*Relazione presentata durante il XVII Valcamonica Symposium, 21-26 settembre 1999.
La ricerca.
Lo studio archeoastronomico della località camuna Plas, caratterizzata
da splendide incisioni calcolitiche, nacque nel 1997 per iniziativa di
Elena Gervasoni, che invitò Enrico Calzolari e Mario Codebò
ad effettuare misurazioni in valle. Al Valcamonica Symposium '97 Gervasoni
stessa preannunciò nel suo intervento la futura pubblicazione del
presente lavoro, allora in elaborazione (Gervasoni 1977).
Mentre quella campagna si risolse fondamentalmente in una prima presa
di contatto con l'ambiente, sulla base di analoghe esperienze Codebò
credette di poter ravvisare in località Plas le caratteristiche
tipiche del luogo di culto preistorico: elevazione sul territorio circostante,
ampia panoramicità, frequentazione in epoca pagana, segni di cristianizzazione
(Michelini e Codebò 1997, pp. 341-358; Codebò 1999).
Considerata la geomorfologia del luogo, dal versante orientale ripidissimo
ed elevato, e la tradizione, riferita da Fratti e Gervasoni, delle nozze
sacre tra il principio maschile del Pizzo Badile e quello femminile della
Concarena, con relativi giochi di luce atmosferici (Priuli 1983, foto n.
1; Brunod 1997, foto n. 23) ed astronomici (Beretta 1997, p. 68), ritenemmo
che proprio questa seconda montagna fosse l'oggetto delle antiche osservazioni.
Successivamente, Barale e Codebò hanno riscontrato un’analoga
ierogamia montuosa in provincia di Cuneo, ove un proverbio locale dice
che "... il Monviso sposa la Bisalta...". Infatti dalla pianura locale
- e ancor meglio dalla collina di Mondovì - l'aguzzo e massiccio
Monviso appare consono a rappresentare bene il principio maschile e l'ondulata
e mammellonata Bisalta (o Besimauda) quello femminile. Anch’essa , poi,
è sede di curiosi fenomeni luminosi legati presumibilmente alla
sua natura geologica, ricca, fra l’altro, di uranio, cavato fino ad alcuni
anni or sono. Ricordiamo che un altro monte delle Alpi occidentali (3)–
il Bric Greppino (SV) - pare essere sede: durante i temporali di simili
fenomeni luminosi e, costantemente, di forti anomalie magnetiche dovute,
probabilmente, alla natura ofiolitica delle rocce della zona (4). Anch’esso,
inoltre, avrebbe avuto una valenza sacrale e, forse, una funzione archeoastronomica
(Michelini e Codebò 1997, pp. 341-359).
Gli stessi nomi maschili e femminili delle due coppie di montagne camune
e piemontesi ci parvero rafforzare la nostra ipotesi, anche considerando
che gli orònimi femminili sono assai più rari di quelli maschili.
Sotto questo profilo, riteniamo che sarebbe interessante uno studio sul
profilo visivo delle montagne italiane con nomi femminili.
Notammo che dietro il profilo della Concarena si vede l'intera escursione
annuale del Sole al tramonto. E poiché ben due petroglifi in loco
raffigurano l'astro diurno, pensammo che proprio esso fosse lo specifico
oggetto del culto.
Per di più Calzolari, Codebò, Fratti e Gervasoni avevano
già avuto modo, nel settembre 1997, di osservare dal sito
lo spettacolare fenomeno atmosferico della proiezione vespertina di fasci
di luce e di ombre da parte del Sole tramontante dietro la Concarena: visione
che poteva apparire agli antichi osservatori, ignari di fisica meteorologica,
come una manifestazione della divinità della montagna, analoga a
quella mattutina del Pizzo Badile sopra citata. Questo non frequente fenomeno
si attagliava particolarmente all'iconografia del petroglifo costituito
da tre dischi affiancati, dal maggiore e centrale dei quali si dipartono
tre fasci di raggi diretti verso il basso (fig. n. 146).
Sarebbero stati pertanto riprodotti in un unico simbolo, con un processo
di condensazione ben noto alla psicoanalisi (5), almeno due fenomeni realmente
visibili: i raggi occasionalmente prodotti dalla rifrazione atmosferica
ed il tramonto solare, simboleggiato dai raggi rivolti verso il basso.
Restava da verificare l'ipotesi e da chiarire il perché di tre
dischi solari anziché di uno. Impostammo così un programma
di osservazioni, misurazioni e fotografie del tramonto del Sole nei suoi
tre momenti fondamentali: gli equinozi ed i solstizi. Iniziato al solstizio
invernale del 1997, esso si è concluso al solstizio estivo del 1999.
