 1980-1981 pp. 90-110; Manuguerra 1987; Priuli &
Pucci 1994 p. 147; Felolo 1988 pp. 30-34). Si trova in uno slargo ampio
oltre m. 14, lungo l'antica mulattiera che congiungeva l'importante monastero
medioevale di S. Venerio nell'isola del Tino con le cosiddette "Cinque
Terre" e forse oltre, passando sul crinale montuoso, ricco di ritrovamenti.
In particolare, sul vicinissimo Monte della Madonna fu rinvenuto un piccolo
menhir istoriato (Formentini 1951; Manfredi 1975-1976; 1980; Barbuto &
Piccioli 1980-1981; Priuli & Pucci 1994 p.147), oggi al Museo Civico
di La Spezia, e, sul più lontano M. Capri, a km. 5 ad W, un grosso
menhir abbattuto e spezzato, sotto il quale fu rinvenuta una selce scheggiata
(Barbuto & Piccioli 1981; Priuli & Pucci 1994 p. 148). Si noti
bene che tutte queste pietre-fitte si trovano lungo il percorso plurichilometrico
della citata mulattiera. Si deve anche notare che siamo qui al margine
occidentale dell'area di rinvenimento delle statue-stele lunigianesi, due
delle quali - le nn. 2 e 3 - furono trovate, nel 1886, a soli km. 3 di
distanza, durante gli scavi del costruendo Arsenale Militare (Ambrosi 1972).
L'intera area sembra avere subito una intensa cristianizzazione:
a) il trilite è sormontato da una croce in ferro, un tempo
in legno;
b) la località immediatamente ad W ha nome "monte della
Madonna". Il piccolo menhir iconico ivi rinvenuto dal Mazzini nel 1923
è anch'esso crucisegnato (Formentini 1951; Manfredi 1980);
c) in quest'ultima località sorge anche una grossa cappella
- o piuttosto una vera e propria chiesetta - dedicata a S. Antonio Abate,
noto fin dall'antichità per la sua attività di esorcista
(Mohormann et Alii 1981);
d) il menhir di M. Capri reca inciso un cruciforme e si trova
a poco più di km. 1 a W dalla località "la croce", punto
di incontro di più sentieri (uno dei quali certamente medioevale)
segnato dalla presenza di un masso con petroglifi, tra cui tre croci, la
maggiore delle quali biforcata (e perciò probabilmente attribuibile
al Basso Medioevo; cfr. Codebò 1999).
Senza ripetere ciò che si può leggere nella bibliografia,
espongo quanto risulta di inedito.
1) Il masso fu probabilmente estratto da una piccola cava nel
folto del bosco, alcune decine di metri più in basso, contrariamente
a quanto riferito dal Mazzini (Mazzini 1922);
2) benché dichiaratamente sospettato di essere orientato
verso il tramonto del Sole al solstizio invernale (Formentini 1950-1954;
Manuguerra 1987; Felolo 1988), si è verificato che nessun allineamento
significativo esiste, o, per meglio dire, ne esistono troppi, in sequenza
pressoché ininterrotta: tra D -16° e D -36°dagli estremi
del retrostante "posatoio" alla croce sulla punta del menhir (misurazioni
del Prof. G. Romano);
3) Un sopralluogo effettuato al solstizio invernale del 1993
con M. Manuguerra ha permesso di individuare un segno ad U su una delle
pietre del posatoio e di verificare sul terreno che il corridoio tra il
posatoio ed il muro di contenimento della collina è il tracciato
originario dell'antica mulattiera, come in precedenza supposto con Felolo.
Essa aggirava, senza attraversarlo, lo spiazzo di diametro m. 14 dove si
erge il complesso megalitico, come risulta evidente dal fatto che, alla
altezza del vicinissimo cavanéo (casella di pietra) nel muro stesso,
corridoio e mulattiera sono sullo stesso asse, interrotti dalla sterrata.
Ciò avvalora l'ipotesi avanzata da R. Formentini (Formentini 1950-1954)
che il sito fosse originariamente occupato da un cromlech successivamente
abbattuto per la costruzione della sterrata, le pietre del quale, rimosse,
sarebbero state ammucchiate a formare l'attuale posatoio. In tal caso uno
scavo stratigrafico dovrebbe mettere in luce le fosse originarie delle
pietre-fitte e quanto si intravede in superficie (cfr. Manuguerra 1987).