Per i rilievi sono stati utilizzati: squadro sferico graduato con lettura
diretta dei 5 primi centesimali; inclinometro a gravità con lettura
diretta di 1° sessagesimale; orologio radiocontrollato; bussola prismatica
Wilkie a lettura diretta di 1° sessagesimale e stima di 0°30’.
Le procedure di calcolo seguite sono quelle riportate in Codebò
1997a, pp. 39-109, frutto, peraltro, di una collazione di altri testi ivi
citati in bibliografia.
Le coordinate geografiche del sito, rilevate mediante una serie di
triangolazioni su carte topografiche I.G.M. 1:25000 e 1:100000, sono risultate:
Lat. 46°02’24’’N; Long. 10°21’49’’E; Q.m. 900 s.l.m. Abbiamo verificato
che agli equinozi (rilievi del 20/03/1998) il Sole tramonta alle ore 17h
35m (6) nella sella apparente tra la vetta della Concarena a sud e la vetta
del M. Elto (o del Pizzo Garzeto) a nord (fig n. 147) (7). Con un'altezza
dell'orizzonte visibile misurata in 7°, l'azimut astronomico risulta
essere oggi 264°. Quello magnetico fu misurato in 260°.
Al solstizio d'inverno (rilievi del 18/12/1998 e giorni successivi) esso tramonta 34,5° a sud rispetto al punto di tramonto agli equinozi, in un punto di altezza visibile ho 7° sul versante meridionale della Concarena (fig. 148 ). L'azimut magnetico fu misurato in 225°. Purtroppo, non essendo stata rilevata l'ora del tramonto, non si è potuto calcolare l'azimut astronomico.
Al solstizio d'estate (rilievi del 18/06/1999) l'ultimo lembo del Sole
tramonta (fig. 149) alle ore 19h 41m 40s dietro la vetta del M. Elto (o
del Pizzo Garzeto). Con un'altezza dell’orizzonte visibile misurata in
14°, l'azimut astronomico risulta essere oggi 290,5° e 291,3°
nel 2500 a.C. (8). Quello magnetico fu misurato in 289°.
L'escursione tra il punto di tramonto equinoziale e quello solstiziale
estivo fu misurato con lo squadro sferico graduato in 29°, mentre quello
che risulta dalla differenza tra gli azimut astronomici misurati è
di 29,7°.
Possiamo quindi assumere un'escursione media attuale di 29,35°,
con deviazione standard s ±0,35°.
Risulta così che le amplitudini solstiziali occase invernale
ed estiva del Sole (ossia: i due archi di orizzonte compresi tra i punti
di tramonto equinoziale, solstiziale invernale e solstiziale estivo) sono
oggi, rispettivamente, 34,5° e 29,35°, mentre l'arco totale, espressione
dell'escursione locale annua apparente del Sole, è di 63,85°
(quello magnetico di 64°).
Ciò è quanto si rileva anche sul petroglifo oggetto del
nostro studio: i due angoli tra i raggi centrali, quelli di sinistra e
quelli di destra (guardando l'incisione) sono, rispettivamente, 32°
e 28,5°, mentre l'angolo totale è 60,5° (fig.146).
L'ipotesi iniziale di lavoro ci pare quindi provata, nei limiti della
validità delle prove nel campo infido dell'arte rupestre.
L'artista, intento ad osservare l'orizzonte occidentale, vedeva esattamente:
di rimpetto il tramonto agli equinozi, alla sua sinistra - e con un arco
più ampio - il tramonto al solstizio d’inverno ed alla sua destra
- con un arco più breve - il tramonto al solstizio d'estate. Voltandosi
verso la parete rocciosa, egli poteva riprodurre la stessa configurazione
disegnando un arco più ampio alla propria sinistra ed uno più
corto alla destra.
I due piccoli cerchi a lato di quello maggiore potrebbero rappresentare
tre fenomeni:
1) le posizioni del Sole agli equinozi ed ai solstizi;
2) le posizioni del Sole all'alba, a mezzogiorno ed al tramonto;
3) le due stazioni estreme che la Luna raggiunge (qui al tramonto)
ogni 18,61 anni (9), quando le sue amplitudini ortiva ed occasa sono maggiori
di quelle solstiziali del Sole. Si vede allora 1'astro notturno sorgere
e tramontare più a sud e più a nord dell'astro diurno ai
solstizi, rispettivamente, invernale ed estivo.
I primi due casi ci sembrano meno probabili, perché il n. 1
è già stato rappresentato con i tre fasci di raggi ed il
n. 2 è malamente visibile a causa, come già detto, della
geomorfologia del luogo che occulta pressoché completamente la visuale
dell'alba. Perciò riteniamo che il n. 3 sia quello rappresentato
sulla roccia di Plas, in ciò confortati anche dal fatto che le stazioni
estreme della Luna furono, statisticamente, le più osservate nel
megalitismo europeo (Thom 1971; Hadingham 1978; Burl 1988a, 1988b, 1993;
Proverbio 1989; Cossard 1993; Codebò 1997b) . Per esempio, nella
sola necropoli calcolitica di S. Martin de Corléans (AO), su diciotto
allineamenti astronomici, ben sette - compreso quello dei pali di legno,
primo e più antico (circa 3100 a. C.) - puntano su di esse (Cossard,
Mezzena, Romano 1991; Romano 1992, pp. 70-84).
Ad ulteriore rafforzamento dell'interpretazione di località
Plas come luogo di osservazione e culto degli astri, il 18/06/1999 si è
visto che il Sole al tramonto nel solstizio estivo illumina con i suoi
ultimi raggi, pochi minuti prima di scomparire dietro la vetta del M. Elto
(o del Pizzo Garzeto), l'estremità superiore del Capitello dei Due
Pini ed esattamente l'incisione del disco solare. Purtroppo, data la brevissima
durata del fenomeno ed essendo impegnato, da solo, nelle misure d'azimut,
Codebò non ha potuto documentare fotograficamente il fenomeno. Si
spera di poter rimediare in futuro.
Si è notato anche che un campo, visibilissimo nella sottostante
piana di fondo-valle ed immediatamente a sud del lago artificiale, era
stato arato a ferro di cavallo aperto (fig. 150).
Ciò ci fa ritenere che altre incisioni analoghe - come: Caven
3; Cornal; Borno 1; Ossimo 2, lato C - siano interpretabili come rappresentazioni
stilizzate ma veristiche dell'insieme terra-cielo, in parziale accordo
con altri autori (Brunod 1997, foto nn. 74-75, pp. 95-117 e passim).
Piero Barale, studiando specificamente le due incisioni antropomorfe
sul suolo roccioso di Plas (fig. 151 a-b), ha identificato in una di esse
una scena di zappatura ed ha rilevato che entrambe sono rivolte perfettamente
all'ovest magnetico, dirimpetto al Sole tramontante agli equinozi. Se effettivamente
sono postcalcolitiche - e precisamente medioevali (cortese comunicazione
personale del prof. Anati) - potrebbero manifestare un utilizzo archeoastronomico
molto prolungato e policulturale del sito.
L'abbastanza fedele riproduzione della difforme ampiezza delle due amplitudini
solstiziali occase, estiva ed invernale, poté essere facilmente
ottenuta impiantando in loco quattro pali lignei, uno dei quali fungeva
da punto di osservazione e gli altri tre erano posti, rispetto al primo,
in direzione dei tre tramonti. Avvolgendo poi delle corde intorno a questa
struttura a ventaglio (o a settore circolare), si potevano misurare con
lunghezze di corda le amplitudini cercate. Riducendo proporzionalmente
e simmetricamente l'intera struttura, si poteva ottenere un settore circolare
di minime dimensioni in cui le proporzioni originarie delle lunghezze di
corda erano mantenute. Tali lunghezze potevano essere usate come unità
di misura per l'incisione fedele del petroglifo.
Prima di sapere che il masso adiacente era caduto in epoca post-calcolitica,
avevamo pensato che le quattro coppelle incisevi a ventaglio potessero
rappresentare simbolicamente proprio questa operazione di misura.
Abbiamo altresì accertato che non indicano allineamenti solari.
Rammentiamo che funzioni analoghe ma ben più complesse sono
state proposte da A. Thom per gli allineamenti megalitici a ventaglio
bretoni e scozzesi (Thom 1971; Hadingham 1978, pp. 130-132; Proverbio 1989,
pp. 108-115; Cossard 1993, pp. 39-41) e da C. A. Newham per le Causeway
Post Holes di Stonehenge I (Hadingham 1978, pp. 94-95; Proverbio 1989,
p. 96) e che, nonostante la yarda megalitica di A. Thom sia ormai non più
accettata dalla maggioranza degli studiosi, vere e proprie unità
di misura sembra siano state utilizzate a St. Martin de Corléans
(Mezzena 1997, pp. 79-80) e, forse, nche in Liguria (Codebò 1997b;
Codebò e Michelini 1997).