In proposito rammento che una prospezione geomagnetica del sito, promossa
da S. Berti, fa supporre l'esistenza di una struttura sepolta a 57°
dal vertice del menhir, nel fianco della collina.
8. CONCLUSIONI
Considerando obiettivo dell'indagine l'eventuale interesse di antichi
Liguri per direzioni astronomiche privilegiate (ossia: rivolte su punti
non del paesaggio ma della sfera celeste, compresi i punti cardinali) e
prescindendo dall'attribuzione cronologica, possono dirsi emersi i seguenti
risultati:
1) su 14 monumenti (petroglifi a parte), 2 (nn. 6.1; 3.3) richiedono
ulteriori verifiche ed 1 (n. 2.2) attende ancora la sua conferma a manufatto;
2) dei restanti 11:
a) 6 (nn. 2.1; 2.3; 2.6; 2.8; 3.2; 4.3) hanno inequivocabilmente
degli allineamenti (il n. 2.3 ne ha 2);
b) 1 (n. 2.5) probabilmente deve il suo orientamento meridiano
alla morfologia del terreno;
c) 1 (n. 3.1) sembra orientato, ma la sua misura strumentale
non offre sufficiente certezza;
d) 3 (nn. 2.7; 5:1; 7.1) sono privi di allineamenti significativi
(ma richiedono tutti un approfondimento).
Risultano quindi 7 allineamenti sufficientemente sicuri (2 nel n. 2.3
) su 11: 3 equinoziali; 1 cardinale; 1 sul tramonto solstiziale estivo;
1 sulla levata solstiziale invernale; 1 sulla levata lunare alla minima
stazione.
Per quanto riguarda i petroglifi, su 12 misurati:
a) 11 sono orientati (9 sui punti cardinali, 1 sulla levata solstiziale
estiva, 1 sulla levata equinoziale;
b) 1 non è orientato.
In conclusione, su 26 manufatti, 18 possiedono, al momento, allineamenti
sicuri; dei 6 restanti, 5 possono ancora riservare sorprese.
E' auspicabile che questi dati inducano ad ulteriori indagini ed alla
tutela di monumenti che purtroppo rischiano quotidianamente la distruzione.
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio tutti coloro che, qui citati o meno, hanno in qualunque modo
contribuito a questa ricerca.
NOTE
(1) Per una esatta valutazione e comprensione di quanto qui di seguito
descritto, è molto utile la consultazione del testo di A. Priuli
e I. Pucci 1994, primo e per ora unico compendio degli studi e delle ricerche
regionali in materia nonché unico corpus dei reperti.
Consiglio anche la consultazione del testo di G. Odetti 1990, indispensabile
per orientarsi nella non sempre chiara bibliografia paletnologica ligure.
(2) La pianta schematica del sito è in Codebò 1996b, pp. 12-20.
(3) Per quanto riguarda le coordinate e le quote geografiche riportate per ogni sito, mi sono avvalso principalmente della Cartografia Tecnica Regionale 1:5.000 (CTR), che viene perciò sottaciuta. Dove mi sono avvalso di altra cartografia essa viene esplicitamente menzionata. I valori di latitudine e longitudine sono riportati fino ai secondi di circonferenza nella consapevolezza dei limiti imposti dalla loro determinazione sulle carte topografiche ed allo scopo precipuo di consentire al meglio l'ubicazione su di esse di quanto descritto.
(4) In ossequio alla volontà a suo tempo manifestata dal Prof. G. Romano, preciso che le misurazioni, nei siti espressamente menzionati, sono state da Lui eseguite, ma che ogni altra considerazione è da attribuirsi esclusivamente a me.
(5) Notare sulla sinistra la presunta stele oculiforme.
(6) Il punto dove il Sole è appena tramontato è indicato dal braccio alzato della persona ritta sul punto dove si ritiene fosse originariamente infisso nel terreno il monolito oggi giacente tra i cespugli alla sinistra della persona. All'orizzonte, coperta dalle nubi, vi è la vetta del M. Carmo di Loano.
(7) Le pietre incise sono sulla punta dell'orizzonte al centro in primo piano appena a N e sotto la verticale del disco solare. All'estrema sinistra vi è la vetta del M. Carmo di Loano.
(8) A sinistra in basso una delle pietre incise; al centro la sella
ove tramonta il Sole; a destra la targa di marmo in ricordo di M. Dalbuono.
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