Marco Castelli propone un'altra possibile interpretazione di queste
coppelle, disposte ad arco e di diametro decrescente, quale rappresentazione
dei (de)crescenti lunari e, più in generale, delle coppelle disposte
a ventaglio quali simboli lunari (Brunod 1997, p.112, fig. n. 166).
Vogliamo infine accennare a quello che ci pare l'iter evolutivo di
questo petroglifo: inizialmente concepito come la rappresentazione grafica
fedele e concreta di un singolare fenomeno atmosferico e del moto apparente
annuo del Sole al tramonto, sembra essersi successivamente trasformato
in un simbolo ed infine in un'icona decorativa "rimossa" dal suo contesto
originario e non più leggibile in relazione ad esso, secondo processi
mentali ben noti alla psicoanalisi (5).
Altre interpretazioni.
Durante la nostra campagna, Adriano Gaspani ha studiato questo ed altri
petroglifi che potrebbero suggerire un'interpretazione archeoastronomica.
La pubblicazione dei suoi lavori è avvenuta dopo quella del nostro
(Gaspani 2000, pp. 32-39; 2001, pp. 33, 59-87), sicché non abbiamo
potuto discuterne fino ad oggi.
Egli suggeriva, in sintesi, che il petroglifo del Sole rappresenti
una cometa con coda trifida tra due stelle. Propone anche altre due possibili
interpretazioni: un'eclisse solare od una congiunzione di tre pianeti.
Poiché il medesimo petroglifo è tracciato in altre rocce
- egli ne elenca dieci - anche lontane dalla località Plas, suggerisce
altresì che simbolizzi un evento eccezionale "...realmente osservato
in cielo da popolazioni lontane con differenti culture...".
Queste interpretazioni ci paiono deboli perché fondate unicamente
su somiglianze morfologiche di eventi non dimostrati ma solo supposti e
dei quali riteniamo sia necessario provarne l’accadimento al tempo dell'esecuzione
dell'incisione per dare consistenza alle relative ipotesi.
In verità la presenza di un identico o analogo petroglifo
in aree culturali distanti (durante il Valcamonica Symposium 1999 il prof.
Anati ce ne segnalò la presenza in parecchi siti europei, compreso
l'Est) pone alcuni interrogativi ed induce a considerarlo la rappresentazione
di qualcosa d'importante e diffuso (come, per esempio: il pugnale di rame
a lama triangolare, costolatura centrale e pomello semilunato; l'ascia
ad alette; le doppie spirali metalliche; le pintaderas; ecc.).
Tuttavia riteniamo che i dati raccolti e sopra discussi consolidino
l'ipotesi del tramonto del Sole, che fu per altro molto osservato durante
le età dei metalli, come dimostrano i monumenti megalitici europei
e mediterranei (Burl 1988a; 1988b; 1993; Cossard 1993; Hadingham 1978;
Proverbio 1989; Romano 1992).
Riteniamo altresì che una verifica della nostra ipotesi possa
venire dallo studio degli altri analoghi petroglifi e dal confronto dei
loro angoli con le amplitudini del Sole sull'orizzonte localmente visibile:
se anche in essi verranno individuate corrispondenze come a Plas, la nostra
ipotesi potrà dirsi validata o invalidata nel caso contrario.
Purtroppo alcuni fra i più importanti menhir con incisioni analoghe
(per esempio: Caven) sono stati rimossi ed oggi non è più
possibile ritrovare la loro esatta ubicazione, indispensabile per le misurazioni.
Perciò simili future ricognizioni dovranno necessariamente riguardare
solo i petroglifi incisi su rocce inamovibili.
La questione degli equinozi.
Durante il convegno internazionale Archeoastronomia: un dibattito tra
archeologi ed astronomi alla ricerca di un metodo comune che l'I.I.S.L.,
sez. di Genova, ha organizzato nel 2002 (vedere in http://www.archaeoastronomy.it)
è stato discusso se gli allineamenti equinoziali preistorici fin'ora
trovati siano intenzionali o casuali.
Al convegno - tenutosi in due fasi, la prima a Genova e la seconda
a Sanremo - erano presenti, fra gli altri, anche Michael Hoskin e Clive
Ruggles, rispettivamente editor e associate editor della rivista Archaeoastronomy,
Supplement to Journal for the History of the Astronomy. Sul n. 22 del 1997
C. Ruggles (Ruggles 1997, pp. S45-S50) aveva pubblicato l'articolo Whose
equinox?, in cui, contrapponendosi alla tesi esposta nell'articolo Pre-Hispanic
equinoctial markers in Gran Canaria pubblicato in due parti sulla stessa
rivista (Esteban, Schlueter, Belmonte, Gonzàlez 1996-1997), sostiene
la sostanziale casualità degli allineamenti equinoziali preistorici
per il fatto che l'equinozio, a differenza dei solstizi, non è un
fenomeno eclatante e ben visibile e che solo misure strumentali, perciò
moderne, permettono di riconoscerlo. Ricordiamo che esso è l'istante
in cui il centro geometrico del Sole attraversa l'equatore astronomico
(cosiddetto equinozio vero); solo in questo momento - che, come noto, si
ripete due volte all'anno: intorno al 21/03 ed al 23/09 - l'angolo tra
eclittica, su cui si muove apparentemente il Sole, ed equatore celeste
è 0°. La conseguenza immediata di ciò è che la
giornata è divisa in due metà identiche e simmetriche: dodici
ore di luce e dodici di tenebre.
Nonostante questa impossibilità visuale, nella pre-protostoria
sono stati tracciati evidenti allineamenti equinoziali ed è ben
noto che, soprattutto le popolazioni protostoriche, suddividevano lo spazio
in quattro parti. Nella penisola italica tale suddivisione ebbe il nome
di templum (crf. anche G. Devoto 1977).
Il problema va dunque riformulato nella seguente maniera: se l’equinozio
non è un fenomeno astronomico chiaramente visibile come i solstizi
e se, d’altra parte, l’allineamento E-W era noto in antico, come possono
essere stati tracciati gli allineamenti equinoziali?
Un primo metodo consiste nel riconoscere la direzione N-S, ossia l’asse
polare 0°-180°: la sua ortogonale 90°-270° è l’asse
equinoziale o asse E-W . In assenza di una Stella Polare (che però
intorno al 6000 a. C. era rappresentata da a Draconis) si può procedere
in diversi modi:
1) osservando molto attentamente la rotazione delle stelle circumpolari
(10) per una lunghissima serie di notti di seguito: un osservatore attento
localizzerà, prima o poi, il punto intorno a cui ruota la volta
celeste;
2) osservando il sorgere ed il tramontare di una stella circumpolare
su un orizzonte artificiale, quale può essere un muro di pietre
o di legna opportunamente costruito ed orizzontalizzato: poiché
la circumpolare descriverà su di esso un semicerchio, di cui il
piano è, in tutto od in parte, il diametro, il punto di mezzo tra
i due estremi di tale semicerchio. identifica il centro di rotazione della
volta celeste (Romano 1992, pp. 183-189);
3) misurando - per esempio con una semplice balestriglia – la massima
altezza diurna del Sole, che coincide, con buona approssimazione, con la
sua culminazione sul meridiano del luogo. E poiché esso decorre
da N a S, ossia da 0° a 180°; la sua ortogonale 90°-270°
è l’asse equinoziale.
Un secondo metodo consiste nel piantare uno gnomone verticale al centro
di uno o, meglio, più cerchi concentrici orizzontali, i cui punti
toccati dall’ombra del palo all’alba ed al tramonto giacciono sull’asse
equinoziale E-W. Il metodo, detto del cerchio indiano, è noto da
tempi antichissimi, ma non è d’immediata intuizione come i precedenti
(Romano 1992, pp. 36-39).
Un terzo sistema, non molto preciso, consiste nel calcolare la metà
dei giorni che intercorrono tra due solstizi. La sua poca precisione è
data da due fattori:
a) l’equinozio non cade esattamente a metà tra due solstizi,
poiché l’orbita della terra è un ellisse ed è, perciò
percorsa con moto non uniforme: tra l’equinozio di primavera e quello d’autunno
intercorrono, attualmente, 186 giorni, mentre tra quello d’autunno e quello
di primavera 179 giorni. Ma tali intervalli di tempo sono destinati a modificarsi
nel tempo a causa della lenta rotazione della linea degli apsidi - ossia
l’asse maggiore che congiunge perielio ed afelio - dell’orbita terrestre
(Proverbio 1989, pp. 190-194; Romano 1992, pp. 183-193);
b) il momento esatto del solstizio non è facilmente identificabile.
Infatti il Sole si ferma (solis statio) apparentemente per qualche giorno
prima d’invertire il suo spostamento diurno sul profilo dell’orizzonte
visibile. Perciò l’incertezza sulla data esatta di ciascun solstizio
è di circa cinque giorni. Non a caso l’antico calendario romano
attribuito a Numa Pompilio era di 354-355 giorni (Bickerman 1963, pp. 37-42;
Cappelli 1998, p. 25; Flora 1987, pp. 339-342) e non a caso le festività
del S. Natale e di S. Giovanni Battista sono state collocate 3-4 giorni
dopo i relativi solstizi!
E’ probabile che tutti questi metodi siano stati usati.
Codebò perciò ha sostenuto al convegno del 2002 che il
problema degli allineamenti equinoziali è fondamentalmente un equivoco
formale di termini anziché sostanziale di meccanica celeste: quando
gli astronomi parlano di allineamenti equinoziali intendono allineamenti
sull’istante esatto in cui il centro geometrico del Sole attraversa l’equatore
celeste (equinozio vero); gli archeologi, invece, intendono più
semplicemente e genericamente l’allineamento E-W.
In archeoastronomia è dunque importante non confondere gli equinozi
veri con gli allineamenti E-W.
Le figure di Plas.
L’evidente e suggestivo sperone roccioso di Plas, già conosciuto
come “Capitello dei Due Pini”, costituiva sicuramente un’eccezionale postazione
di controllo del territorio per un ampio raggio, garantendo non solo un
dominio visivo su campi, pascoli e vie di comunicazione ma anche un’ampia
visuale sullo Skyline locale, ossia sul profilo dei monti dello spartiacque
occidentale della Valcamonica. Non casualmente dunque sulla parete rocciosa
posta alle spalle del trampolino, le cosiddette Roccia del Sole e Roccia
dei cinque pugnali, sono state incise alcune figure eliomorfe, probabilmente
connesse ad eventi astronomici osservati da questo luogo.Nonostante la
componente istoriativa di questo sito sia alquanto limitata, la tipologia
delle incisioni e il loro contenuto simbolico potevano indicare la necessità
di suddividere il tempo attraverso azioni pratiche (osservazioni astronomiche
d’orizzonte) che venivano forse collegate alla sfera rituale, in questo
caso attestata da una probabile rappresentazione di culto solare, dove
alcune figure antropomorfe tipiche dell’età del Rame (2800-2000
a.C.) attorniano un disco, interamente picchiettato, che potrebbe forse
rappresentare il Sole.
La piattaforma di Plas sembrerebbe quindi essere stata utilizzata per
questo tipo di osservazioni anche in epoche successive a quelle protostoriche.
Una simile supposizione pare alquanto verosimile se si tiene in considerazione
la presenza di altre incisioni rupestri collocate al di fuori dei contesti
precedentemente citati.
La balconata rocciosa sovrastata da alcuni massi di frana, che domina
su Capo di Ponte, Seradina, Cemmo e Bedolina - aree dove è la maggiore
concentrazione di arte rupestre dell’intera Valcamonica - compaiono due
interessanti rappresentazioni antropomorfe del tutto isolate rispetto al
nucleo principale dell’intero complesso (parete del Sole e Roccia dei cinque
pugnali).
La prima istoriazione rappresenta una figura umana (cm 21 x 25,5) disposta
sul piano orizzontale dell’affioramento. Questa incisione, che per la sua
struttura simmetrica si presta ad interessanti considerazioni di forma,
presenta gambe a “V” e braccia aperte orizzontali con mano a tre dita.
Incisa probabilmente in epoca medievale, risulta rivolta perfettamente
all’Ovest magnetico. La postura di questo personaggio, come già
appare in quelle più antiche presenti su alcune stele della Valcamonica
(Cemmo 3, faccia B; Cemmo 4; Borno 1; Ossimo 6, 7 e 8), sembra accennare,
come già riconosceva il Leonardi nel 1950 nel “personaggio danzante”,
ad un passo di danza forse allusivo al movimento apparente del luminare
diurno (11). Una seconda interpretazione vedrebbe questa incisione come
una antropomorfizzazione del Sole; l’astro “raggiato”, che generalmente
viene posto sul capo dell’antropomorfo (stele di Ossimo 7, 8, 9 e M13),
in questo caso non è più stato rappresentato perché
si troverebbe “realmente” posto nei momenti del suo tramonto agli equinozi
in fronte all’incisione.
La seconda istoriazione (cm 32x27), disposta anch’essa sul piano orizzontale
dell’affioramento e rivolta perfettamente ad Ovest (magnetico), figura
che il Leonardi identifica come “zappatore”, pare rappresentare una scena
di “zappatura”. L’immagine collocata di fronte ad un simbolo cruciforme
a bracci uguali – probabile rappresentazione solare –, risulterebbe legata
ai lavori agricoli di aratura, operazione che si svolge in prossimità
dell’equinozio d’autunno. Questa dinamica descrittiva dell’arte rupestre
camuna, ripresa, come nel nostro caso, nel periodo medievale, pare che
in realtà abbia incominciato ad essere comunemente raffigurata nel
periodo di transizione dal Bronzo finale alla prima età del Ferro
(inizio del I° millennio a.C.).
Le figure istoriate sulle rocce di Plas, fortemente indiziate di rappresentare
parte della memoria storica di alcune osservazioni di astronomia sferica,
potevano costituire i segni accompagnatori che i principali esponenti delle
comunità locali potevano collocare in luoghi particolari al fine
di stabilire allineamenti tesi a marcare, attraverso il profilo dei monti,
il fluire delle stagioni. Quindi, come afferma l’Anati: “Il Capitello dei
due pini è l’ultima immagine sacra figurata in questo luogo nel
quale una tradizione di culto si è tramandata fin dall’alba della
civiltà camuna, probabilmente senza interruzione per oltre tremila
anni”.
Ringraziamenti.
Ringraziamo tutti coloro che hanno contribuito in qualsiasi modo alla
realizzazione di questa ricerca ed, in particolare: Giuseppe Brunod, Enrico
Calzolari, Elisabetta Casini, Giorgio Dimitriadis, Sandro Panteghini, Federico
Troletti. Un ringraziamento particolarmente sentito a Paolo Turelli e famiglia,
senza l’ospitalità, la pazienza e la infinita disponibilità
dei quali il nostro survey, durato oltre due anni, non avrebbe potuto avere
luogo.
NOTE
(1) A.L.A.P.: Associazione Ligure Astrofili Polaris
C.C.S.P.: Centro Camuno di Studi Preistorici
Ce.S.M.A.P.: Centro Studi e Museo d'Arte Preistorica
I.I.S.L.: Istituto Internazionale di Studi Liguri
S.A.It.: Società Astronomica Italiana
S.I.A.: Società Italiana di Archeoastronomia
S.I.S.F.A.: Società Italiana di Storia della Fisica e dell'Astronomia
(2) P. Barale ha eseguito lo studio, i frottage ed i disegni degli antropomorfi
e del petroglifo raggiato.
M. Castelli ha eseguito lo studio ed il frottage delle coppelle nonché
alcune fotografie.
M. Codebò ha eseguito i rilievi ed i calcoli astronomici; le
fotografie; le determinazioni topografiche. Ha redatto la versione definitiva
del presente testo.
H. De Santis ha eseguito i calcoli astronomici e topografici.
L. Fratti ha fornito i dati storico-artistici sul sito in particolare
e sui monumenti camuni in generale. Ha coordinato e fornito il supporto
logistico.
E. Gervasoni ha promosso ed introdotto le nostre indagini archeoastronomiche
in Valcamonica. Ha curato e coordinato l'organizzazione dei sopralluoghi.
Ha raccolto i dati storici sul sito.
(3) Come è ormai assodato quasi concordemente, dal punto di vista geologico le Alpi cominciano non dal colle di Cadibona (SV) – long. 8°20’E – ma dal versante occidentale della Val Polcevera (GE) e più precisamente dall’asse Sestri Ponente-Voltaggio – long. 8°51’ E – (Aubouin e Brousse 1977, vol. II, pp. 475-476, fig. n. 254)
(4) Tutta la zona compresa tra l’asse Sestri Ponente-Voltaggio (GE) e la vetta del M. Bèigua (SV) è nota in geologia come Gruppo di Voltri ed è costituita da potenti complessi di rocce ofiolitiche del ciclo alpino, formatesi da magmi fuoriusciti nel Mesozoico dai profondi fondali oceanici della Tetide e poi emersi durante l’orogenesi alpina. La zona è interessata da forti anomalie magnetiche (IGM 1974, 1988; IGM e INGV 2001): almeno in due luoghi – sulla vetta del Bric Greppino (Codebò 1997c, p. 327) e sulla vetta del M. Sejeu (osservazione personale di Codebò e De Santis il 02/06/2003) – si osserva una inversione completa della polarità magnetica, manifestata dalla rotazione a 180° dell’ago della bussola.
(5) La letteratura psicoanalitica sul simbolismo è vastissima.
Limitandoci solo ad alcune opere fondamentali, citiamo:
A) Per la scuola freudiana:
S. Freud (1899). L'interpretazione dei sogni. In: O.S.F., vol. III,
Boringhieri, Torino, 1980.
S. Freud (1915-1917). Introduzione alla psicoanalisi. Lezione X. In:
O.S.F., vol. VIII, Boringhieri, Torino, 1976.
0. Fenichel (1951). Trattato di psicoanalisi delle nevrosi e delle
psicosi. Cap. IV, par. 8. Astrolabio, Roma, 1951.
C. Rycroft (1970). Dizionario critico di psicoanalisi. Astrolabio,
Roma.
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Laterza, Bari.
A.A. Semi (1988). Trattato di psicoanalisi. Vol. I, pp. 298. Raffaello
Cortina, Milano.
B) Per la scuola junghiana:
C.G. Jung (1950). Simboli della trasformazione. In: O.C.G.J., vol.
V. Bollati Boringhieri, Torino, 1992.
C.G. Jung (1980). L'uomo e i suoi simboli. Longanesi & C., Milano.
(6) tm è il tempo solare medio del fuso orario locale (diverso
dal tempo solare vero locale tv che risulta dal tempo solare vero del meridiano
centrale del fuso orario ± la longitudine del luogo): praticamente
l'ora dell'orologio! Invece il tempo solare medio di Greenwich -
o Tempo Universale - è sempre indicato con la sigla UT o, in Italiano,
TU. Il tempo solare vero di Greenwich è indicato in Italiano
con la sigla TV ed in Inglese con G.H.A., che significa: angolo orario
di Greenwich. Poiché il fuso orario in cui si trova l'Italia (fuso
orario dell'Europa centrale) anticipa di un'ora quello di Greenwich (fuso
orario dell'Europa occidentale) il tempo solare medio tm dell'Europa centrale
anticipa sempre di un'ora il tempo universale UT.
In estate vi è una differenza di due ore, dovuta all'ora legale
estiva.
Per maggiori informazioni in merito vedere in: Flora 1987; Meeus e
De Meis 1990; Meeus 1998; Smart 1977; Zagar 1984.
(7) Le due montagne, poiché prospetticamente quasi allineate con località Plas e di altezza quasi uguale, non sono facilmente distinguibili l'una dall'altra.
(8) Per il calcolo delle variazioni dell'obliquità dell'eclittica, che modifica declinazione ed azimut degli astri mobili in un ciclo di circa 41000 anni, ci siamo avvalsi della formula di Laskar (Meeus, 1998, pp. 147-148). Solo agli equinozi la declinazione 0° e l'azimut 90°«270°del Sole restano invariati.
(9) Questo periodo è la retrogradazione dei nodi dell'orbita lunare sul piano dell'eclittica. Zagar, 1948, p. 236, lo calcola in 6793 giorni. Meeus e De Meis, 1990, p. 68, in 6798 giorni.
(10) Circumpolari sono quelle stelle che, alla latitudine dell’osservatore, non sorgono e non tramontano mai sull’orizzonte astronomico. Anticircumpolari sono, invece, quelle stelle che, alla latitudine dell’osservatore, non sono mai visibili. Una stella è circumpolare se la sua declinazione e la latitudine dell’osservatore sono dello stesso segno N o S e se la loro somma è ³ 90°. E’ anticircumpolare se declinazione e latitudine sono di segno opposto – una S e l’altra N – e la loro somma è ³ 90°. Se queste condizioni non sono soddisfatte, la stella sorge e tramonta sempre sull’orizzonte astronomico (che coincide con il piano tangente all’osservatore e perpendicolare al suo asse zenith-nadir e s’identifica, sostanzialmente, con l’orizzonte marino. Invece, in presenza di rilievi collinari o montuosi, anche distanti, si parla di orizzonte visibile). All’equatore tutte le stelle sorgono e tramontano; ai poli sono tutte circumpolari.
(11) In questo contesto acquista una particolare importanza l’ipotesi
formulata da Gaudenzio Ragazzi (Brunod, Ferreri, Ragazzi 1999, pp. 149-167):
che, cioè, alcune antiche danze rituali rappresentino il moto degli
astri. In effetti l’escursione annua del Sole tra i due estremi solstiziali
sulla linea dell’orizzonte apparente e quello della Luna intorno al Sole
sembrano vere e proprie danze ritmiche, come già aveva adombrato
Diodoro Siculo nel I secolo a. C., menzionando il ballo di Apollo, divinità
solare, dall’equinozio vernale alla levata delle Pleiadi nel tempio circolare
di un’isola nordica (Cossard 1993, pp. 83-84). Riteniamo che questo filone
meriti un attento approfondimento.
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